Cosė fa il vento


Amos Oz





1.

L'ultimo giorno di Ghideon Shenhav esordì con un'aurora splendida.
Mite, quasi autunnale era stata l'alba. Incerti fasci di luce sbucavano dalla muraglia di nuvole che serrava l'orizzonte, a oriente. Quasi con astuzia il nuovo giorno teneva nascoste le proprie intenzioni, non dava segno della calura che serbava.
Un bagliore violaceo avvampava i monti a est, accarezzato da una brezza mattiniera. Poi alcuni raggi di luce sfondarono la barriera di nubi. E fu giorno. Neri spiragli cedettero alle dita della luce. Alla fine il globo incandescente sorse, aggredì la dorsale delle nubi e le sfondò. L'orizzonte d'oriente divenne accecante. E il viola gentile s'arrese, sparì dietro la porpora smagliante, tremenda..
Per alcuni minuti prima del sorgere del sole, il campo fu scosso dai fragori del risveglio. Ghideon si alzò, si trascinò scalzo e insonnolito fuori dalla sua baracca e guardò l'addensarsi della luce. Con una mano magra e scura si strofinò gli occhi ancora desiderosi di sonno. Con l'altra s'abbottonò distrattamente l'uniforme. Ed ecco già voci e suoni metallici: i più diligenti, seduti a pulire le armi in previsione dell'ispezione mattutina. Ghideon invece era lento. La vista dell'aurora destava in lui una specie di sfinimento, forse una vaga nostalgia. Il sole poi sorse, ma il ragazzo rimase lì fermo, quasi appisolato, finché qualcuno non lo spinse da dietro e gli disse: "Dai, muoviti".
Entrò nella baracca, rifece il letto da campo, pulì la mitragliatrice e racimolò le sue cose per radersi. Per strada, fra gli eucalipti spalmati di calce bianca e una teoria di cartelli di raccomandazione alla pulizia e all'ubbidienza, d'un tratto Ghideon si ricordò che era il giorno dell'Indipendenza. E per quel giorno era prevista la dimostrazione dei paracadutisti, nella valle di Iezreel. Entrò nella baracca dei servizi e aspettò che si liberasse uno specchio. Intanto si lavò i denti, pensando alle belle ragazze. Entro un'ora e mezzo i preparativi sarebbero terminati e l'unità sarebbe salita sugli aerei, diretta alla zona del lancio. Una folla di civili entusiasti avrebbe atteso i paracadutisti, fra essa anche delle ragazze. Il lancio sarebbe avvenuto presso il kibbutz di Nof Harish, la casa di Ghideon: lì era nato ed era vissuto sino al giorno in cui era partito militare. Nell'istante in cui i suoi piedi avrebbero toccato la terra di quei campi, i bambini del kibbutz sarebbero stati tutti intorno a lui, saltando: Ghideon, ecco il nostro Ghideon.
Si fece largo fra due soldati molto più grossi di lui e cominciò a insaponarsi le guance, a radersi con una certa fatica. Poi disse: "Fa caldo oggi".
Uno dei due commentò: "Non ancora. Ma farà caldo". L'altro, da dietro, brontolò: "E piantala, invece di blaterare così sin dal mattino".
Ghideon non si offese. Anzi: chissà perché quelle parole lo misero di ottimo umore. Si asciugò la faccia e si diresse verso lo spiazzo dell'adunata. La luce celeste nel frattempo era diventata grigio pallido: una luce canicolare, sporca.


2.

Già il giorno prima Shimshon Sheinbaum aveva previsto con certezza che sarebbe arrivata l'afa. Per questo, appena sveglio, di prima mattina, corse alla finestra a constatare con calmo compiacimento che anche questa volta aveva avuto ragione. Chiuse dunque le persiane per proteggere la stanza dalla calura, poi si lavò la faccia e le spalle e il petto coperto di una fitta peluria bianca, si fece la barba e si preparò un caffè con una pagnotta che aveva preso il giorno prima al refettorio. Shimshon Sheinbaum odiava visceralmente le perdite di tempo, soprattutto nelle proficue ore del mattino: uscire, andare al refettorio, conversare, leggere il giornale, scambiarsi opinioni, così metà della mattina sfumava. Per questo di solito si accontentava di un caffè e una pagnotta e alle sei e dieci minuti, dopo il primo breve notiziario, il padre di Ghideon era già seduto alla scrivania. Estate e inverno, senza eccezioni.
Seduto alla scrivania, osservò ora per alcuni istanti la cartina politica del paese appesa sulla parete di fronte. Stava cercando di ricostruire il brutto sogno che l'aveva colto verso mattina, appena prima del risveglio. Ma il sogno sfuggiva al ricordo. Shimshon decise di mettersi subito all'opera, senza perdere un momento di più. A dire la verità, era festa solenne quel giorno, ma da non celebrarsi con l'ozio, con il lavoro piuttosto. Prima che arrivasse l'ora di uscire a guardare i paracadutisti e Ghideon - che sarebbe stato davvero fra loro, sempre che non rinunciasse all'ultimo minuto - restavano a Shimshon alcune ore di lavoro. E un uomo di settantacinque anni non può concedersi il lusso di sperperare le proprie ore, soprattutto se molte, tremendamente molte, sono le cose che ha da mettere per iscritto. Un'impresa.


Il nome di Shimshon Sheinbaum non ha bisogno di precisazioni. Il movimento laburista ebraico sa rendere onore ai suoi padri fondatori, e da decenni il nome di Shimshon Sheinbaum porta con sé un'aureola di fama duratura. Da decenni, egli combatte anima e corpo per gli ideali della sua giovinezza. Le delusioni e le sconfitte non hanno scalfito la sua fede, né l'hanno piegata, anzi, hanno arricchito il suo spirito con una vena di saggia tristezza: man mano che imparava a capire le debolezze del prossimo e le sue devianze ideologiche, infieriva vieppiù sulle proprie, di debolezze. Con polso di ferro le reprimeva, vivendo secondo i propri principi, lungo una linea dritta come un righello, con una impietosa autodisciplina, e una soddisfazione nascosta, ma ardente.
Adesso, fra le sei e le sette del giorno dell'Indipendenza, Shimshon Sheinbaum non era ancora un padre orbato. Eppure i suoi tratti sembravano fatti apposta per reggere questo ruolo. Un'espressione grave, compresa, onniveggente ma composta, era diffusa sul suo viso solcato di rughe. Gli occhi celesti esprimevano una malinconia ironica.
Si sedette alla scrivania, schiena eretta, testa curva sulle pagine. Gomiti rilassati. Era un tavolo di legno grezzo, come tutto il resto della mobilia, essenziale e senza fronzoli: una cella monastica, piuttosto che l'abitazione di un antico kibbutz.
Quella mattina non sarebbe stata particolarmente feconda. I pensieri continuavano a vagare, avvinti dal sogno che baluginava e si spegneva alla fine della notte. Bisognava rammentare quel sogno, per poterlo dimenticare e finalmente concentrarsi sul lavoro. Un tubo, ricordo. E una specie di pesce rosso, o qualcosa di simile. E una discussione con qualcuno. Nessun nesso. Adesso al lavoro. Il movimento dei Poalei Zion si fonda sin dall'inizio visibilmente su una contraddizione ideologica insormontabile, e solo con il supporto di virtuosismi linguistici è riuscito a coprire questa contraddizione. Ma si tratta di un'apparente contraddizione, e chi spera di basarsi su di essa per minare o mettere in discussione non sa quello che dice. Ecco al proposito una dimostrazione irrefutabile.


Shimshon Sheinbaum è una persona piena di esperienza. La vita gli ha insegnato quanto arbitrio, quanta insulsaggine sottostiano alla mano che decide il nostro destino, tanto quello dei singoli individui quanto quello delle masse. La lucidità non ha privato Shimshon Sheinbaum del candore che lo animava sin da quando era ragazzo. Il suo tratto più straordinario e mirabile è proprio questa ingenuità ostinata: come i nostri patriarchi, retti e riverenti, la cui sagacia non intaccò mai la fede. Sheinbaum non ha mai permesso alle sue azioni di dissociarsi dalle sue parole. E mentre alcuni leader del nostro movimento si immergevano nella politica, abbandonando di conseguenza il lavoro materiale, Sheinbaum non ha mai lasciato il kibbutz. Ha rifiutato tutti i ruoli e le missioni che lo avrebbero impegnato fuori dal kibbutz, e solo con grande titubanza ha acconsentito alla nomina nel Comitato generale dei lavoratori. Fino a pochi anni fa le sue giornate erano ripartite in ugual misura fra il lavoro manuale e quello intellettuale: tre giorni di giardinaggio, tre giorni di scrittura giornalistica. I magnifici giardini ornamentali di Nof Harish sono praticamente opera di Shimshon Sheinbaum, lo ricordiamo ancora mentre pianta, taglia e pota, irriga e zappa, concima, dirada, diserba, scava. Non permise mai al suo ruolo centrale di anima del movimento di affrancarlo dai doveri comuni cui è sottoposto ogni membro di questa società: i turni di guardia, quelli in cucina e nei campi per il raccolto. Mai un'ombra di ipocrisia ha macchiato la condotta di Shimshon Sheinbaum, che è un uomo tutto d'un pezzo, fatto di ideale e concretezza, che non ha mai conosciuto un momento di debolezza, mai una viltà, così scriveva di lui il segretario del movimento sul giornale, qualche anno prima, in occasione dei settant'anni di Shimshon.
A dire il vero, c'erano stati momenti di profondo sconforto. Momenti di grande disgusto. Ma quei momenti Shimshon Sheinbaum li aveva trasformati in fonti segrete di travolgente energia. Per usare le parole della marcia che tanto amava e gli infondeva sempre un'ebbrezza d'azione: "Sui monti, sui monti brilla la nostra luce, al monte ci innalziamo, il passato alle nostre spalle - ma lunga è la via per il domani". Se solo questo sogno insulso facesse il favore di affiorare fra le ombre e di rivelarsi adesso con pienezza, potrebbe finalmente scaraventarlo giù dalle scale e concentrarsi una buona volta sul lavoro. Il tempo passa. Un tubo di gomma, una mossa di scacchi, un pesce rosso, una grande lite, ma qual è il nesso?


Da molti anni Shimshon Sheinbaum vive solo. Tutte le sue energie le spende nella creatività ideologica. L'opera della sua vita ha comportato una dolorosa rinuncia alla creazione di un nido familiare. In cambio di ciò, Shimshon Sheinbaum ha potuto conservare sino in tarda età una limpidezza giovanile e una calda cordialità. Solo a cinquantasei anni d'un tratto ha sposato Raya Greenspan e messo al mondo Ghideon, per poi separarsi da lei e concentrarsi sul lavoro intellettuale. In effetti, fuor di infingimenti, anche prima del matrimonio con Raya Greenspan, Shimshon Sheinbaum non è che abbia condotto un'esistenza monastica. La sua personalità attirava le donne così come i discepoli. Ancora giovane, la folta chioma si era incanutita, mentre sul viso screpolato dal sole si disegnava un affascinante intreccio di linee e rughe. La sua schiena squadrata, le spalle forti e sagge, il timbro caldo, scettico della sua voce, sempre pensierosa, e anche la sua solitudine, tutto ciò attirava verso di lui le donne come uccelli storditi. Le malelingue attribuivano ai suoi lombi almeno un pargolo del kibbutz, e anche altrove fiorivano le voci. Che noi passeremo sotto silenzio.
A cinquantasei anni Shimshon Sheinbaum decise che era ora di mettere al mondo un erede, per portare il suo sigillo e il suo nome verso la futura generazione. Perciò conquistò tempestosamente Raya Greenspan, una ragazza bassa e balbuziente che aveva trentatré anni meno di lui. Tre mesi dopo le nozze, celebrate insieme a pochi intimi, nacque Ghideon. E ancora prima che il kibbutz facesse in tempo a risvegliarsi dallo stupore, Shimshon Sheinbaum rispedì Raya alla sua stanza di prima e tornò a dedicarsi al lavoro intellettuale. A questo proposito circolarono voci diverse: quel gesto fu preceduto da un duro travaglio interiore di Shimshon Sheinbaum stesso.
Adesso concentriamo il pensiero e imponiamo alla memoria una direttiva precisa: ecco, il sogno prende contorni. Lei arriva nella mia stanza e mi invita a venire presto sul posto e porre fine allo scandalo in corso, lì. Io non chiedo chi e cosa, la seguo precipitosamente. Qualcuno si è permesso di costruire una piscina sul prato davanti al refettorio, ribollo di rabbia perché nessuno ha deciso tale rinnovamento, una piscina davanti al refettorio, come fosse il castello di un principe polacco. Urlavo. Contro chi? Qui non c'è alcuna immagine chiara. Dentro la piscina nuotavano dei pesci rossi. E un bambino la stava riempiendo d'acqua con un tubo nero di gomma. Allora ho deciso di chiudere immediatamente la faccenda, ma il bambino non voleva ascoltarmi. Ho iniziato a camminare lungo il tubo per trovare il rubinetto e interrompere il flusso prima che qualcuno riuscisse a trasformare quella piscina in un fatto compiuto. Camminavo sempre avanti, finché improvvisamente scoprivo che stavo procedendo in tondo, e che il tubo non era collegato a nessun rubinetto, che invece tornava alla piscina e attingeva di lì l'acqua. Beffardo nonsense. Fatto. La piattaforma originaria del movimento Poale Zion va compresa fuor di dialettica, alla lettera, parola per parola.


3.

Dopo la sua separazione da Raya Greenspan, Shimshon Sheinbaum non è comunque venuto meno ai suoi doveri di padre spirituale, non si è sottratto alle responsabilità. Più o meno da quando il figlio aveva sei, sette anni, gli ha infuso il carisma della propria personalità. In effetti il bambino era un po' deludente. Un bambino come Ghideon non aveva la stoffa della dinastia. Per tutta l'infanzia gli era colato il naso: una specie di raffreddore perenne, o forse di piagnoneria. Un bambino lento, timido, preda di botte e umiliazioni mai ricambiate. Un bambino strano, sempre alle prese con gli involucri dorati delle caramelle, con foglie secche, con i bachi da seta; dai dodici anni in poi ragazze d'ogni sorta presero a spezzargli il cuore, una dopo l'altra. Aveva sempre un amore disperato, pubblicò persino poesie e crudeli parodie sul giornaletto dei ragazzi. Un adolescente cupo, gentile, bello in modo quasi femmineo, che solcava sempre i sentieri del kibbutz in preda a un ostinato silenzio. Che non brillava nel lavoro. Che non brillava nella vita comunitaria. Che parlava adagio e certamente pensava anche adagio. Le poesie che componeva sembravano insulse a Shimshon Sheinbaum, mentre le parodie le trovava tossiche, prive di ispirazione. Il soprannome "Pinocchio" gli calzava a pennello. E gli insopportabili, perenni sorrisi che aveva spalmati sulle labbra e in cui Shimshon riconosceva una copia precisa, fastidiosa, di quelli di Raya Greenspan.
Quand'ecco che, un anno e mezzo prima, Ghideon aveva sbalordito suo padre. Comparve d'un tratto e gli chiese di firmare l'autorizzazione scritta al suo arruolamento nel corpo dei paracadutisti; i figli unici, infatti, potevano entrare nell'arma solo con l'autorizzazione di entrambi i genitori. Solo dopo ch'ebbe capito che non si trattava di uno dei soliti strani scherzi di suo figlio, Shimshon Sheinbaum acconsentì a firmare. E con gioia, anche: era un aspetto incoraggiante dello sviluppo del ragazzo, e kiri kì l'avrebbero trasformato in un uomo come si deve. Andasse pure, dunque. Perché no.
Ma la testarda opposizione di Raya Greenspan costituì un ostacolo inatteso alle intenzioni di Ghideon. No, lei non avrebbe mai firmato quel foglio. Assolutamente no. Chiuso.
Shimshon in persona si recò nella stanza di lei una sera, cercò di convincerla, addusse delle motivazioni, sbraitò. Tutto invano. Lei non firmava. Non voleva sentire ragioni. Era così e basta. Shimshon Sheinbaum dovette pertanto agire per vie traverse, affinché il ragazzo potesse essere accolto nei paracadutisti. Scrisse una lettera riservata a Yolek in persona. Gli chiese un favore personale. Affinché fosse permesso a suo figlio di arruolarsi volontario. La madre era psicologicamente instabile. Il ragazzo sarebbe diventato un paracadutista eccellente. Shimshon se ne assumeva la responsabilità. Fra l'altro, non aveva mai chiesto a nessuno un favore personale. Non l'avrebbe fatto mai più. Sarebbe stata la prima e unica volta in tutta la sua vita. Che Yolek facesse, per favore, tutto il possibile.
Alla fine di settembre, quando nei frutteti arrivavano i primi segni dell'autunno, il giovane Ghideon Shenhav fu arruolato nel corpo dei paracadutisti.


Da quando Ghideon era partito, Shimshon Sheinbaum s'era immerso ancor di più nella sua attività intellettuale: è l'unica impronta che l'uomo è capace di lasciare su questo mondo. Questa impronta non sarebbe mai sparita dagli annali del movimento laburista ebraico. E poi la vecchiaia era ancora lontana, per lui. A settantacinque anni conservava la sua folta chioma, il corpo era ancora un fascio di muscoli quieti e forti. L'occhio vigile. La mente pronta. La voce stentorea e asciutta, appena incrinata, faceva miracoli sulle donne di ogni età. E i modi composti, il comportamento discreto. Inutile aggiungere che era radicato a fondo nella terra del kibbutz di Nof Harish. Lui che odiava le cerimonie e riunioni, al pari di commissioni e incarichi ufficiali. Solo con un tratto di penna, Shimshon Sheinbaum aveva iscritto il proprio nome sul muro della nostra rinascita nazionale e del movimento.


4.

L'ultimo giorno di Ghideon Shenhav cominciò con un'aurora fiammante. I suoi occhi quasi riconoscevano gli occhielli di rugiada evaporare con il calore. Dei segni lampeggiavano in lontananza, sulle cime a oriente. E festa quest'oggi, festa nazionale e festa del paracadutismo a casa. Per tutta la notte si era crogiolato in un sogno non sogno, un autunno boschivo, nordico e scuro, odore di foglie cadute, alberi d'alto fusto di cui non conosceva il nome. Per tutta la notte pallide foglie erano cadute sulle baracche del campo. Anche dopo il risveglio, la mattina, la foresta nordica aveva continuato a stormirgli nelle orecchie, insieme agli alberi di cui non conosceva il nome.
Ghideon adorava il dolce precipitare che sta fra il salto dallo sportello dell'aereo e l'aprirsi del paracadute: quando l'abisso sale a te alla velocità del fulmine, le correnti d'aria travolgono e ti avvolgono e che delirio di piacere. La velocità è ebbra, sfrenata, fischia e ruggisce e tutto il corpo ti trema per lei e degli aghi di fuoco ti bruciano sulla punta dei nervi e il sangue picchia, picchia. Improvvisamente, mentre sei un lampo nel vento, si apre il telo. Le cinghie frenano la tua caduta come fosse arrivato un braccio virile, calmo e deciso, a fermare e non farti più vorticare. E tu sei come stretto in quelle braccia, da sotto le ascelle. Invece di una delizia sfrenata viene ora un piacere controllato, sicuro. Il tuo corpo conquista lento le altitudini, galleggia, esita, viene appena sospinto dalla brezza, e non potrai mai sapere dove esattamente i tuoi piedi toccheranno terra - se sul dorso della collina o davanti agli agrumeti - e sei come un uccello migratore sfinito, scendi piano, vedi i tetti, le strade, le mucche nella stalla, piano, come se potessi scegliere e la decisione fosse tutta tua.
E poi la terra è ai tuoi piedi, tu esegui quella capriola spesso esercitata, il cui scopo è quello di ammorbidire l'impatto. Nel giro di pochi secondi devi riprenderti. La circolazione sanguigna rallenta. Le misure tornano alla normalità. E solo una stanca fierezza continua a starti dentro, finché non incontri il comandante e i compagni, e sei travolto dal ritmo della rapida ricomposizione.


E questa volta tutto ciò sarebbe avvenuto nei cieli di Nof Harish.
Gli anziani del posto avrebbero levato le teste sudate, tolto i berretti e tentato di riconoscere Ghideon fra i puntini grigi che ballano nell'aria. I bambini sarebbero corsi per i campi e anche loro avrebbero atteso trepidanti che il loro eroe calasse dal cielo. Mamma sarebbe venuta fuori dal refettorio e si sarebbe fermata, scrutando e mormorando fra sé e sé. Shimshon avrebbe lasciato la scrivania per un po'. Forse avrebbe messo una sedia sul balconcino e assistito a tutto lo spettacolo, meditabondo e orgoglioso.
Poi il kibbutz avrebbe ospitato l'unità, nel refettorio avrebbero servito caraffe di limonata ghiacciata, e ci sarebbero state casse piene di mele, o forse delle torte preparate dalle compagne veterane, con auguri scritti con la glassa.
Alle sei e mezzo del mattino il sole aveva già superato le sue mattane variopinte e si era levato impietoso sopra le alture orientali. Un'afa densa calò su tutta la terra. I tetti di lamiera delle baracche al campo scottavano, rilucevano di un bagliore accecante. Le pareti cominciarono a emanare, all'interno, un calore spesso. Sulla strada principale, nei pressi della recinzione già si vedeva movimento di autobus e camion: gente venuta dalle cittadine e dai villaggi diretta alla grande città, per assistere alla parata militare. Oltre la cortina di polvere si riconoscevano chiaramente le camicie bianche dei civili vestiti a festa, e si udiva persino la canzone allegra, in lontananza.
I paracadutisti terminarono l'ispezione mattutina. Anche l'ordine del giorno del comandante in capo era già stato letto ad alta voce e appiccicato con delle puntine alla bacheca del campo. Poi ci fu una colazione da giorno di festa, con anche un uovo sodo ingentilito da una foglia di lattuga e da una corona di olive.
Ghideon, la chioma nera che gli cascava fin sulla fronte, iniziò sommessamente a cantare. Gli altri si unirono a lui. Qua e là qualcuno storpiava un verso, rendendolo comico o spregevole. Ben presto le melodie ebraiche si trasformarono in una litania araba gutturale, quasi disperata. Il comandante dell'unità, un ufficiale biondo e bello a proposito del quale si vociferava di falò notturni, si alzò e disse: "Basta". I paracadutisti smisero di cantare, finirono rapidamente il resto
del loro grasso caffè nei tazzoni di latta, e si diressero verso le piste di decollo. Lì ci fu un'altra ispezione, il comandante rivolse ai suoi uomini qualche parola affettuosa e li chiamò persino "il sale della terra", poi ordinò a tutti di salire sugli aerei che li stavano aspettando.
I comandanti degli squadroni rimasero presso gli sportelli degli aerei a controllare la cintura e i nodi delle cinghie. Il comandante stesso passava fra i giovani, dava qualche pacca sulla spalla, faceva una battuta, lanciava previsioni, incitava: come fosse stata la vigilia di una battaglia e come se ci fosse stato del pericolo. Ghideon, dal canto suo, reagì alla pacca sulla spalla con un breve sorriso, passato sulle labbra sottili. Era minuto, quasi ascetico, ma molto abbronzato. Un occhio attento, l'occhio del leggendario, biondo comandante, avrebbe potuto notare la vena bluastra che si gonfiava sul collo del ragazzo e pulsava a ritmo accelerato.
E allora la calura invase anche i magazzini bui, devastando e facendo avvampare senza pietà gli ultimi ripostigli di frescura, bruciando tutto con un fervore grigio. Il segno arrivò. I motori emisero un rombo basso. Gli uccelli scapparono via dalla pista. Gli aerei fremettero, si mossero, rollarono pesantemente, ed eccoli prendere quella rincorsa senza la quale non è dato decollare.


5.

Bisogna uscire sul campo, accoglierlo con una stretta di mano.
Sheinbaum decise. E chiuse il taccuino. I mesi di addestramento militare avevano di certo temprato il ragazzo. Per quanto potesse sembrare incredibile, evidentemente cominciava a maturare. Doveva ancora imparare come trattare le storie di donne. Doveva liberarsi una volta per tutte sia della timidezza sia della melensaggine: queste cose andavano lasciate alle donne, mentre lui doveva essere solido. E quanto era migliorato negli scacchi: presto sarebbe diventato un pericolo per suo padre, e forse un giorno o l'altro l'avrebbe persino battuto. Eventualità ancora remota. Sempre che non sposi, speriamo in bene, la prima che gli si offrirà. Dovrà invece spezzarne due o tre prima di convolare a nozze. E nel giro di qualche anno dargli dei nipotini. Molti. I rampolli di Ghideon avranno due padri: mio figlio li crescerà e io aprirò la loro mente. La seconda generazione è fiorita all'ombra delle nostre opere, per questo si è impantanata. Dialettica. Ma la terza costituirà una meravigliosa sintesi, una messe benedetta: i loro padri trasmetteranno loro la spontaneità e gli avi, lo spirito. Si tratterà di un retaggio sontuoso, depurato dalle conseguenze di una trasmissione tortuosa. Questa frase bisogna annotarla sul taccuino, prima o poi tornerà utile per qualche discorso. Ho davanti agli occhi Ghideon e i suoi coetanei, e che dispiacere: trasudano una disperazione superficiale, indifferenza, e che cinismo sarcastico. Non sanno amare fino in fondo e sono incapaci anche di odiare, fino in fondo. Nessun entusiasmo, nessun disgusto. La disperazione di per sé non la biasimo. Eterna sorella della fede, è la disperazione. Ma quale disperazione intendo? Quella virile e furiosa, non una malinconia sentimentale, crepuscolare. Siediti tranquillo, Ghideon, piantala di grattarti, piantala di mangiarti le unghie, ti leggerò una bella pagina di Brenner. Adesso fai una smorfia. D'accordo. Non la leggerò. Vattene allora, a venir su come un beduino, se questo è quello che vuoi. Ma se non conoscerai Brenner non avrai la minima idea di che cosa sia la disperazione, o la fede. In lui non troverai versetti piagnucolosi su sciacalli finiti in trappola o fiori d'autunno. In Brenner tutto infuoca. Tanto l'amore quanto l'odio. Forse, dunque, non voi ma i vostri figli vedranno in faccia la luce e la tenebra. Un retaggio sontuoso depurato dalle conseguenze di una trasmissione tortuosa. E la terza generazione non si lascerà corrompere da mollezze e dai versi di sterili, altezzose eroine. Ecco che arrivano gli aerei. Adesso rimettiamo Brenner al suo posto nello scaffale e vediamo di essere per una volta fieri di te, Ghideon Sheinbaum.


6.

Sheinbaum attraversò a larghe falcate il prato, salì per il sentiero di cemento e si diresse verso il campo a sud-ovest, un campo arato che era stato scelto come luogo d'atterraggio per i paracadutisti. Per strada si fermò qualche volta presso le aiuole per strappare quelle erbacce che stavano nascoste all'ombra delle piante da fiori. I piccoli occhi celesti di Sheinbaum erano da sempre bravissimi a cogliere le malerbe. In realtà data l'età da qualche anno si era ritirato dal suo lavoro di giardiniere, eppure finché fosse stato in vita non avrebbe mai smesso di scrutare impietosamente qualsiasi aiuola gli fosse capitata sott'occhio, pronto a sradicare ogni stelo di gramigna. In momenti come quelli pensava al suo erede, che aveva cinquant'anni meno di lui, era il ragazzo nelle cui mani aveva affidato il giardino ornamentale, l'aquarellista locale: aveva ricevuto in eredità un paradiso fiorito, e ora di mese in mese languiva e moriva a vista d'occhio.


Un gruppo di bambini scatenati passò di corsa davanti a Shimshon Sheinbaum. Stavano discutendo con fiero impegno dei tipi di aerei che stavano sorvolando la valle. Data la corsa, la discussione si svolgeva a suon di grida e ansimi. Shimshon ne prese uno per il lembo della camicia, lo fermò con la forza, avvicinò la faccia a quella del bambino e disse: "Tu sei Zaki".
Il bambino disse: "Lasciami".
Sheinbaum: "Perché tutte queste urla? Avete solo aeroplani in testa? E correre così tra i fiori dove è scritto vietato calpestare - come vi permettete? È tutto permesso? Guardami mentre ti parlo. E rispondi civilmente oppure...".
Ma Zaki approfittò di quello sfogo di parole sputate addosso a lui e con uno slancio astuto si liberò dalla presa della mano, saltò fra le siepi, fece una brutta smorfia scimmiesca e mostrò la lingua.
Sheinbaum si morse le labbra. Pensò per un istante alla vecchiaia, ma subito dopo respinse quel pensiero e disse fra sé e sé: Va bene. Ci occuperemo anche di questo, Zaki, cioè Azariah. Secondo un rapido calcolo, dovrebbe avere almeno undici anni, fors'anche dodici. Selvaggio. Teppista.
I ragazzi del tirocinio premilitare intanto s'erano arrampicati sulla postazione di guardia, in cima alla torre dell'acqua, da dove si vedeva tutta la valle. Questo panorama rammentava a Sheinbaum un paesaggio russo. Per un attimo fu tentato anche lui di salire in cima alla torre, per assistere al lancio di lontano, comodamente. Ma il pensiero della virile stretta di mano che l'aspettava lo spinse ad allungare il passo per arrivare in fondo al campo. Qui si fermò, le gambe divaricate, le mani incrociate sul petto, la chioma canuta che cadeva meravigliosamente sulla fronte. Levò gli occhi e cominciò ad accompagnare i due aerei da trasporto con lo sguardo grigio, fermo. Le rughe sul viso di Shimshon Sheinbaum gli arricchivano i tratti. Il mosaico di solchi regalava una rara mistura di fierezza, pensierosità e un velo di ironia ben mascherata. Le bianche e folte sopracciglia ricordavano vagamente il ritratto di un monaco russo ortodosso. Quanto agli aeroplani, nel frattempo avevano finito un giro e il primo di loro si avvicinava al campo.
Le labbra di Shimshon Sheinbaum si schiusero appena, lasciando passare un suono vago, basso: un'antica melodia russa iniziò a tenergli il tempo in petto. Una prima scarica di paracadutisti uscì dallo sportello aperto sul dorso del velivolo. Figure minuscole, scure si sparpagliarono nello spazio, come semi sparsi dalla mano del contadino di una vecchia foto di pionieri.
Fu allora che Raya Greenspan mise la testa fuori dalla finestra della cucina, sventolando con forza il mestolo che aveva in mano, come per ammonire le fronde degli alberi. Aveva il viso rosso e sudato, per via della calura. Il sudore le incollava la gonna grezza alle gambe, robuste e anche molto pelose. Ansimò, si grattò con la mano libera i capelli scomposti, poi improvvisamente si girò verso l'interno e cominciò
a urlare alle altre lavoranti: "Presto! Alla finestra, compagne! C'è Ghidi! Ghidi in cielo!".
E tacque spaventata.
Mentre la prima scarica di paracadutisti volteggiava lentamente come una manciata di piume fra terra e cielo, il secondo aereo si abbassò e sputò il gruppo di Ghideon Shenhav. I paracadutisti si assieparono presso lo sportello aperto, spinsero, pancia contro schiena, i loro corpi raggomitolati in una massa unica, sudata e fremente. Quando toccò a Ghideon il ragazzo strinse i denti, raccolse le ginocchia e uscendo alla luce torrida, saltò e cadde. Un urlo di piacere, selvaggio, lungo, gli si strappò dalla gola. Cadendo, vide il luogo della sua infanzia salire verso di lui, vide i tetti e le fronde e sorrise loro con uno spasmo, salutando tutti cadeva sulle vigne e i sentieri di cemento e le tettoie e i tubi luccicanti, cadeva con gioia. Mai in vita sua aveva gustato un amore così intenso e fervido. Tutti i suoi muscoli si tesero, e una fonte di delizie sgorgò nel suo ventre e lungo la schiena, fino alla radice dei capelli. Come un pazzo, Ghideon urlava per amore, le unghie conficcate nelle mani a pugno, fin quasi al sangue. Poi si tesero le cinghie del paracadute, colpendolo sotto le ascelle. Gli agguantarono forte i fianchi. Di colpo sentì una mano invisibile tirarlo su, verso l'alto, l'aereo, nel cuore del cielo. La dolce caduta divenne un morbido dondolio, lento, come in culla o galleggiando in una piscina d'acqua calda. D'un tratto lo prese uno spavento terribile: Come mi riconosceranno, da sotto? Come potranno capire chi è lui, nel bosco di funghi bianchi? Come potranno abbracciare me e solo me, fra tutti, con sguardi ansiosi e amorevoli? Mamma e papà, le belle ragazze e i bambini e tutti gli altri. Non posso sparire così nella massa di paracadutisti. Sono io, è a me che vogliono bene.
In quel momento a Ghideon balenò un'idea. Allungò la mano alla spalla e tirando il capo di una corda aprì il paracadute di riserva, destinato ai casi d'emergenza. Quando si aprì su di lui il secondo ombrello, la discesa rallentò ancora e la forza di gravità perse quasi ogni potere su di lui. Il ragazzo sembrava navigare da solo nel vuoto, come un gabbiano, come una nuvola solinga. Gli ultimi suoi compagni erano già caduti sulla terra arata e cominciavano a piegare i paracadute. Ghideon Shenhav, solo lui, continuava invece a fluttuare come per un incantesimo, i due immensi paracadute sopra la testa. Ebbro, felice, assorbiva le centinaia di sguardi puntati su di lui. Su lui solo, nella sua splendida solitudine.
Come per aumentare l'incanto della scena, da occidente arrivò una folata di vento forte, quasi freddo, che tagliò in due la calura, volò fra i capelli degli spettatori e spostò un poco verso est il corpo dell'ultimo paracadutista.


7.

Lontano di lì, nella grande città, masse di gente in attesa della parata militare accolsero con un sospiro di sollievo l'improvvisa brezza di mare: chissà che non segnasse la fine della calura. Un odore fresco e salmastro carezzò le vie infuocate. Il vento rafforzò, aggredì con un lamento le fronde degli alberi, storse i fusti dei cipressi, scompose le chiome dei pini, alzò mulinelli di polvere e sfocò l'immagine della manifestazione di paracadutisti. Come un immenso uccello solitario, Ghideon Shenhav avanzava regalmente verso la strada principale, verso oriente.
Le urla impaurite uscite d'un tratto da cento gole non arrivarono alle orecchie del ragazzo. Tutto eccitato cantava trasognato, continuando a dondolare lentamente verso il cavo centrale dell'elettricità, teso fra pali giganteschi. Gli occhi della folla fissavano con orrore il paracadutista e il cavo portante che attraversava la valle da occidente a oriente, in linea retta. Cinque cavi paralleli, tesi fra un palo e l'altro dal proprio stesso peso, che diffondevano un ronzio testardo, sommesso, nel vento in corsa.
I due paracaduti di Ghideon si impigliarono in quello di sopra. Dopo un istante le sue gambe si posarono su quello inferiore. Il corpo s'intrappolò obliquamente. Le cinghie dei paracadute trattenevano i fianchi e le spalle, impedendogli di cadere sulla terra arata. Se non fosse stato per le suole delle scarpe, fatte di un materiale isolante, il ragazzo avrebbe preso la scossa al primo contatto. Ma il cavo si stava già ribellando contro quel peso estraneo, cominciando a bruciare le suole. Delle minuscole scintille scoppiavano già sotto i piedi di Ghideon. Prese con le due mani le fibbie del paracadute. Aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
Un ufficiale, un tizio basso e tutto sudato, saltò fuori dalla folla impietrita e urlò: "Non toccare i cavi, Ghidi, tendi il corpo indietro e allontanati più che puoi! ".
Tutto il pubblico, una massa compatta e atterrita, cominciò a muoversi adagio verso oriente. Urla. Un pianto. Sheinbaum azzittì le strilla con la sua voce metallica, impose a tutti il sangue freddo. Poi prese a correre come un pazzo, schiacciando con le suole la terra, segnando un solco dritto e deciso, e arrivò fin sotto il cavo, respinse ufficiali e curiosi che l'avevano preceduto e ordinò a suo figlio: "Liberati dalle cinghie, Ghideon, liberati subito e casca giù. I solchi sono freschi e non ti succederà niente. Liberati e salta giù".
"Non posso."
"Non discutere adesso. Liberati e salta, ubbidisci."
"Non ci riesco, papà, non posso, non posso."
"Non è possibile. Liberati e salta giù prima di prendere la scossa."
"Non è possibile, le cinghie sono impigliate, non ci riesco, fate staccare la corrente presto, papà, le scarpe stanno già bruciando."
Alcuni paracadutisti erano riusciti a ristabilire l'ordine, allontanando la folla e i dispensatori di consigli, facendo spazio sotto i cavi. E ripetevano, come fosse una litania o una parola magica, ripetevano continuamente: "Niente panico, niente panico per favore".
Tutt'intorno i bambini del kibbutz correvano facendo una gran confusione. Rimproveri e urla non servirono. Due paracadutisti furibondi riuscirono con una certa fatica ad acchiappare Zaki mentre cominciava ad arrampicarsi come un idiota sul palo della luce vicino, facendo smorfie e fischi per attirare a sé l'attenzione della folla.
L'ufficiale basso urlò all'improvviso: "Il tuo pugnale! Hai un pugnale nella cintura, tiralo fuori e taglia le cinghie! ".
Ma Ghideon non sentì o non volle sentire. Cominciò a piagnucolare forte: "Fatemi scendere, prendo la scossa, papà, fatemi scendere di qui, non ci riesco da solo".
"Piantala di lagnarti," sbraitò Shimshon. "Ti hanno detto di usare il pugnale e tagliare le cinghie, fa' come ti dicono. Senza lagnarti."
Il ragazzo ubbidì. Ancora singhiozzava, e ad alta voce, ma a tentoni trovò il pugnale e cominciò a tagliare le cinghie del paracadute, una dopo l'altra. Calò il silenzio. Solo il pianto di Ghideon, strano e penetrante, si sentiva a tratti. Alla fine restava un'ultima cinghia, Ghideon era attaccato a quella e non osò tagliarla.
"Taglia," strillavano i bambini. "Taglia e salta, vedremo." Shimshon continuò, con tono pacato: "Che cosa aspetti adesso?".
"Non ce la faccio," rispose Ghideon con voce implorante. "Ce la fai eccome," disse suo padre.
"La corrente," disse piangendo il ragazzo, "comincio a sentire la corrente, fatemi scendere presto."
Gli occhi del padre s'iniettarono di sangue, ruggì: "Vigliacco che non sei altro, vergognati, fifone! ".
"Ma non ce la faccio, mi romperò tutte le ossa, è alto." "Ce la fai sì, devi. Solo che sei pazzo, ecco quello che sei. Pazzo e fifone."
Uno stormo di aerei diretti alla manifestazione in città passò sopra le teste. Erano schierati in perfetta formazione. Come una muta di cani selvaggi sfrecciarono verso oriente, rombando. Quando furono lontani tornò, come raddoppiato, il silenzio. Il ragazzo smise di piangere. Fece scivolare a terra il pugnale. La lama si conficcò nella polvere, ai piedi di Shimshon Sheinbaum.
"Che hai fatto?" urlò l'ufficiale basso.
"Non l'ho fatto apposta," rispose, "mi è sfuggito di mano."
Shimshon Sheinbaum si chinò a terra, raccolse un piccolo sasso, si drizzò e lo scagliò furiosamente verso la nuca del figlio appeso: "Pinocchio, straccio, misero codardo!".
E allora cessò anche la brezza di mare.
L'afa tornò pesante sulle persone e gli oggetti inanimati. Un paracadutista rossiccio e lentigginoso mormorò: "Ha paura di saltare, quel cretino, e così si ucciderà". Una ragazza magra e brutta sentì quella frase, si buttò in mezzo alla folla e allargò le braccia: "Salta da me, Ghidi, non ti succederà niente".
"Interessante," commentò un vecchio pioniere in tuta da lavoro, "sarebbe interessante sapere se qualcuno ha avuto l'intelligenza di telefonare alla compagnia elettrica badando a che staccassero la corrente." Ciò detto si diresse verso gli edifici del kibbutz in cima alla piatta collina. Camminava lesto, rabbioso, quando d'un tratto fu impietrito tutto da un frastuono vicino, prolungato, di colpi. Per un istante il vecchio pioniere s'immaginò che qualcuno gli stesse sparando alle spalle. Subito dopo s'accorse di quel che stava succedendo: il comandante dell'unità, il mitico eroe biondo, tentava di spezzare i cavi della corrente con degli spari.
Invano.
Nel frattempo dal cortile del kibbutz arrivò un vecchio furgone, da cui scesero alcune scale e anche l'anziano medico. Dopo il medico calarono anche una barella.
In quel momento Ghideon prese una decisione repentina. Con un forte calcio si lanciò via dal cavo, schizzando scintille bluastre, si capovolse nell'aria e rimase appeso per l'unica cinghia a circa mezzo metro sotto il cavo. La testa verso il basso e le suole bruciacchiate che palpitavano nell'aria, vicinissime al cavo inferiore.
Difficile per gli spettatori appurarlo con certezza, ma sembrava che non fosse ancora gravemente ferito. Dondolava molle nel vuoto, capovolto, sembrava un agnello sgozzato, appeso all'uncino.
La scena infuse nei bambini una specie di allegria isterica. Iniziarono a ridere, abbaiavano. Zaki si batteva le ginocchia con le mani, tutto storto, mezzo soffocato. Iniziò a saltellare da fermo, a strillare come una brutta scimmietta.
Cosa mai vide Ghideon Shenhav per tendere improvvisamente il collo e unirsi alla risata dei bambini? Forse quella strana tensione gli aveva fatto dare di volta il cervello: la testa piena di sangue, la lingua di fuori, la chioma verso terra, solo i piedi che scalciavano in cielo.


8.

Un secondo stormo di aerei solcò il cielo. Una dozzina di uccelli di metallo foggiati per la bellezza e la crudeltà, che riflettevano i raggi del sole con un bagliore accecante. Erano disposti a forma di lama. La loro furia fece tremare la terra. Passarono oltre, a occidente, poi seguì un silenzio profondo.
Intanto l'anziano dottore si era seduto sulla barella, s'era acceso una sigaretta, osservava gli astanti, i soldati, i bambini che correvano. Poi disse fra sé e sé: Sia quel che sia. Sia quel che comunque dovrà essere. Che caldo fa oggi.
Di tanto in tanto Ghideon liberava un'altra risata idiota. Le gambe palpitavano nell'aria, disegnando cerchi incerti. Il sangue delle sue membra capovolte si concentrava nella testa. Gli occhi iniziavano a sporgere. E il mondo si faceva scuro. Invece di sprazzi di porpora, davanti ai suoi occhi danzavano delle macchie viola. Tirò fuori la lingua. I bambini lo presero come un gesto derisorio. "Pinocchio all'incontrario," strillò Zaki, "Pinocchio all'incontrario, perché non la smetti di guardarci con l'occhio storto? Perché non cammini a gambe insù?"
Sheinbaum alzò il braccio per picchiare l'impertinente, ma colpì l'aria perché il bambino si fece da parte. Il vecchio fece cenno al comandante biondo e i due si consultarono per
qualche momento. Il ragazzo non correva un rischio immediato, perché non era più a contatto con la corrente. Ma bisognava liberarlo, non era ammissibile che quella commedia andasse avanti così all'infinito. Una scala non sarebbe servita a molto: era troppo alto. Forse si poteva tentare di fornirgli di nuovo il coltello, e convincerlo a tagliare l'ultima cinghia, per saltare sul telo di copertone. Era un esercizio normale, negli allenamenti dei paracadutisti. L'importante era agire in fretta, perché la situazione era umiliante. Per non parlare dei bambini. L'ufficiale basso si tolse dunque la camicia e vi avvolse dentro un pugnale. Ghideon tese la mano verso il basso e tentò di afferrare l'involto. Ma la camicia e il pugnale dentro scivolarono fra le mani tese e cascarono a terra. I bambini ridevano. Solo dopo altri due tentativi falliti, Ghideon riuscì a prendere la camicia e a estrarne il pugnale. Lo prese fra le mani gonfie, pesanti di sangue. Improvvisamente il ragazzo avvicinò il pugnale alla guancia ardente. Il metallo gli diede frescura. Un dolce momento. Aprì gli occhi e vide il mondo capovolto. Tutto era buffo: il furgone, il campo, la gente, papà, e l'esercito, i bambini e anche il pugnale che teneva in mano. Storse il viso verso il gruppo dei piccoli, rise dal profondo del cuore e agitò verso di loro il pugnale. Tentò di dire qualcosa. Se si fossero visti di lì, capovolti, a correre, formiche spaventate, avrebbero riso anche loro. Ma la risata divenne una tosse cattiva, Ghideon soffocava e gli occhi si riempivano.


9.

La pagliacciata di Ghideon all'incontrario risvegliò in Zaki un gusto demoniaco.
"Piange," gridò crudelmente, "Ghideon piange, gli si vedono le lacrime, piange, il paracadutista Pinocchio che piange come un marmocchio, guardate, guardate."
Anche questa volta il pugno di Shimshon Sheinbaum colpì il vuoto.
"Zaki," Ghideon riuscì a urlare con una voce sorda, deformata, "Zaki, ti uccido, ti strozzo, bastardo." Poi rise e tacque.
Che cosa restava mai da fare? Non avrebbe tagliato da solo l'ultima cinghia, e il medico temeva che se fosse rimasto così ancora per un po' di tempo avrebbe probabilmente perso conoscenza. Bisognava trovare un altro modo. Non si poteva permettere che tutto questo andasse avanti per l'intera giornata.
Il camion del kibbutz attraversò dunque con fatica la terra arata, e si fermò nel punto in cui Shimshon Sheinbaum gli indicava. Misero sul retro del camion due scale, frettolosamente legate una all'altra per arrivare all'altezza richiesta. Dieci forti braccia tenevano la scala da ogni parte. Il mitico ufficiale biondo fece per arrampicarsi. Ma quando giunse al punto di congiunzione delle due scale, si udì un cigolio minaccioso, il legno si piegò sotto il peso e l'altezza. L'ufficiale, che era un uomo pieno e abbondante, esitò un momento. Poi decise di scendere e assicurare la giunzione delle scale. Scese sul camion, si asciugò il sudore della fronte e disse: "Un momento. Pensiamoci". Ed ecco, in un batter d'occhio, prima che fosse possibile fermarlo, prima che fosse possibile anche solo accorgersi di lui, Zaki in cima alla scala, già oltre la giunzione delle scale, che saltava, scimmia sconcertata, lungo i gradini più alti, ed ecco in mano il coltello, chissà come se l'era procurato. Iniziò a lottare con la cinghia tesa, gli spettatori trattennero il fiato: pareva che il bambino sfidasse la legge di gravità, non poggiava, nessuna prudenza, in bilico lassù, lesto, agile, terribilmente bravo.


10.

Con tutto il suo peso, la calura aggrediva il giovane appeso. Gli occhi si andavano spegnendo. Il respiro era quasi fermo. In un ultimo barlume di lucidità, vide il suo brutto fratello e sentì il suo fiato sulle guance. Sentì il suo odore. Vide i denti aguzzi spuntare dalla bocca di Zaki. Un terrore immenso si chiuse su di lui, come se si stesse guardando allo specchio, trovando un mostro. L'incubo risvegliò in Ghideon le ultime forze. Scalciò nell'aria, si dimenò, riuscì a capovolgersi, afferrò la cinghia e si tirò verso l'alto. Con le braccia aperte si buttò sul cavo e vide una luce. L'afa continuò a infierire su tutta la valle. E un terzo stormo di aerei stravolse tutto con il suo boato.


11.

Lo stato di padre orbato conferì all'uomo un'aura di santi tormenti. Ma Sheinbaum non pensava adesso a quell'aura. Un corteo inebetito e muto lo accompagnò al refettorio. Sapeva per certo che adesso doveva stare accanto a Raya.
Andando, passò davanti a Zaki. Un eroe, un idolo ansimante. Gli altri bambini gli stavano intorno. L'aveva quasi salvato. Shimshon mise una mano tremante sulla testa del bambino e tentò di parlare. La voce lo tradì, le labbra tremarono mute. Accarezzò gravemente la chioma scomposta, piena di polvere. Non l'aveva mai fatto con lui, prima di allora. Dopo qualche passo tutto divenne buio e il vecchio crollò su un'aiuola.
Alla fine della festa dell'Indipendenza l'afa si placò. Una brezza marina rinfrescò le pareti incandescenti. Una pioviggine pesante scese per tutta la notte sui prati.
Che cosa annunciava il cerchio pallido intorno alla luna? Normalmente precede l'afa. Domani sarebbe dunque tornata. Mese di maggio, e dopo sarà giugno. Una folata passava fra i cipressi la notte, tentando di rinfrancarli. Così fa il vento, va e viene. Niente di nuovo.




(Tratto da Storie, antologia a cura di Nadine Gordimer, Feltrinelli editori, Milano, 2005.)


Amos Oz





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