RATZEK

 

Antonello Piana

 

da Thomas Brasch e Hilde aus der Stargarder

Ero riuscito a passare la linea del fronte senza cadere tra le braccia dei russi o della Wehrmacht, che sarebbe stata sventura peggiore. Ho avuto la buona sorte di incappare in una cascina abbandonata dalle parti di Müncheberg e mi sono nascosto nella tinaia, sotto una botola della cucina, con le mie due fiaschette d'acqua che avevo riempito da una damigiana. Ero sicuro che si sarebbero presto sentiti i nostri allo sbando con i russi che li incalzavano, e solo dopo il passaggio di entrambi i convogli sarei sgusciato fuori per rimettermi in cammino verso casa. Tre giorni piú tardi ho sentito l'eco lontana delle batterie e dell'artiglieria, si combattevano gli ultimi tafferugli, il segno che i russi erano ormai alle porte e la battaglia decisiva sulle colline dell'Oder, come c'era da aspettarsi, era stata perduta. Ho aspettato altri due giorni nascosto dietro mucchi di carbone, ti puoi immaginare con due libbre di pane secco come mi sentivo, quindi sono uscito fuori e me ne sono tornato a piedi in città tenendomi a distanza dalle strade, quasi un miracolo non incontrare anima viva fino a Strausberg. Ogni tanto vedevo qualche divisa da lontano ma riuscivo a nascondermi nel bosco o a cambiare direzione, solo una volta me la sono dovuta dare a gambe tra gli alberi. Dopo un po‘ impari il gioco, senza divisa non era cosí rischioso come suona. Da bambino facevo lo stesso con gli amici nelle campagne e poi i russi oramai avevano vinto, non avevano piú niente da temere, men che meno da un uomo solo. Un paio di volte ho perso la bussola e ho girato a vuoto tra i boschi di Buckow per giorni, quello era il pericolo piú grande.
Di Berlino era rimasta in piedi, cosí a occhio e croce, una casa sí e una no, contando pure quelle bruciate o sforacchiate, una probabilità su due di trovare Margarethe in vita, mi dicevo stringendo i denti per le piaghe ai piedi. Non so se mi capisci, tu sei cresciuto in campagna, la fame e la guerra è uguale dappertutto, però tu eri sicuro di trovare casa tua al suo posto, forse un po' malandata, se il fronte era passato vicino, o se hai la disgrazia che le SS o i russi hanno piantato una guarnigione nel circondario, ma per quel che ho capito non era il caso tuo. Per me invece era tutta un'altra faccenda, le notizie dei bombardamenti filtravano fino in prima linea, girava voce che gli inglesi passavano tutte le notti senza badare dove cadevano le bombe incendiarie, in confronto i Ratas sovietici sulla Desna erano giocattoli per bambini.
Però quando sono arrivato nel quartiere mi è calato un peso dal cuore, c'era stata sí battaglia casa per casa, però i bombardamenti alleati, quelli avevano colpito qualche caseggiato qua e là, ma la maggior parte era ancora in piedi. Aveva quasi l'aspetto di un miracolo, mi chiedevo com'era possibile che il quartiere se l’è cavata cosí a buon mercato, in confronto a quelli vicini, Mitte o Friedrichshain. Non pensare che faccio i salti di gioia, avevo il cuore pesante come un obice e affrettavo il passo, ma almeno Margarethe, speravo piano, almeno Margarethe.
Il babbo era stato ammazzato l'anno avanti sul Dnepr, arruolato sei mesi prima che non si vedeva piú il naso, e la mamma di crepacuore poco dopo, aveva sempre avuto qualche noia ai polmoni ma non era un caso. Margarete aveva sopportato da sola gli ultimi tempi, la lettera piú recente era vecchia di mesi, ormai la sapevo a memoria, esco lo stretto necessario, giusto il tempo di vendere qualche pezzo buono di casa per riempire un po' la dispensa, per fortuna che la mamma era morta prima. Anch'io ogni tanto le scrivevo, cartoline piú che lettere, sono vivo, punto. Alcuni commilitoni non resistevano alla tentazione di sfogarsi, di raccontare piú di un particolare sulla vita al fronte, ma rischiavano il collo inutilmente, la censura selezionava una quantità di lettere da aprire a caso e se li pescavano, e poi era meglio che la gente a casa non sapeva un bel nulla.
Con quello che si sentiva in giro dei russi Margarete non avrebbe avuto scampo, la dovevi vedere, snella e forte come un tiglio, i capelli folti e i fianchi, non aveva perduto nulla in quegli anni in cui mancava pure l'acqua. Buongiorno Gretchen, le avevo detto sulla soglia, eccomi di ritorno. Karl, mi ha risposto, pensavo ormai che eri morto anche tu.
In casa restava ben poco, anche perché Margarete era riuscita a portare in cantina gli oggetti di valore, il suo bracciale, l'orologio, la radio, li aveva nascosti sotto un mucchio di mattoni che non si sa mai, e aveva fatto bene, perché ci sono serviti nei primi tempi a tirare avanti. Io andavo per le campagne, uscivo la mattina presto, perché alle nove passavano i russi a bussare casa per casa in cerca di "volontari" per spazzare le strade del quartiere, e dovevi vedere come venivano pulite, non c’era paragone rispetto a prima, anche merito di Margarethe, come se non aveva di meglio da fare. Ma ti dicevo, uscivo presto e tornavo solo la sera, in bicicletta o in treno da Lehrter Bahnhof era lo stesso, ci mettevi tutta la giornata. Nelle campagne non ve la passavate mica male, si trovava di tutto, pane, latte e uova, perfino la carne. Il problema era pagare, voi contadini vi approfittavate del bisogno. Per primo il braccialetto, poi il tappeto, l’orologio d’argento del nonno, infine la radio, quello era il sacrificio piú grosso, era di compagnia nei primi tempi, anche se i programmi erano quelli che erano, ma si prendeva la stazione inglese. Infine toccò al letto, a Margarete dispiaceva, l'ultimo mobilio rimasto, la casa era vuota, l'armadio lo avevo fatto a pezzi per la stufa, quell'inverno si moriva di freddo e poi non c'era piú niente da metterci dentro.
Quando abbiamo finito i pezzi da barattare Grete ha domandato sconsolata e adesso come si fa?, ma io avevo già visto in Russia come funzionava col baratto, quando nei territori occupati si era interrotto l'approvigionamento, e ormai conoscevo qualche contadino dalle parti di Malchow a cui procuravo le sigarette, e cosí sapevo già chi aveva bisogno di una mano, si avvicinava la raccolta dei cavoli verzotti e delle rape, e quella delle patate era appena cominciata. I campi erano trascurati da quando l'esercito s'era preso voi contadini, molti non sono tornati dalla Russia nemmeno ora, e cosí abbiamo tirato avanti per un po‘. A voi contadini fa difetto un po' di fiducia nel prossimo, e sorvegliavate sempre i braccianti cittadini con la coda dell’occhio o con la moglie, cosí non riuscivo a nascondermi niente nelle brache. L’unica era mangiare un po' sul momento, pensa la fame, con le carote si poteva fare, non con i cavoli e le patate, però a raccolta finita in genere i contadini mi lasciavano tornare sul campo a scavare qualche asparago o patata dimenticata, non era molto ma meglio di niente, e dei cavoli rimanevano sul terreno le foglie esterne, messe insieme un bel mucchio, verdi e coriacee, Margarethe ci faceva uno sciroppo sulla stufa.
Infine c‘era rimasta una stuoia, quella che la mamma aveva comprato prima della guerra come scendiletto, ora era diventata il nostro letto vero e proprio ai piedi della stufa. La legna era merce rara e quando non era umida bruciava a vista d'occhio, altro che carbone, in poche ore tutta cenere, senza contare gli scoppiettii della corteccia. Non c'era mica da fare i preziosi ma ti giuro, non si prendeva sonno finché non si era spento l’ultimo tizzone, perciò tutte le chiacchiere abbracciati l'uno all'altra per il freddo. Avevo l'impressione che non eravamo solo noi, non tutto era da buttar via in quei primi tempi, la gente unita e solidale come non s'era mai vista. Per strada ti fermavano tutti a chiederti come ti va, gente che conoscevi di vista e prima della guerra nemmeno ti salutava. Nessuno che regalava niente, c'era troppo bisogno per fare i signori, ma lo sai che le informazioni essenziali sul mercato nero si venivano a sapere solo cosí, per giro di voce, non si trovavano mica sul giornale, chi aveva qualcosa da barattare o chi aveva macellato un porco, potevi andare a chiedere se ti lasciavano le interiora a poco. Per mesi non abbiamo visto l'ombra di carne rossa o di una salsiccia, se ti andava bene le trippe o i reni, le ossa per insaporire il brodo erano già per la domenica. A me mi interessava molto anche sentire come la gente aveva passato la guerra, quanti morti hai avuto al fronte e quanti in cantina, bastava aprir bocca per sentirsi raccontare i destini piú diversi, storie anche comiche, non c'erano solo le tragedie familiari, uno scambio di consolazioni che aiutava a tirare avanti. Sempre cosí, nel momento del bisogno la gente si stringe insieme, come ci stringevamo con Grete sulla stuoia al freddo, quasi inevitabile, si battevano i denti e io le raccontavo qualche storia di soldati, anche se non me ne venivano in mente tante. Avevo sí la sensazione di averne viste parecchie, Belgio e Francia fino al ’41, poi sul fronte orientale Masuria, Ucraina e Russia bianca, la Rutenia bianca delle SS che era diventata un unico cimitero enorme di compagni abbandonati sul terreno. E alla fine la difesa disperata e senza senso di Varsavia, e poi la ritirata fulminante e disordinata, centinaia di chiacchiere e impressioni durante gli spostamenti in treno e la notte al freddo, quando ti dovevi scavare la fossa da solo se volevi chiudere occhio per qualche minuto. La terra nuda era spesso l'unica per scaldarsi, oltre allo schnaps, quello non mancava mai, si combatteva tutti ubriachi fradici e morti di sonno. Nessuno riusciva a chiudere occhio per un'ora di fila, nemmeno i sottufficiali, che spesso dovevano scavarsi una fossa pure loro, vecchia usanza prussiana per tenere su il morale della truppa. Ma poi bastava vedere il casermaggio degli ufficialetti per farti salire su una rabbia, studenti della buona borghesia che discutevano di guerra come di un'attività sportiva, e si preoccupavano soprattutto di arredare una baracca per portarci le ragazze del posto o di trovare tra i soldati quattro musicisti per una piccola fanfara, e dormivano al calduccio anche al fronte senza la paura dei partigiani bielorussi. Al fronte per modo di dire, la maggior parte non riusciva a vederlo nemmeno col cannocchiale e non gli pareva vero.
Ho dimenticato molto di quel periodo, cosa che uno non si spiega, eppure anche quando le vedi con i tuoi occhi o raccontare dai commilitoni. Ho dimenticato le facce da latte delle giovani reclute che arrivavano fresche fresche al fronte, ventenni entusiasti e patriottici che realizzavano il loro sogno di guerra, il sogno del fronte orientale. Noi coscritti del '38 tremavamo dalla paura dei partigiani nei boschi russi, ma ringraziavamo il cielo di essere al fronte dalla prima ora. Non avevamo nemmeno il tempo di commiserarle, le reclute deliranti e fanatiche che si gettavano in avanti con il Führer in bocca, non duravano in media piú di due settimane e non erano di nessun aiuto, carne da macello per i partigiani e l'armata rossa. E ho dimenticato anche le facce di quelli che all'improvviso si rifiutavano perfino di andare avanti, quelli che ti costringevano a fucilare sul posto, e miravi al petto cercando di non guardare le facce imploranti che il giorno prima ti avevano passato lo schnaps grazie al quale riuscivi a premere il grilletto. Sul momento pensi che non te le dimentichi piú e invece poi sulla stuoia mi veniva un vuoto nel cervello, una specie di mal di testa, tutti gli scoppi nelle orecchie, che per farlo passare chiedevo a Grete di raccontarmi qualche storia lei. Lei sì che le sapeva raccontare, non come me, a volte parlava per ore e cosí ti addormentavi. Non che erano noiose, ma mi facevano dimenticare anche il freddo e il rumorino nello stomaco, troppa minestra e poca sostanza, e si vedeva che era contenta, che ne aveva bisogno pure lei.
Dí la verità che non riesci nemmeno a immaginarti i combattimenti casa per casa e i bombardieri inglesi, erano stati terribili per Margarete, aveva dovuto chiudere a chiave l'appartamento e si era rifugiata in cantina insieme a tutti gli inquilini del palazzo e pure qualche altro disgraziato: ci siamo trovati fra due fuochi, le SS nella scuola sulla Pappelallee passavano a reclutare vecchi e ragazzi per i carri armati, mentre i russi avevano appostato i tiratori sulla chiesa cattolica della Wichertstrasse. Le SS dicevano che i russi erano stati respinti fino a Bernau o addirittura a Francoforte sull‘Oder, in verità due giorni dopo erano sul campanile e tiravano anche ai gatti, se si provavano ad attraversare la strada. Margarethe è rimasta più di quattro settimane rinchiusa in cantina, anche se uscivano a turno, il tempo di mettere insieme qualcosa da masticare, chi cercava l'acqua, chi il pane, la carne, piselli o un quarto di cavolo, poi si metteva al centro e si mangiava tutti. A breve distanza c'era una stalla, ogni giorno un quarto di litro per il bambino di Hannelore, tutto gratis, soldi non ne aveva piú nessuno, oggi te lo sogni la notte. Di giorno il problema piú grosso era l'acqua, il bambino di Hannelore è rimasto vestito otto giorni di fila. Le fasce nere come pece. Acqua non ce n'era. Ma non ha aperto bocca per reclamare una volta, e non poteva nemmeno sedersi, poverino, e invece noi sì. Letti non ce n'era, a parte per il bambino, e si dormiva seduti e tutti vestiti. Una porcilaia. Otto giorni senza lavarsi, otto giorni senza cambiarsi, qui pure fa schifo ma almeno ti puoi lavare, ti devi se no le tocchi, però in quella cantina ammuffita avevi dovuto starci. In marcia con l’esercito è una cosa, all’aria aperta e in movimento, con tutti gli strapazzi, ma ti voglio vedere quattro settimane nella cantina in cui il vecchio Erich non poteva nemmeno stare dritto, e non era due metri di sicuro.
Una volta Gretchen era uscita a ordinare del pane, c’era ancora qualche fornaio che lavorava a buon ritmo, il piú vicino la Brotfabrik sulla Greifenhagener - e sai cosa dovevi portarti dietro se volevi una pagnotta? Un secchio d’acqua e tre brichetti, altrimenti niente, e dopo c'era anche da pagare, ma tant’è, i fornai non avevano piú acqua né carbone, e neppure a guerra finita è cambiato molto, almeno nei primi tempi. Ma dicevo, al ritorno dal fornaio, quasi a casa, viene spinta a terra dall’esplosione di una granata, sembra quasi che le scoppia sopra la testa, e il primo pensiero alla cantina a due passi, sul momento ho visto solo il fumo e la polvere, e ho pensato che ci sono rimasti tutti, e ho preso a gridare a piú non posso e a dare di matto, e la gente è uscita in strada dalle urla e l’ha stesa a terra per calmarla, non c’era altro verso, e tutto per niente, la granata era caduta all’incrocio e aveva ridotto male l’inferriata della chiesa, per quello che serviva, a proteggere l’erbaccia che cresceva da anni nel cortile.
Hannelore era andata in cerca dei suoi parenti che abitavano non so dove nella marca, era talmente disperata che non distingueva piú il pericolo, non sopportava di fare la fame quando i parenti nella marca sono mugnai, ma non aveva il coraggio di portarsi dietro il piccolo Hermann, per fortuna, perché poi è scomparsa senza lasciare traccia e anche oggi nessuno sa che fine ha fatto. Margarethe si era presa a cuore il bambino, e cosí qualche settimana dopo il mio ritorno, appena la situazione si è assestata un po', mi sono legato il bambino sulla schiena e siamo partiti in bicicletta alla ricerca di Hannelore e dei parenti. Conoscevo il villaggio dove abitavano, anche se non sapevo l'indirizzo, ma il paese era piccolo e si conoscevano tutti, non ho avuto difficoltà a trovare i parenti. Erano contenti di rivedere il piccolo Hermann, lo avevano visto solo una volta quando era nato, c'era già la guerra e ognuno ne aveva abbastanza per i fatti suoi, ma le donne erano venute lo stesso. Oramai camminava da solo, vedi com'è composto, sembra proprio un ometto, ma quando si sono resi conto che doveva restare da loro hanno cambiato faccia. Hannelore dai parenti non c'era mai arrivata e ormai c'erano poche speranze che si faceva viva, aveva fatto una brutta fine come pensavo io, o se l'era squagliata chissà dove, come disse il mugnaio con la bocca storta. Mi facevano salire il sangue alla testa i parenti che si lamentavano di sfamare una bocca in piú, come se facevano la fame, e invece in confronto a noi che abitavamo in città, l'unico mulino dei paraggi e servivano pure un battaglione di russi in paese, pagavano sottoprezzo, ma una guarnigione con soldati a dozzine, pensa le pagnotte tutti i giorni. Il mugnaio aveva pure insinuato che era tutta una truffa che avevo organizzato io per scroccargli il pane, che il bambino non era figlio di Hannelore. Ero sul punto di spaccargli la testa, ma poi ho fatto per andarmene col bambino e allora le donne sono scoppiate a piangere e il mugnaio ha cambiato idea, ha chiesto pure scusa e il bambino alla fine è restato da loro. Me ne sono andato poco sollevato, anche oggi non so se ho fatto la cosa giusta, ma tant'è, non avevamo il diritto di tenerci il bambino e niente o quasi da offrirgli.
Poco prima del mio ritorno c'era stato il saccheggio dei bunker di Humboldthain, da noi di bunker non ce n’erano proprio e non avevamo potuto neanche rinforzare la cantina con una porta d’acciaio, come avevano fatto tanti altri per le bombe incendiarie, sono stati tutto il tempo a sedere su un barile di polvere. La cantina non li avrebbe protetti dagli incendi, se la casa prendeva fuoco avrebbero fatto tutti la fine del topo. Le bombe al fosforo non si potevano mica spegnere, non so se hai mai visto i piedi di chi è affondato fino alle caviglie nel bitume delle strade, liquido come le sabbie mobili ma rovente.
I bunker venivano smobilitati uno a uno, bisognava approfittare dello scarto tra la partenza delle SS e l'arrivo dei russi, e se avevi fortuna potevi trovare zucchero e sale a sacchi interi, fagioli e patate, mentre Frau Schultz aveva messo gli occhi addosso al negozio di scarpe di Kowalski, quello sulla Gleimstraße. Se ne arriva una notte con un sacco pieno, parola, aveva arraffato di tutto a caso, ed era tornata impettita come suo solito con un sacco dietro la schiena, e poi la bella sorpresa, tutte sinistre, giuro, non ce n'era una destra. Tu adesso ridi ma sul momento, Karl, ci saremmo calzati tutti per dieci anni e invece quella stupida della Schultz.
In quei primi mesi passavano continuamente i russi per le case, i soldati, non gli ufficiali, si erano sistemati sulla Göhrener Straße, una volta erano entrati in casa che io ero fuori a far legna. Se ti fermavano a un controllo di ronda potevi scordarti la legna, se la tenevano loro e ti chiudevano la bocca a schiaffi, ma quel giorno ero venuto a sapere per caso che stavano demolendo un rudere all'angolo con la Duncker e nel cortile avevano buttato giú un albero, cosí sono uscito insieme a Gutschke, che prima della guerra era falegname, e siamo andati a segare qualche bel ramo per la stufa. Sai come faceva Grete a far legna prima che tornavo? Stava a sentire in che direzione cadevano le bombe e dopo che suonava la sirena correva a vedere se avevano buttato giú qualche albero in un viale o in un cortile. Doveva fare in fretta, non era mica l’unica in cerca. E sai come trasportava poi i pezzi di legno lasciati dalle bombe? Li faceva rotolare con i piedi fino a casa, con i gradini, la neve se c'era e le salite e tutto il resto. Ma dicevo dei russi, Margarethe era sola e i soldati le avevano messo gli occhi addosso, si erano infilati in casa con la scusa di un controllo d'ordinanza. Si avvicinavano tutti insieme, saranno stati quattro o cinque, circondandola per non farla sgusciare, ma lei è sempre stata sveglia, è scartata di lato verso la finestra, l'ha aperta e ha gridato in strada Kommandant!, Kommandant!, e i soldati hanno saltato la porta in un lampo, li avrei voluti vedere, si son fatti le scale di corsa. Gli ufficiali russi non scherzano, lo sai, se violenti una ragazza c'è il plotone, anche oggi, senza processo.
Ci sarà scritto da qualche parte che i soldati devono farsi la ragazza, in fondo i russi non erano nemmeno il peggio, prima anche le SS avevano le ragazze, e poi anche gli americani, e le ragazze devono pur mangiare, ma Grete no, Gretchen era diversa. Le altre bussavano alla porta col secchio in mano, i russi le facevano entrare e poi mezz'ora dopo le accompagnavano alla fontana. Una vecchia compagna di scuola di Grete andava in giro con una pelliccia, finché non torna il padrone che riconosce la pelliccia per strada e se la riprende, l'ha spogliata e inseguita fino a casa. Poi è sparita di colpo, nessuno l'ha piú vista. Lo stesso è successo a due sorelle che abitavano di fronte, i soldati gli avevano regalato due biciclette, ai russi piace fare regali, e cosí scorrazzavano da sole, senza soldati, in bicicletta fino alla Brotfabrik sulla Prenzlauer Promenade, Kuglerstraße e Humannplatz, poi un giorno i padroni hanno riconosciuto le biciclette, se le sono riprese e le hanno pure suonate.
In quei primi tempi c'era coprifuoco, di notte veniva imposta oscurità totale, guai ad accendere un lume, anche se poi a quasi tutti faceva difetto il petrolio. Niente di strano, era anche per quello che s‘era persa la guerra. C'era un tale sulla Lychener che accendeva e spegneva un lume a intermittenza quando suonava l’allarme, i russi lo hanno pescato quasi subito, ma nessuno sa bene perché faceva quei segnali luminosi e per chi, forse per gli americani. In ogni caso non sarà nemmeno passato come noi per la Keibelstraße, l’avranno fucilato dopo l'interrogatorio.
Quando ero tornato le avevo detto che i russi mi avevano lasciato andare, era quello che avevo raccontato a tutti, ma non era vero. Con tutta la buona volontà, non potevano liberare nessuno se la guerra non era nemmeno finita. Margarethe non era cretina, l'aveva capito ma non ha detto niente, però io non mi vergognavo, se penso a quello che hanno combinato al babbo, ci sono rimasto anche troppo, sul bel fronte orientale di Hitler, un mattatoio è stato, per il grano e il petrolio, ne avrai sentito parlare anche tu in Africa. Povero babbo, morire per mano dei russi, pensavo durante la ritirata, il colmo per lui che era saldatore, sai che da giovane si era fatto la rivoluzione? Da bambino mi diceva sempre, quando verrà la Germania Sovietica... sempre la stessa frase, quando verrà la Germania Sovietica tutto il sangue non sarà stato invano, e poi altro sangue, che senso ha avuto, proprio non lo so.
Piú avanti ci siamo uniti alle altre divisioni per la difesa di Varsavia, anche se la città militarmente non è di nessun valore, ma tant'è, l'orgoglio matto di Hitler solo per il nome Varsavia, contro ogni logica. La guerra è persa ma nessuno lo dice, un fallimento completo, già sulla Vistola mi era venuto il pensiero di buttare il fucile e mandare tutto al diavolo. Per fortuna che mi è mancata l'occasione, perché poi, a guerra finita, è saltato fuori che il Primo Fronte Bielorusso non ha fatto prigionieri. Non potevano lasciarli andare che si sarebbero riarmati, ma nemmeno portarseli dietro durante l'offensiva, in fondo hanno fatto l'unica cosa da fare, erano in guerra e soldati. E poi la ritirata, i carri russi agili e veloci come autoblinde, dieci giorni dalla Vistola all'Oder, Stalin voleva arrivare a Berlino prima degli americani. Invece ai nostri prima o poi finiva il gasolio e con l'ultima tanica davamo fuoco ai carri, piuttosto che lasciarli in mano ai russi. Fu durante la ritirata verso il Brandeburgo che incontrai il vecchio Hilse, mezzo assiderato con il giaccone a brandelli, aveva saputo da Eckardt, il fochista, la vera fine del vecchio, un compagno al fronte che conosceva di vista il babbo era stato testimone. Pare che aveva tentato la fuga, era d'accordo con qualche compagno, sono sicuro che da solo non ci avrebbe nemmeno pensato, ma la polizia militare, i "cani da catena", li avevano ripresi di lí a poco, e sai la fine che facevano, no? Venivano spediti in prima linea oppure, come il babbo, a sminare. Il risultato era lo stesso, non sopravviveva praticamente nessuno - quei bastardi! - e cosí quella fu la fine del vecchio. Ma in fondo sono contento per lui, non le poteva vedere le SS, meglio che essere ammazzato dai soviet, almeno non ha il rimpianto. E cosí prima di difendere l'Oder ho deciso di andarmene anch'io, e non me ne frega se mi riprendono. Oramai me lo sentivo nelle ossa che la partita era persa, che a rimanere lí ci restavo ma per sempre, e hai voglia di dar retta alla propaganda sui tartari che si prendono mogli e sorelle.
Grazie al babbo, o meglio, al suo vecchio compagno Uli Petzhof, avevo ottennuto un posto come autista alla metropolitana, un posto di responsabilità. I compagni si ricordavano ancora del vecchio Hannes, si dispiacevano sinceramente per la sua fine, non se lo meritava e quel posto era una specie di risarcimento. Non lo possono riportare in vita, aveva detto Uli il tornitore, ma io non dovevo preoccuparmi, i compagni hanno la memoria lunga, avrebbe parlato con chi di dovere, e per chi ha voglia di lavorare, e cosí avevo ottenuto il posto. Con il nuovo ordine si sarebbe aggiustato tutto.
Anche Margarethe aveva trovato lavoro, come cassiera al cinema Tivoli. Tutte le sere che tornavo dal secondo turno era già in servizio, e quando non sapevo cosa fare passavo a trovarla e qualche volta entravo pure a vedere il film o il notiziario. Davanti alle altre faceva finta di prendere i soldi, poi me li rendeva il mattino dopo a casa. Ma la maggior parte delle volte non entravo alla proiezione, non avevo voglia di vedere un bel niente, a parte Margarethe alla cassa, cosí l’aspettavo dall’altra parte della piazza e me la potevo vedere tutto il tempo da vicino. Era svelta a strappare i biglietti e a fare il resto, poi appena cominciava la proiezione chiudeva la cassa e faceva il rendiconto. Ogni tanto si voltava di lato e mi gettava un’occhio, sorrideva un attimo e poi tornava al lavoro, ma a me non me ne importava molto. Aspettavo in piedi fino alla chiusura e poi passeggiavamo fino a casa, un bel tratto di una mezz’ora a passi svelti, il momento più bello della giornata.
Che soddisfazione vedere la dispensa piena! Con la fame che avevamo passato ti saziavi solo a vedere tutto il ben di dio, salami e salsicce, conserve, fagioli, lenticchie e patate, Margarethe aveva imparato a cucinare dalla mamma, non c’era da lamentarsi per quello. Ma la gente era cambiata, con la ricostruzione e i traffici che diventavano sempre peggio, e tutto sembrava tornato come prima della guerra, a parte le macerie e i soldati per strada. Restavano le tracce ma nessuno le vedeva piú, qui è morto tal dei tali, e il terzo giorno passi davanti e non ci pensi piú. Solo di notte tornava la pace, le strade silenziose e oscure senza lampioni. I russi non hanno fatto in tempo a rimetterli, c’è ben altro che ha la precedenza, anche per quello mi piaceva tanto passeggiare la notte con Margarethe. Con la luna non c’era bisogno d‘illuminazione, e che pace quando la città dormiva! Una notte avevo accompagnato Grete a casa dopo il lavoro ma non avevo voglia di mettermi subito a letto, con quella luna in cielo mi sembrava uno spreco, cosí ho salutato piano Margarethe guardandola negli occhi, ma lei aveva sonno ed era gia metà dentro il portone, e così sono restato da solo in strada con i miei pensieri. Ho camminato sulla Schönhausen fino al Café Nord, angolo Wichertstraße, una bettola sempre affollata che restava aperta tutta la notte. Ancora oggi c'è parecchia gente senza un tetto sopra la testa in questa città, restano a dormire con la faccia sul tavolino, ma nessuno fa questioni perché conoscono la situazione. Al Café Nord c'erano tante ragazze, ma anche se ora c'avevo i soldi mi mancava la voglia. Al fronte mi vedevo le ragazze anche in battaglia dalla voglia che c‘avevo, ma ora lo sapevo io il motivo, anche se le ragazze erano belle, piú belle di Margarethe.
E la notte dopo la stessa luna bianca senza una nuvola in cielo, sarà stata quella luna a farmi effetto. Niente Café Nord quella sera, me la guardavo dalla finestra della cucina che splendeva, cosí fredda e pulita. Margarethe si era appena coricata, sono entrato in camera ma non nel mio letto, sono entrato in quello di Margarethe, avevo voglia di sentire la sua pelle come prima, se ci vede qualcuno Karl, non ci vede nessuno Grete, ma lei invece è saltata fuori e mi ha lasciato lí nel letto ed è scappata in cucina, adesso non è piú come l'anno scorso, Karl, e perché no? urlo io fino in cucina, cos'è cambiato adesso? E cosí che è successo tutto, mi sentivo una rabbia dentro che saliva, non era giusto, dopo quello che s'era passato insieme. Mi vedevo la scena come da fuori, come se non ero io ma un personaggio di un film muto del Tivoli: Grete in cucina davanti alla finestra che guarda la luna con le braccia conserte, Grete che scappa e urla Karl e piange e minaccia, Grete infilzata nel fianco che si aggrappa alla stufa ancora calda, Grete che rovescia la minestra e cade per terra sulla minestra, Grete che si muove ancora e Grete che non si muove piú. L'ho raccolta tra le braccia, l'ho baciata nei capelli, sulla nuca, sui seni tiepidi, l’ho rimessa a letto e sono tornato in cucina a osservare la luna. Quando la stuoia era stretta e si tremava di freddo, se ci vede qualcuno. Non ci vede nessuno, Margarethe. La pancia piena ma il cuore stretto, questa la condanna, vuoto il cuore e pieno lo stomaco.
Per il soldato Ratzek è arrivato il momento del giudizio, amico mio, un po‘ in ritardo ma senza pietà. La guerra è finita e tutti sono tornati in superficie. Non strisciano piú come i ratti, hanno dimenticato come si fa, ora hanno una carta alimentare, ma come hanno strisciato per mesi sottoterra, mentre noi vegliavamo al fronte insieme alla luna.
Non chiedo misericordia né perdono, amico mio, sta bene cosí, la mia testa e la mia colpa rotoleranno nel vuoto senza far rumore. Tanto fra poco ritornerò da Grete in cantina, tra le bombe e i tiratori scelti sui campanili, da Grete che dorme seduta, nella cantina zeppa di tutti gli inquilini del palazzo, con le bombe che fischiano sulla Schönhausen e settimane intere senza un secchio d'acqua in cui lavarsi nemmeno lí sotto. E fra poco ritornerò da Grete sulla stuoia, la casa vuota e perciò piú fredda, ai piedi della stufa accesa prima di addormentarsi, e accarezzerò di nuovo la sua pelle tremante.
C'è una luna chiara anche stasera, amico mio, e fra poco me ne tornerò da Margarethe.



Antonello Piana
è nato ad Alghero, in Sardegna, nel 1974, ha studiato a Pisa e dal 1998 vive e lavora a Berlino.

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