Quanti bei miracoli a Milano


Gabriel Garcia Márquez


– Negli anni Cinquanta il romanziere colombiano scrisse recensioni di film. E fu entusiasta della pellicola di Vittorio De Sica –

Si intitola Gente di Bogotà il libro di Gabriel García Márquez che raccoglie una serie di articoli che lo scrittore colombiano pubblicava su El Espectador, giornale di Bogotà. Gli articoli furono scritti fra il 1954 e il 1955. Márquez, prima giovane praticante, poi assunto come redattore, scriveva di tutto, come si conviene ad un cronista alle prime armi: in particolare brevissimi articoli su notizie fornite dalle agenzie, spesso non firmati ma attribuibili a lui per alcune caratteristiche di stile, per il giro della frase, per un dettaglio aneddotico.
Ma oltre all'anonimo lavoro redazionale, Márquez si incaricava di recensire film. Una speciale attenzione Márquez dedica ai prodotti del Neorealismo italiano.

 


Milagro en Milán (Miracolo a Milano) ha sconcertato nella stessa misura due tipi opposti di spettatore: quello che ammira Ladrones de bicicletas (Ladri di biciclette), Alemania, año cero (Germania anno zero) e in genere le produzioni italiane del dopoguerra, e quello che ammira El ladròn de Bagdad (Il ladro di Bagdad), El hombre invisible (L'uomo invisibile) e i cartoni animati di Walt Disney. I primi hanno manifestato la loro perplessità perché i campioni del realismo cinematografico hanno fatto volare i miserabili delle borgate su manici di scope, invece di farli morire di fame, come sarebbe stato naturale. I secondi non riescono a capire, o ad accettare, che una favola sia ambientata in una baraccopoli, dove i principi orientali sono stati sostituiti da una banda di barboni.
Totò il buono, il romanzo da cui è stato tratto Miracolo a Milano , era ambientato in una città immaginaria, dove la fantasia dell'autore godeva di piena libertà. Una città sovrannaturale chiamata Bamba. Cesare Zavattini, l'autore del romanzo, e Vittorio De Sica, adattandolo per il cinema, hanno preferito situare l'azione in una città reale, Milano, dove i poveri sono assolutamente poveri e i ricchi favolosamente ricchi. Il patto con il pubblico è stato allora più difficile da osservare, perché si trattava di rendere umana la fantasia, di far passare la favola attraverso il filtro del crudo realismo italiano, senza che l'una perdesse il suo fascino né l'altro la sua elevata temperatura umana. In Ladri di biciclette c'è un episodio fantastico quanto quello delle scope in Miracolo a Milano : quello dell'indovina che Ricci va a trovare per sapere dov'è finita la sua bicicletta, e il cui responso ("la troverai oggi o non la troverai mai") si avvera con esattezza nel film. Tuttavia, l'episodio fantastico è stato così sapientemente fuso con gli elementi della realtà che il suo contenuto sovrannaturale è passato inavvertito.
La storia di Miracolo a Milano è una vera e propria favola, girata però in un ambiente insolito, mescolando il reale e il fantastico in modo geniale, al punto che spesso non è possibile sapere dove finisce l'uno e dove comincia l'altro. Per esempio, la scoperta di un pozzo petrolifero è un evento del tutto naturale. Ma se a zampillare è petrolio raffinato, benzina pura, la scoperta si rivela del tutto fantastica, così come la circostanza per cui in seguito basterà forare la terra con un dito per farne scaturire petrolio. Un altro esempio: la scena dei barboni che si contendono un raggio di sole, che è stata considerata un momento fantastico, è invece quanto mai reale. E in merito allo sdentato vecchio intento a mangiarsi un pollo, bisogna proprio ammettere che si finisce per non capire se sia il più reale o il più fantastico di tutti. Lo stesso succede con il funerale della signora Lolotta, che dal punto di vista estetico è assolutamente geniale.
Accettata senza stupidi pregiudizi, la vicenda è di una gran bella semplicità: un orfano che è il simbolo della bontà umana fonda, organizza e dirige un gruppo di barboni di una baraccopoli milanese. Durante uno scavo si trova il petrolio e, come conseguenza logica, si scopre altresì che la baraccopoli ha un padrone. Il ricco proprietario, signore assoluto della città, cerca di sfrattare dai suoi terreni i bisognosi e, dinanzi alla loro resistenza, chiede l'aiuto della polizia. La resistenza dei barboni sta per cedere quando lo spirito della signora Lolotta, la vecchia che aveva allevato Totò, consegna a quest'ultimo una colomba in presenza della quale si realizza qualsiasi desiderio per fantastico che sia. Da quel momento Totò comincia a distribuire miracoli, con la prodigalità che c'era da aspettarsi dal ragazzo più sano, più buono e più stupido del mondo.
Non è forse una vecchia storia confezionata con elementi logori? Che differenza c'è fra la colomba di Totò e la lampada di Aladino? Che differenza c'è fra lo spirito della signora Lolotta e il padre del principe Amleto, e fra le apparizioni postume dell'una e dell'altro? Che differenza c'è fra i pozzi petroliferi e le uova d'oro della leggendaria gallina? Da quando è una novità che le scope volino? E da quando è originale l'idea che le statue acquistino vita e che i ricchi ricorrano alla polizia per sfrattare i poveri dalle loro terre?
La cosa straordinaria della storia di Miracolo a Milano non è la vicenda in se stessa, che è fatta con tutti gli avanzi della letteratura fantastica, come si è visto. La cosa straordinaria è il modo in cui è stata raccontata da Vittorio De Sica e interpretata da Francesco Golisano, un ragazzo brutto e senza grazia quale doveva essere il Totò da lui portato sullo schermo. La forza umana che i realizzatori di Miracolo a Milano sono riusciti a trasmettere a questo gruppo di mendicanti, la carica di verità che c'è in ogni situazione per assurda che sia, e quell'ambiente di cruda miseria e di sogno incredibile e quel palpitare di vita che contagia persino le statue, ecco quel che fa di Miracolo a Milano un film straordinario, convincente, umano, sempre pervaso dal soffio del genio.
Dal punto di vista della realizzazione tecnica, Miracolo a Milano è inattaccabile. Non bisogna dimenticare che è quasi letteralmente un film muto, in cui sono state sfruttate tutte le possibilità espressive dell'immagine, alla maniera dei grandi maestri dei tempi eroici del cinema, prima che l'invenzione della colonna sonora scalzasse la pura immagine dalla sua rigorosa funzione narrativa. Facendo ritorno a quell'epoca che gli specialisti considerano l'età d'oro del cinema, Vittorio De Sica ha realizzato un capolavoro, un'opera d'arte destinata a durare nel tempo.
La musica di Alessandro Cicognini introduce in certe scene uno strano tono di amara ironia e contribuisce in ogni momento a far sì che il film mantenga quell'equilibrio generale che va dalla scoperta di Totò in mezzo ai cavoli (con i quali si è di certo voluto suggerire il mito infantile secondo cui i neonati nascono dai cavoli) fino all'evasione collettiva sulle scope. Bisogna menzionare anche la realizzazione dei trucchi (lo spirito della signora Lolotta e gli angeli atletici, soprattutto), la cui particolare direzione è stata a carico di Ned Mann, aiutato nella fotografia da Vaclav Vich ed Enzo Barboni.
Miracolo a Milano ricorda Chaplin per l'atteggiamento dei vagabondi dinanzi alla vita, e soprattutto nella scena del raggio di sole e nel modo in cui Totò consola il compagno che vuole suicidarsi. Ricorda René Clair per il pozzo di petrolio raffinato che ogni abitante della baraccopoli ha nel giardino di casa sua, e ricorda di continuo, in ogni cambio di situazione, in ogni sfumatura, i grandi maestri del cinema che De Sica e Zavattini hanno saputo assimilare adattandoli senza imitarli alle loro prodigiose intenzioni.
Senza alcun dubbio il pubblico saprà apprezzare nella giusta misura questo esempio magistrale dell'arte cinematografica, fino a ieri l'unica prima importante della settimana.



Gabriel Garcia Márquez, scrittore colombiano, Nobel per la Letteratura 1982.



.
         Precedente    Successivo          Copertina