IL TABU' DEI DOMINATORI

Sigmund Freud



Il comportamento che i popoli primitivi assumono verso i loro capi, i re ed i sacerdoti, è basato su due principi i quali, piuttosto che essere in contraddizione, sembrano vicendevolmente completarsi. Elementi di quella classe occorre non soltanto guardarli ma guardarsi da loro[1]. Si può raggiungere questo doppio fine attraverso un’infinità di prescrizioni tabù. Non sappiamo già perché occorra guardarsi dai capi: essi sono infatti portatori di una misteriosa e pericolosa forza magica la quale passa da un individuo all’altro per contatto come una carica elettrica, e dà morte e rovina a colui che non ne è protetto. si cerca così in ogni modo di evitare qualunque contatto, sia diretto sia indiretto, con queste entità sacre e pericolose, e nel caso in cui il contatto non possa essere evitato, si escogita un cerimoniale per scansare gli effetti che si temono. per esempio, i Nubas, nell’Africa orientale, sono convinto di andare incontro a morte certa entrando nella casa del loro re-sacerdote, ma di poter schivare il pericolo denudando la spalla sinistra e facendola toccare dal re con la mano. Abbiamo così che il contatto del re diventa un rimedio e una protezione dal pericolo che deriva dal toccarlo. In questo caso, si tratta, però, del potere in contrapposizione al pericolo di toccarlo, e cioè della contrapposizione tra la passività e l’attività nei confronti del re.

Ma non c’è affatto bisogno di risalire fino ai selvaggi per dimostrare l’opera di risanamento che svolge il contatto col re. i re d’Inghilterra si sono avvalsi di questo loro potere, in tempi relativamente recenti, a proposito della scrofolosi, la quale ebbe per questa ragione il nome di The King’s Evil. La regina Elisabetta non volle rinunziare a questo aspetto delle proprie prerogative di regnante, ed altri suoi successori seguirono il suo esempio. Nell’anno 1633, Carlo I avrebbe guarito cento ammalati, in una sola volta, e dopo la grande rivoluzione inglese, sotto il dissoluto governo di suo figlio Carlo II, le guarigioni reali della scrofologia godevano di enorme risonanza.

Questo re avrebbe, durante il suo regno, toccato quasi centomila scrofolosi, ed in quelle occasioni era tale la calca delle persone, che una volta sei o sette morirono schiacciate dalla folla, piuttosto che trovarvi guarigione. Guglielmo III d’Orange, il quale salì al trono d’Inghilterra dopo la cacciata degli Stuart, di temperamento più scettico, si rifiutò do praticare questa forma di sortilegio. Pare ch’egli vi si prestasse una sola volta e che pronunciasse le parole: “ Che Dio vi dia maggior salute e più giudizio.”[2]

Non possiamo, dai resoconti che seguono, formarci un’idea dell’effettto terribile che produce il contatto, anche se involontario, con il re e con le cose che gli appartengono. Un capotribù neozelandese, di alto rango e notevole sacralità, aveva lasciato per la strada i resti del suo pasto. Uno schiavo, un pezzo d’uomo sempre affamato, che passava proprio di là, vide questi resti e li mangiò. Quando ebbe finito, qualcuno che aveva seguito con orrore la scena, gli disse che quel cibo ch’egli aveva osato mangiare apparteneva al pasto del del capo-tribù. Il giovane, per quanto fosse stato un guerriero forte e coraggioso, ricevuta quella notizia stramazzò al suolo e morì, dopo atroci convulsioni, al tramonto del giorno stesso[3]. Una donna Maori, che aveva mangiato della frutta ed aveva poi appreso che proveniva da un luogo tabù, si mise a gridare forte che lo spirito del capo-tribù, offeso in tal modo, l’avrebbe uccisa. Il pomeriggio era avvenuto il fatto; al mezzogiorno del giorno successivo era già morta. L’acciarino di un capo-tribù Maori, una volta, fu fatale a parecchie persone. Esso era stato smarrito da l capo-tribù, e molte persone, avendolo trovato, lo avevano usato per accendere le proprie pipe. Quando vennero a sapere a chi era appartenuto morirono tutti di spavento.

Non ci meraviglia certamente che si sia sentita la necessità di isolare alcune persone così pericolose, capi-tribù, sacerdoti, e di costruire loro intorno un muro di impenetrabilità. Possiamo supporre che di questo muro, eretto un tempo per le prescrizioni derivanti da tabù, qualcosa sia rimasto nella forma dei cerimoniali di corte.

Forse, però, la maggior parte di questi tabù che riguardano i dominatori non sono collegati al bisogno di difendersi da essi, poiché è evidente nella loro creazione( e dunque nella formazione dell’etichetta di corte) il punto di vista che considera il particolare trattamento delle persone privilegiate come il bisogno di difenderle dai pericoli che le minacciano.

La necessità di proteggere il re da ogni possibile pericolo deriva dall’enorme importanza che egli ha nella vita dei suoi sudditi. E’ la sua persona che regola l’intero corso della loro esistenza nel vero senso della parola.; il suo popolo deve essergli riconoscente non solo per per la pioggia e la luce del sole che fa prosperare i frutti della terra, ma anche per il vento che spinge le navi alla riva e per la terraferma su cui gli uomini poggiano i piedi.[4]

Questi re dei popoli selvaggi possiedono una potenza ed una capacità di dispensare benefici che si riconoscono solo agli dei, e ai quali, in una più avanzata fase di civilizzazione, solo i più servili ed ipocriti cortigiani fingeranno ancora di credere.

Vi è un’apparente contraddizione tra questa onnipotenza della persona regale e la necessità di do proteggerla dai pericoli che la minacciano; ma questa non è la sola contraddizione che si può constatare nell’atteggiamento dei selvaggi verso il loro re. Questi popoli ritengono anche opportuno sorvegliare i loro re perché questi facciano buon uso dei loro poteri; sono ben lontani dall’essere convinti delle loro buone intenzioni o della loro lealtà. Vi è una certa diffidenza nella motivazione delle prescrizioni tabù concernenti il re :

“L’idea secondo la quale la regalità primitiva sarebbe una regalità dispotica “, dice il Frazer[5], ”non può assolutamente essere applicata alle monarchie  di cui parliamo. Viceversa, in queste monarchie il sovrano vive solo per i suoi sudditi; la sua vita ha valore solo in quanto egli adempie agli obblighi della sua carica, regola il corso della natura per il bene del suo popolo. Dal momento in cui egli trascura o cessa di assumere questi obblighi, l’attenzione , l’adorazione, la venerazione religiosa, di cui godeva in sommo grado si trasformano in odio e disprezzo. Egli è cacciato vergognosamente e può ritenersi fortunato se riesce a salvare la vita. Oggi adorato come un dio, può domani essere ucciso come un criminale. Ma non dobbiamo vedere in questo cambiamento d’atteggiamento del popolo una prova d’incostanza o una contraddizione; anzi, il popolo resta logico fini in fondo. Se il loro re è il loro dio, essi pensano, deve essere anche il loro protettore; e dal momento in cui non vuole proteggerli, deve cedere il posto a un altro che è più disposto a farlo. Ma fintantoché egli risponde alle loro esigenze, le loro cure nei suoi confronti non hanno limiti ed essi lo obbligano anche a curare se stesso con lo stesso zelo. Un tale re vive come imprigionato in un sistema di cerimoniali e di etichette, avvolto in una rete di usanze e di divieti che hanno lo scopo non d’innalzare la sua dignità e, meno ancora, di accrescere il suo benessere, ma solo d’impedirgli di commettere azioni che possano turbare l’armonia della natura trarre in rovina lui, il suo popolo e il mondo intero. Ben lontane dal tornare a suo beneficio, queste restrizioni lo privano di ogni libertà e fanno della sua vita, che essi pretendono di proteggere, un peso ed una tortura”.

Nel tenore di vita che un tempo conduceva il mikado del Giappone troviamo uno degli esempi più sorprendenti dell’inceppamento e dell’immobilizzazione di un sacro sovrano. Ecco quanto riporta una relazione antica di oltre due secoli[6]:

Il Mikado considera incompatibile con la sua dignità e col suo carattere sacro toccar il suolo con i piedi. Così, quando deve recarsi in qualche luogo, si fa portare a spalla dai suoi servitori. Ma è ancora meno conveniente che la sua persona sia esposta all’aria libera, e al sole è rifiutato l’onore di risplendere sul suo capo. A tal punto si attribuisce un carattere sacro a tutte le parti del suo corpo che i suoi capelli, la sua barba e le sue unghie non debbono essere mai tagliati. Ma perché non sia del tutto trascurato, viene lavato di notte, mentre dorme; quanto viene tolto al suo corpo, in questo stato si può considerare come gli venisse rubato ,ed un furto di questo genere non arreca pregiudizio alla sua dignità e santità. In tempi passati egli doveva, ogni mattina, rimanere seduto per alcune ore sul trono, con la corona imperiale in testa, senza muovere le braccia, le gambe la testa e gli occhi : solo così, si pensava, egli poteva mantenere la pace e la tranquillità nell’impero. Se, disgraziatamente, si fosse voltato da una parte o dall’altra, o se il suo sguardo fosse stato per un certo tempo su una qualche regione del suo Impero, ne sarebbero potuti derivare per quel paese una guerra, una carestia, la peste, un incendio o un’altra disgrazia che l’avrebbe portato alla rovina.

Alcuni dei tabù cui sono sottomessi i re barbari ricordano le limitazioni imposte agli assassini. A Shark Point presso Kapp Padron nella Guinea Inferiore(Africa occidentale), un re sacerdote, Kukulu, vive solo in una foresta. Egli non deve aver rapporti con nessuna donna, né lasciare la sua casa, non deve nemmeno alzarsi dalla sedia, sulla quale dorme seduto. Se si coricasse, il vento cesserebbe di soffiare e la navigazione sarebbe interrotta. E’ la sua funzione placare le tempeste e, in generale, badare al mantenimento di normali condizioni atmosferiche.[7] Quanto più un re di Loango è potente, dice il Bastian, tanto più sono numerosi i tabù che egli è tenuto ad osservare . Il successore al trono vi è assoggettato fin dall’infanzia, ma i tabù aumentano intorno a lui man mano che egli cresce: quando sale al trono, ne è letteralmente soffocato.

Lo spazio non ci permette, e il nostro scopo non esige, di proseguire nella descrizione dettagliata dei tabù inerenti alla dignità di re e di sacerdote. Ci limitiamo a dire che le restrizioni hanno, tra questi tabù, la massima importanza. Per dimostrare fino a che punto siano tenaci le usanze che si collegano a queste persone privilegiate, citeremo due esempi di cerimoniale del tabù presi da popoli civili di un livello culturale più elevato.

Il Flamen Dialis, il grande sacerdote di Giove nella Roma antica, era tenuto a osservare un incredibile numero di tabù. Non doveva toccare un cavallo, né montarlo, non doveva vedere eserciti in armi, non portare anelli che non fossero spezzati, non avere nodi su sugli abiti, non toccare farina di frumento né pane lievitato, non toccare né nominare capre, cani, carne cruda, fagioli, edera ecc.; i suoi capelli potevano essere tagliati solo da un uomo libero, che si serviva a questo scopo di un coltello di bronzo, capelli e unghie tagliati dovevano venir sotterrati sotto un albero sacro; non doveva toccare i morti, e gli era proibito stare a capo scoperto all’aria libera ecc. Sua moglie, la  Flaminica, doveva osservare più o meno le stesse prescrizioni e altre sue proprie: su certe scale, dette greche, non doveva salire più di tre gradini e, in certi giorni di festa, non poteva pettinarsi  i capelli; la pelle delle sue calzature non doveva provenire da un animale morto di morte naturale, ma da un animale ucciso o sacrificato; il fato di aver sentito il tuono la rendeva impura, e la sua impurità durava finché non avesse offerto un sacrificio espiatorio[8].

Gli antichi re irlandesi erano sottoposti ad una serie di singolari restrizioni, dalla cui osservanza dipendeva ogni felicità e dalla cui trasgressione ogni disgrazia per il paese. Si può trovare l’elenco completo di questi tabù nel Book of Rights, i cui esemplari manoscritti più antichi risalgono al 1390 e al 1418. I divieti sono molto dettagliati, e riguardano determinate azioni in dati luoghi e in dati momenti: il re non deve soggiornare in quella città un certo giorno della settimana; Non deve passare quel fiume ad una certa ora ; non deve restare accampato per nove giorni in una certa pianura ecc.[9]


Il rigore delle prescrizioni tabù imposte ai re sacerdoti ha dato luogo, presso molti popoli primitivi, ad una conseguenza rilevante dal punto di vista storico e particolarmente interessante dal nostro punto di vista. La dignità di re-sacerdote cessò di essere cosa ambita. Così in Cambogia, dove c’è un re del fuoco e un re dell’acqua, si è reso necessario imporre con la forza l’accettazione di questa dignità. A Nitte o Savage Island, un’isola corallifera dell’Oceano Pacifico, la monarchia praticamente si estinse perché non si trovava nessuno disposto ad assumere le funzioni regali, piene di responsabilità e di pericoli. ”In certe regioni dell’Africa occidentale, dopo la morte del re si tiene un consiglio segreto in cui si nomina il successore. Il prescelto viene preso, legato e guardato a vista nella casa del feticcio, fin quando non si dichiara disposto ad accettare la corona. Talvolta, il presunto successore trova il modo di sottrarsi all’onore che gli si vuole imporre. Si racconta, ad esempio, che un capo-tribù aveva l’abitudine di tenere sempre addosso, giorno e notte , delle armi, per essere in grado di resistere con la forza ad un eventuale tentativo di installarlo sul trono”[10]. Presso i negri della Sierra Leone, la resistenza all’accettazione della dignità regale era così forte che, per la maggior parte, le tribù furono costrette a scegliersi come re uno straniero.

Il Frazer vede in questi fatti la causa della progressiva scissione della primitiva regalità sacerdotale in un potere temporale ed un potere spirituale. Schiacciati dal peso della loro sacralità, questi re erano divenuti incapaci di esercitare realmente il potere e furono costretti ad abbandonare le cariche amministrative a personaggi meno in vista, ma energici e attivi, pronti a rinunciare agli onori della dignità regale. Appaiono così i sovrani temporali, mentre la supremazia spirituale, di fatto divenuta insignificante, fu lasciata ai precedenti re del tabù. La storia del Giappone è una chiara conferma di questa ipotesi. Se osserviamo e studiamo il quadro dei rapporti che intercorrono tra  l’uomo primitivo  i suoi sovrani, si fa strada in noi l’idea che ci sarà facile interpretarlo dal punto di vista psicoanalitico. Questi rapporti sono estremamente complessi e non privi di contraddizioni. Si accordano ai sovrani ampi privilegi, che coincidono con i tabù imposti agli altri. Sono persone privilegiate; hanno il diritto di far ciò che agli altri è proibito, di godere di quanto agli altri è inaccessibile. Ma questa loro libertà è limitata da altri tabù che non gravano sugli individui comuni. Abbiamo qui un primi contrasto, quasi una contraddizione, tra una maggiore libertà e una maggiore limitazione per le stesse persone. Si attribuisce loro uno straordinario potere magico, e per questo si teme ogni contatto con la loro persona o con gli oggetti di loro proprietà, e tuttavia da questo contatto ci si aspettano gli effetti più benefici. Questa sembra un’altra contraddizione, particolarmente evidente; ma sappiamo già che, in realtà, essa è solo apparente. I contatti stabiliti d’iniziativa del re sono salutari e protettivi; è pericoloso il contatto stabilito da un uomo comune col re o con oggetti di sua proprietà, probabilmente perché questo contatto può nascondere un’intenzione aggressiva. Un’altra contraddizione , meno facile da chiarire, è nel fatto che, pur attribuendo al sovrano un gran potere sulle forze della natura , ci si ritiene obbligati a proteggerlo con particolare cura contro i pericoli che lo minacciano, come se il suo potere non fosse in grado di proteggerlo. Un’ulteriore difficoltà consiste nel fatto che non si ha fiducia nel giusto impiego che il sovrano fa del suo straordinario potere, che deve servire solo al bene dei suoi sudditi e della sua propria persona, e anzi ci si ritiene obbligati a sorvegliarlo. Da questa diffidenza sono sorte le cerimonie tabù cui è sottomessa la vita del re e che devono proteggere il re stesso dai pericoli che possono minacciarlo, e i sudditi dai pericoli che egli rappresenta per loro.

La spiegazione più semplice per questi rapporti, così complessi e contraddittori, tra i primitivi e i loro sovrani, sembra essere questa: per ragioni di natura superstiziosa, o di diversa natura, i primitivi sono portati a esprimere, nel loro atteggiamento nei confronti del re, diverse tendenze, ciascuna delle quali è spinta all’estremo, indipendentemente dalle altre. Derivano da ciò le contraddizioni di cui, d’altronde, la mente dei primitivi, come anche quella dei popoli civili, si preoccupa ben poco, quando si tratta di questioni religiose o di obblighi di fedeltà.

L’argomento sarebbe esaurito; ma la tecnica psicoanalitica ci consentirà di penetrare più profondamente questi rapporti e ci insegnerà ancora molte cose sulla natura di questa tendenze così disparate. Sottoponendo la situazione che abbiamo descritto all’analisi come se si trattasse del quadro sintomatico di una nevrosi, prenderemo l’avvio dalle preoccupazioni angosciose che troviamo al fondo del cerimoniale del tabù. Un simile eccesso affettivo è un fenomeno comunissimo nella nevrosi, soprattutto in quella ossessiva, che esaminiamo particolarmente per poter fare un confronto. Conosciamo a fondo la sua origine. Essa insorge nei casi in cui, accanto all’affettuosità predominante, sussiste un sentimento di inconscia ostilità, cioè quando si verifica il tipico caso di un atteggiamento affettivo ambivalente. L’ostilità viene allora soffocata da una smisurata tenerezza che si manifesta in forma angosciosa, che diventa ossessiva perché altrimenti non basterebbe al suo compito, che consiste nel tenere rimosso il sentimento opposto. Non c’è psicoanalista che non abbia constatato con quanta certezza, nelle situazioni più inverosimili, (per esempio, tra madre e figlio o tra coniugi molto uniti), questa spaventosa iperaffettuosità possa essere spiegata in questo modo. Per quanto riguarda il trattamento di individui privilegiati, possiamo nello stesso modo riconoscere che all’adorazione di cui essi sono oggetto, alla loro divinazione, si contrappone nell’inconscio un sentimento potentemente ostile, cioè anche qui si ritrova la situazione dell’ambivalenza affettiva. La diffidenza che appare come un incontestabile motivo dei tabù imposti ai re, d’altra parte sarebbe, e più direttamente, una manifestazione della stessa ostilità inconscia. E dati i diversi risultati di questo conflitto tra i differenti popoli, non ci sarebbe difficile trovare esempi in cui appaia con particolare evidenza la prova di questa ostilità. Il Frazer[11] ci racconta che i selvaggi Times della Sierra Leone si sono riservati il diritto di bastonare il re ala vigilia della sua incoronazione; e si valgono tanto coscienziosamente di questo diritto costituzionale che spesso il disgraziato sovrano non sopravvive a lungo al proprio avvento al trono: così i personaggi altolocati delle tribù si sono fatti una regola di eleggere come re l’uomo che odiano; ma anche in casi evidenti come questo l’ostilità non si confessa mai, ma si dissimula sotto l’apparenza dl cerimoniale.

Un carattere dell’atteggiamento dell’uomo primitivo nei confronti del re ricorda  un processo in genere molto frequente nelle nevrosi, ed in particolar modo nel cosiddetto delirio di persecuzione. Viene enormemente esagerata l’importanza di una certa persona, le viene attribuita una potenza illimitata, per poterle più fondatamente addossare la responsabilità di ogni evento sgradevole o doloroso che capita al malato. E in realtà nello stesso modo si comportano i primitivi nei confronti del loro re, quando, dopo avergli attribuito il potere di scatenare o di far cessare la pioggia, di regolare la luce del sole, la direzione del vento ecc., lo depongono o lo uccidono perché la natura perché la natura li ha delusi nelle loro aspettative di una caccia fruttuosa o di un raccolto abbondante. Il quadro che il paranoico riproduce nel delirio di persecuzione è quello dei rapporti tra padre e figlio. Il bambino regolarmente attribuisce al padre una simile onnipotenza, e si può constatare che la diffidenza nei confronti del padre è in diretto rapporto col grado di potenza che gli era stato attribuito. Quando il paranoico ha identificato in una persona il suo “persecutore”, lo innalza al rango di padre, cioè lo pone in condizioni che gli consentano di vederlo come responsabile di tutte le disgrazie immaginarie di cui è vittima. Questa seconda analogia tra il primitivo e il nevrotico ci dimostra fini a che punto l’atteggiamento del primitivo nei confronti del suo re rifletta l’atteggiamento infantile del figlio nei confronti del padre. Ma i più convincenti argomenti in favore dei nostri sforzi volti a stabilire un parallelo fra le prescrizioni tabù e i sintomi nevrotici ci vengono forniti dal cerimoniale del tabù, del quale abbiamo già discusso l’effetto sulla regalità . Il duplice significato di questo cerimoniale e le sue origini da tendenze ambivalenti ci appaiono certi e incontestabili se ammettiamo che fin dall’inizio esso si propone gli effetti che produce. Questo cerimoniale non serve solo a distinguere il re e ad elevarlo al di sopra di tutti gli altri mortali, ma anche a trasformare la sua vita in un inferno, in un peso insopportabile, e ad imporgli una schiavitù assai più penosa di quella dei suoi sudditi. Questo cerimoniale ci appare dunque come l’esatto corrispondente della pratica ossessiva della nevrosi, in cui l’impulso represso e l’impulso che reprime ottengono una soddisfazione simultanea e comune. L’azione ossessiva è apparentemente un atto di difesa contro ciò che è proibito, ma in realtà ne è una riproduzione. L’apparenza si riferisce alla vita psichica conscia, la realtà alla vita inconscia. Così il cerimoniale del tabù è in apparenza un’espressione del più profondo rispetto ed un mezzo per procurare al re la più completa sicurezza; ma in realtà è una punizione per questa elevazione, una vendetta che i sudditi esercitano sul re per gli onori che gli tributano. Quand’era governatore della sua isola, il Sancho Panza di Cervantes ebbe modo di sperimentare su di sé fino a che punto questa concezione del cerimoniale fosse esatta. E’ possibile che, se i re e i capi di oggi fossero disposti a farci qualche confessione, ci fornirebbero nuove prove in favore di questo modo di vedere.

Perché l’atteggiamento affettivo nei confronti del sovrano comporterebbe un elemento così potente di ostilità inconscia?

Il problema è molto interessante, ma sorpassa i limiti del nostro lavoro. Abbiamo già fatto cenno al complesso paterno infantile che riteniamo in rapporto con esso; aggiungiamo ancor che l’indagine sulla storia della regalità primitiva potrebbe fornire una soluzione decisiva a questo problema. In base alle spiegazioni molto impressionanti del Frazer, che però egli stesso non ritiene conclusive, i primi re erano stranieri che, dopo un breve periodo di regno, venivano sacrificati come rappresentanti della divinità, con l’accompagnamento di feste solenni[12]. Un’eco di questa primitiva storia della regalità si ritrova ancora nei miti del cristianesimo.


Note
1
Frazer , Taboo ecc., p.132:”He must not only be guarded, he must also be guarded
against”
[“Non si deve solo guardarlo, ma anche guardarsi da lui”].
2 Frazer, The Magic Art, I, p.368.
3
Old New Zeland, by a Pakeha Maori (London 1884), da Frazer, Taboo ecc., p.135.
4 Frazer, Taboo ecc., p.7.
5
Ibidem.
6
Kampfer, History of Japan, da Frazer, cit.,p.3.
7
A.Bastian, Die deutsche Expedition an der Loangokuste, Jena, 1874, da Frazer, cit.,
8
Frazer, cit., p.13.
9
Frazer, cit., p.11.
10 A.Bastian, Die deutsche Expedition an der Laongokuste, da Frazer, cit., p. 17.
11 Frazer, cit., p.18, secondo ZWEIFEL e MOUSTIER, Voyage aux sources du Niger,
1880.

12
Frazer, The magic and the evolution of Kings, vol. II, 1911 (The Golden Bough).


(Tratto da Totem e tabù, e altri saggi di antropologia, Newton Saggi, Roma, 1990)



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       Copertina.