Un'impressione d'amore

- Brano tratto dal romanzo Pazzo di Vincent -


Hervé Guibert



Nella notte fra il 25 e il 26 novembre, Vincent cadeva da un terzo piano mentre giocava a fare il paracadutista con un accappatoio. Ha bevuto un litro di tequila, fumato erba congolese, sniffato cocaina. Ritrovandolo esanime, i suoi compagni chiamano i pompieri. Vincent si rialza di scatto, cammina fino alla sua macchina, la mette in moto. I pompieri gli corrono dietro, si precipitano nel suo palazzo, salgono con lui in ascensore, penetrano nella sua stanza, Vincent li copre di insulti. Dice: "Lasciatemi dormire", e loro: "Idiota, rischi di non svegliarti più". Nella camera a fianco, i genitori continuano a dormire. Vincent sbatte fuori i pompieri. Si addormenta d'incanto. Alle nove meno un quarto, la madre lo scuote per mandarlo al lavoro, lui non può più muoversi di un millimetro, lei lo trasporta all'ospedale. Il 27 novembre, avvisato da Pierre, andai a trovare Vincent a Notre-Dame-du-Perpétuel-Secours. Due giorni dopo moriva in seguito allo spappolamento della milza.

(...)

Ultima serata con Vincent. Aggiunge della vodka al suo champagne, dice che sta prendendo degli antibiotici, è sfinito, e poi ha una schifezza, questa roba sotto ai piedi che mi ha nascosto l'altra volta; è andato da un dermatologo della mutua, è un fungo che ha tardato troppo a curare, io non devo toccarlo, non è proprio contagioso, ma è meglio stare attenti. Mi chiede se voglio vedere le sue macchie, dico di sì, si toglie le scarpe, mi dice: "Vuoi vedere il piede più schifoso o l'altro?", rispondo: "Il più schifoso". Si toglie il calzino, afferra la gamba per mostrarmi la pianta del piede, piena di macchioline rosse, che trasudano pomata. Poi si volta e solleva il pullover per farmi vedere la macchia che ha in mezzo alla schiena. Dice che se è Aids assalta una banca: o si fa ammazzare durante la rapina, o arraffa la grana e va a sperperarla sulle sue onde. Andiamo a cena. Mi riaccompagna, vuole lasciarmi, ha appuntamento presto con un tipo dell'ufficio delle imposte per un lavoretto nel mese di settembre, vuole avere un bell'aspetto, insisto perché salga lo stesso, anche cinque minuti, cede gentilmente, dice che sono un kamikaze. Sul mio letto, si rannicchia contro di me fra le mie braccia, accarezzo un po' il suo petto, è tutto caldo. Al mattino mi sveglio con un grande senso di disgusto. Cambio tutte le lenzuola. Mi cospargo di polvere antimicotica. Per il pomeriggio prendo un appuntamento dal dermatologo, gli mento, dico che ho dormito per caso con un ragazzo che sicuramente non rivedrò mai più, che in nessun modo posso rintracciare, e gli descrivo le macchie di Vincent, il dermatologo mi assicura che nessun fungo al mondo ha mai preso quella forma.

(...)

Serata con Vincent. Arriva tutto pimpante. Gli racconto il mio ultimo flirt, gli mostro le foto del ragazzo, vedo qualcosa di nuovo nel suo sguardo, è un po' geloso, dice che il ragazzo assomiglia a un porcellino. Lui mi racconta le sue storie con le ragazze. Deve fare i tre giorni dopodomani, non si fa più la barba. Scendendo le scale, si volta appena e mi chiede: "Allora, lo facciamo questo viaggio insieme?". Gli rispondo che ne parleremo a tavola. Lo porto nel ristorante brasiliano dove avrei dovuto portarlo l'ultima volta, la serata andata a monte. Parliamo un po' di quella serata, anche se avevo deciso di non farlo: gli dico che senza dubbio sono stato io, in parte inconsciamente, a farle prendere una cattiva piega, così ci siamo lasciati in modo stupido; più tardi gli confesso che T. aveva progettato di sorprenderci per scopare con noi, e che è questo che avevo dovuto evitare, dandogli con i miei modi ambigui - mi tollera solo se sono diretto - il motivo per piantarmi. Crolla molto presto: dice che finge con tutti i suoi amici, che non si è mai sentito così male. Per la prima volta ha trovato i suoi genitori stupidi.
L'hanno rimproverato (di non essere indipendente a vent'anni, di non guadagnarsi da vivere) e poi, prima di lasciarlo, per mettersi la coscienza a posto, si sono ubriacati con lui. Poi sono partiti per un mese di vacanze senza lasciargli niente, né soldi, né cibo. Ha staccato degli assegni in bianco, l'impiegato della banca gli telefona per maltrattarlo, per dirgli che gli ritireranno per sempre il libretto degli assegni e intraprenderanno delle azioni legali nei suoi confronti. È una settimana che mangia poco o niente, dorme in continuazione, ha troppa fame per mandar giù il cibo che gli mettono davanti, lo disgusta. È livido, quasi cinereo, ormai oltre il limite della bruttezza, i suoi denti sono pieni di macchie bianche e gialle, suda per la paura ed è proprio quella creatura che amo, che ho amato. Mi sento come se fossi mio padre di fronte a me stesso. Cerco rapidamente di far riemergere in me, al suo posto, Michel e la sua sicurezza, il suo senso della giustizia. L'amico morto parla attraverso la mia bocca per confortare Vincent, per scacciare il panico. Chiedo a Vincent che cosa vuole fare, lui risponde: "Dormire". Dico: "Da te o da me?". Lui dice: "Dormo da te". Si è messo a letto prima di me, io gli chiedo come desidera sentirmi nel letto, un po' vestito o nudo, e lui alza il lenzuolo per farmi vedere che si è messo nudo, mi svesto e mi sdraio vicino a lui, gli chiedo: "Carezze o niente carezze?" - ho molta paura di approfittare della sua debolezza - lui risponde: "Niente", spegne la luce, e poggia energicamente la mano sul mio petto, la sua mano mi riscalda e mi dà un'impressione d'amore. Non mi muovo. (...)



(Tratto da Pazzo di Vincent, Playground editrice, Roma, 2005. Traduzione di Maria Grazia Ruspoli.)


Hervé Guibert (1955-1991) Inizia giovanissimo a interessarsi di fotografia, cinema e scrittura. Nel 1977 il suo primo romanzo La mort propagande, attira l'attenzione di Michel Foucault e Roland Barthes. La sua produzione letteraria, scandalosa e autobiografica, subisce un'accelerazione alla metŕ degli anni Ottanta, quando l'autore scopre di essere sieropositivo. Al tema dell'Aids sono dedicati i suoi ultimi libri, tra cui Ŕ l'ami qui ne m'a pas sauvé la vie (1990).


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