TRA LACERAZIONE E ACCELERAZIONE: PERCEZIONE E IDENTITÀ IN "M"


Ron Kubati

 

UNA POETICA DELL'AUTORE A PROPOSITO DEL SUO ULTIMO ROMANZO

Il paesaggio, l'architettura che si apre allo sguardo attraverso la finestra consegna all'individuo una determinata gamma di possibilità già prestabilite dal tipo di città, dal tipo di economia, dal tipo della cultura, dei costumi del luogo che ci prestiamo a vivere. La pluralità variegata di simili contesti trascende nettamente le potenzialità conoscitive dell'individuo che, in condizioni di grande mobilità sociale, è costretto a sperimentare con angoscia e meraviglia il nuovo ruolo conformato alle possibilità contestuali. Questa dinamica esperienza individuale, più accentuata e attinente nel caso degli apolidi, dei cosmopoliti e dei riscattochiedenti, spesso si traduce in veri e propri sbalzi esistenziali. Ecco perché lo svegliarsi davanti alla finestra tramite cui si rivela il nuovo paesaggio di possibilità si trasforma in una metafora additiva della poetica dell' altrimenti nell' altrove. Questi salti a volte controversi mettono in crisi ciò che tradizionalmente è stata inteso per identità. La nuova condizione dell' individuo è in un certo senso sospesa tra lacerazione ed accelerazione _, tra lo strappo doloroso di ciò che lascia e ciò che era e la meraviglia, a volte euforica a volte terrificante, di ciò che trova. Gli attuali processi di detterritorializzazione hanno particolarmente accentuato questa caratteristiche al punto di poter parlare metaforicamente di una finestrizzazione _ del reale dove l'unità sistemica da prendere in considerazione si estende verticalmente sia al di sotto della città, sia al di sopra di essa, traducendosi in una sorta di flessibilità _ esistenziale. Non più quindi un quartiere, un villaggio, una professione, un gruppo, una famiglia in grado di conferire identità e destino all'individuo. Il problema dell'identità passa quindi, innanzitutto, attraverso le condizioni della percezione del reale e del conseguente metabolismo con essa. Abbiamo un problema di natura epistemologica che si trasforma in un problema di natura esistenziale che tocca la quotidianità, la vita di tutti i giorni.

L'impatto di una città metropolitana con la percezione del protagonista, la sua intermittente estraneità, compongono il tema di questo romanzo. La sostituzione dell'oramai indomabile superficie della città con le traiettorie sotterranee e buie della metropolitana riprende la geografia metafisica delle finestre. Chi sperimenta l'approccio conoscitivo alla nuova città attraverso il viaggio in metropolitana si rende conto di avere a che fare con un meccanismo la cui logica assomiglia a quella della roulette: l'abbinamento delle stazioni con i vari imprevedibili paesaggi è accompagnato da meraviglia e radicale sorpresa. Soltanto la lunga conoscenza che sostituisce l'imprevedibile con il prevedibile può smantellare questo meccanismo che tuttavia sopravvive: sopravvive perché l'enorme quantità di elementi che contiene una grande concentrata città eccede sempre e la conoscenza, e la razionalità, conservando sempre quella onirica riserva di meraviglia che genera slanci e motivazioni. Tuttavia l'altra faccia della meraviglia è lo shock, è l'angoscia terrificante dell'indomabilità dell'ambiente, dell 'impossibilità di una trama, dell'incapacità di un ruolo, della non coagulazione del reale. Il tentativo conoscitivo del protagonista si accompagna dall'ansia della forma, dalla ricerca di un proprio spazio, di una propria dimensione realizzabile attraverso trame consumabili con altre persone. Ma chi è il protagonista? Il protagonista è un io senza nome, lui è apolide nella misura in cui è deterritorializzato, è detterritorializzato nella misura in cui è un riscattochiedente, è un riscattochiedente nella misura in cui è un ricercatore dell'altrimenti nell'altrove. La sua geografia di origine è verticalmente l'indiscrimanato sud ed orizzontalmente il margine della città. Quel grande contenitore di possibilità che sembra essere la città si rivela in un certo senso menzognero. Non è vero che questo tipo di individuo può tutto, o di tutto. La città in qualche modo gli consegna le sue coordinate e lo fa partire dal margine dove i venti della contingenza sono furiosi, dove la libertà è eclissata dalla necessità. La gravitazionalità della necessità caratterizza particolarmente ciò che il centro respinge, la periferia, e ciò che la superficie rimuove: l'underground. La pulizia ipocrita della superficie, la censura al visibile dei viados e delle prostitute è anche questa una questione di percezione: è il tentativo di respingere e nascondere nell'underground gran parte del reale. È un tentativo che ricalca lo stile iceberg: una parte sopra la superficie, tante parti sotto. È la trasformazione della superficie nella copertina del reale, è la malafede dello spettacolo, è uno strumento di potere. Si concede cittadinanza a quel tipo di realtà che è ideologicamente necessario. Lo stato nascente della città si trova nel continuo rimosso sociale.

L'iniziazione del personaggio (un ex-straniero laureato in lettere proveniente come tanti dal sud) nella città passa, non a caso, attraverso l'amicizia con due insegnanti precari che le attuali condizioni hanno trasformato in nuovi emarginati economici, e con due opposte figure femminili: una prostituta (Betti) e una scenografa (Claire). Il cerchio ristretto dei personaggi centrali si completa con Fabio, un problematico e disperato ausiliario di traffico e il nonno, il classico trascurato invisibile anziano da assistere. Lo spazio bizzarro dove i personaggi cercano forme, trame, dove tentano di coagulare la realtà, è la casa del precario insegnante di lettere Andrea, offerta utopicamente come un luogo di riparo dalle ceche insidie plurali della smisurata città. Ma è appunto un'utopia. Gli equilibri temporanei vengono irrimediabilmente scossi dai tentativi individuali di rimediare alla sostanziale insufficienza esistenziale, dal desiderio di liberazione dalla gravitazionalità dell'underground fatto di precarietà e necessità, dal legittimo tentativo di guadagnare la superficie. Ne viene fuori una mini esplosione dei fragili codici e forme della piccola comunità di casa Andrea. La molteplicità amorfa degli elementi irrompe introducendo l'intrinseca insensatezza che rimescola drammaticamente le coordinate di tutti. L'effetto di realtà, transitoriamente dimensionato alle esigenze dei personaggi entro le pareti della comunità di casa Andrea, cede. Esso si verifica anche entro un minimo e un massimo livello economico, al di sotto e al di sopra di cui tutto fluisce. La completa liberazione dalle necessità comporta un disagio che, facendo a meno delle tensioni di riscatto e progetto, elimina gli elementi consueti che fabbricano forme. Ciò che però qui viene trattato è il livello inferiore, il livello minimo di standard economico il cui superamento diventa ingresso nella forma. Il margine economico metropolitano quindi accusa anche l'impossibilità di cristallizzazione di codici e consuetudini che formano le pareti della realtà. Le contingenze dell'underground producono tuttavia fascino sia a causa dell'imprevedibilità delle loro combinazioni, sia a causa dell'onirismo riscattochiedente. È nell'invisibile underground e nel suo estremo bisogno di redenzione esistenziale che la città acquista l'orizzonte del domani.

Quindi con la scomposizione degli equilibri di casa Andrea, l'effetto di realtà cede. Ma la conseguenza è doppia: angoscia terrificante e contemporaneamente il sogno trascendente derivante dalla meraviglia. Quest'ultima è particolarmente evidenziata dalla percezione del protagonista che si scopre un portatore di sensibilità. La consapevolezza dello sbalzo esperienzale lo accompagna costantemente. La netta distanza che corre tra le memorie e il presente diventa fonte di meraviglia e speranza di riscatto. È questa consapevolezza che li dona un orizzonte che trascende quello soffocante, rimpicciolito, apparentemente reale e razionale della routine, alla cui forma tuttavia anella, dal cui soffocamento tuttavia fugge. Attinge quindi al ricordo dello sbalzo esistenziale, della finestrizzazione del reale per recuperare un orizzonte assai più ampio e in grado di ispirare quelle mosse spregiudicate che possono squarciare il destino consegnatoci dalla soffocante routine. E da qui ricavare anche una speranza politica, recuperando un po' anche quel sentimento sublime e ingenuo del bambino che produce slanci di fantasia dovuti alla percezione del mondo come un grande contenitore di possibilità.




Ron Kubati è nato a Tirana nel 1971. Nel 1991 è giunto in Italia, a Bari, dove ha frequentato il dottorato di ricerca in Filosofia moderna e contemporanea, dedicandosi parallelamente alla scrittura e all'attività di traduzione. In Italia ha pubblicato Venti di libertà e gemiti di dolore (1991), Va e non torna (Besa, 2000), M ( Besa 2002).

 


        
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