Al di là di un paese: Cinema italiano e l'utopia del tropico




Tunico Amancio


La rappresentazione del Brasile nei lungometraggi italiani è qui offerta attraverso una ricerca che si svolge attorno ad alcune produzioni piuttosto disparate: "Una Rosa per tutti" (Franco Rossi, 1967), "Tropico" (Gianni Amico, 1968), "Il barbiere di Rio" (Giovanni Veronesi, 1997).
Nel campo della rappresentazione etnica, in senso lato, l'immagine del Brasile si limita a ciò che il senso comune può bene immaginare, colori forti e vibranti di uno scenario tropicale e di un popolo affabile e multietnico, nella condizione di un paese eternamente in via di sviluppo, in una permanente e disastrata negoziazione con il grande capitale internazionale. Da questo insieme possiamo prima di tutto astrarre immagini semplici, in una configurazione più diretta. Che oltretutto ha a che vedere con l'etnicità, con l'etnia, dal momento che si concretizza in esse la rappresentazione di un insieme di individui che condividono alcuni aspetti della civiltà, come lingua e cultura. Definiti i brasiliani nel nostro lavoro, possiamo cercare nei film, sia ciò che li qualifica, sia la terra dove abitano. Ed è ancora il senso comune ciò che ci procura degli indizi validi. Considerando stereotipi e clichés, tenendo conto dei contesti di produzione dei film, analizziamo la ricorrenza di figure e situazioni emblematiche, dettate da un immaginario alimentato da antiche tradizioni.

"Una Rosa per tutti" è una commedia del 1967 ambientata a Rio de Janeiro, basata su una pièce di Gláucio Gil. Un film con un cast d'eccezione: nel ruolo di Rosa, Claudia Cardinale, e nel ruolo dei suoi fidanzati, Mario Adorf, Lando Buzzanca, Oswaldo Loureiro, José Lewgoy, Milton Rodrigues, Luigi Pellegrini e Akim Tamiroff., con la partecipazione straordinaria di Grande Otelo*1.
L'inizio del film è significativo: una folla balla in strada e il narratore spiega che "il nostro paese è il paese della musica. Quando è Carnevale, e anche quando non lo è, le persone vogliono ballare e agitarsi a ritmo di musica". Questo è uno dei clichés più ricorrenti sul popolo brasiliano, un popolo dotato di ritmo e musicalità, sempre disposto a ballare. In seguito la voce fuori campo fa una distinzione: " c'è la musica dei milionari e c'è quella dei meno fortunati". L'inquadratura si sposta dai saloni eleganti a un ballo popolare, in cui brilla la sfavillante Rosa. La voce continua: "Non mi chieda quale di loro preferisco. Suono la chitarra perché vengo pagato. Ma questa notte no. Questa notte suono per qualcuno. Questa notte c'è Rosa." E allora inizia la storia. Questa introduzione presenta allo spettatore il contesto della storia, e saremo trasportati dolcemente per questo territorio immaginario dove si balla senza tregua, al posto per esempio di lavorare. Un luogo, invece, dove l'amore è una circostanza inevitabile. Aggiorniamo,così, il principio utopico del paradiso tropicale, che ci rimanda a belle more, spiagge, alberi di cocco, vita semplice, una certa bonarietà, una buona dose di ingenuità e amori passeggeri. Il film tratta di tutto questo. A partire dalla protagonista, una abbronzantissima Claudia Cardinale, sempre sorridente e disposta ad aiutare tutti, che si barcamena fra sette innamorati, ai quali concede piaceri amorosi senza volerli schiavizzare col proprio affetto. Di contro, il film è incentrato sulla libertà sessuale che permette a Rosa di elargire le sue carezze ad una autista di autobus sposato, ad un libraio intellettuale di sinistra, ad una cantante versatile e padre di cinque figli, ad uno scultore russo, ad un burbero padrone di un bar, ad un gigante bambino e persino ad un giovane studente alle prese con i suoi esami di Legge. Rosa accoglie tutti, ama tutti e vedrà il suo equilibrio affettivo scosso solo quando rimarrà folgorata dal medico italiano che la amerà romanticamente sull'isola di Paquetá. Si rifiuterà, però, di affrontare una prospettiva di rapporto più serio, dividendosi con tanti altri uomini. Nino Manfredi fa la parte del medico occidentale che per guarire una mãe-de-santo*2 in trance le prescrive sedativi; prova dei passi di xaxado*3 per far colpo sulla ragazza, ma finisce per fare un discorso in cui rinnega il suo comportamento, respingendo come anormale la socializzazione sessuale sfrenata che lei promuove, quel sistema di cooperativa affettiva che lei sponsorizza. Alla fine, le consiglia di tornare al sud, da dove era venuta. Il film si conclude con la ragazza che balla, gli occhi su una nuova conquista amorosa. Ovvero, il film finisce ma Rosa non si ferma.
Il personaggio conferma tutta una mitologia della donna brasiliana così come è vista dal cinema straniero: sempre disponibile, di facili costumi, affettuosa e sensuale. Lei non ha un lavoro vero e proprio e volteggia in ambienti disparati, che si tratti di una festa popolare, di un ristorante di lusso, di una favela sulla collina o persino di un ospedale, dove lei riesce a rimediare fiale e siringhe per fare carità.
Attorno a lei ruota, peraltro, un vasto repertorio di immagini e situazioni che riguardano i suoi uomini e da lì possiamo ricostruire le caratteristiche del ceto medio di Rio in quel periodo. Ed è proprio lì che troviamo i momenti più interessanti del film.
Nel 1967 noi vivevamo già sotto i dettami della dittatura militare, creata per "garantire il capitale e salvaguardare il continente dal socialismo"*4. Nonostante l'intervento truculento in diversi settori della società, dalla censura alla violazione dei diritti civili, la presenza della sinistra è crescente e sempre più visibile nell'ambito culturale, con una relativa egemonia. È in questo contesto che si consolidano una letteratura anti-imperialista, il Febeapá*5, il movimento tropicalista, il teatro impegnato di Arena e di Oficina e il Cinema Novo.




All'interno di quest'ultimo la questione della militanza rivoluzionaria già preannuncia la disillusione che si confermerà nell'anno seguente, 1968, con l'imposizione dell' AI-5*6. La rappresentazione del popolo brasiliano sugli schermi si slega dal realismo della prima ora del movimento, all'inizio degli anni '60 ( con "Dio e il Diavolo nella terra del sole", "Vidas Secas" e "Os Fuzis") e attribuisce al personaggio dell'intellettuale le amarezze dell'ambiguità del processo politico in corso. È la volta di "Terra in trans", diretto da Glauber Rocha nel 1967, "Il Bravo Guerriero", diretto da Gustavo Dahl nel 1967/68 e "O Desafio", di Paulo César Saraceni, anch'esso del 1967. In tutti prevale il disincanto e la perplessità dell'intellettuale di fronte alla situazione politica del paese, messo nella posizione di chi ha armi che si dimostrano fragili di fronte alle scelte di azione. Questa perplessità, in un secondo momento, diventerà, in certi casi, adesione alla lotta armata. Ma allora, nel 1967, la crisi assoluta non si era ancora manifestata.
Ma torniamo a "Una Rosa per tutti" e alla sua lettura edulcorata del ceto medio di Rio dell'epoca. Focalizziamo l'attenzione su Floreal, uno dei tanti amanti di Rosa, per dimostrare le sue affinità con quei personaggi emblematici del Cinema Novo più impegnato. Per portare avanti il confronto, dobbiamo accantonare, tuttavia, qualunque paragone con l'innovazione formale ricercata dai nostri film. Si tratta, solo, di una sintonia tematica, capace di influenzare la propria rappresentazione in un'opera straniera. Anche se la sua esistenza può derivare da una pièce teatrale di un autore brasiliano, già collaudata nei teatri. La sua fedeltà al tema è sintomo dell'intenzionalità che rende chiare le allusioni del testo.
Floreal, interpretato da José Lewgoy, è un libraio di sinistra che lavora in uno stand della casa di cultura del Brasile, all'interno della stazione marittima di Piazza XV. Lui legge il giornale Última Hora, in cui leggiamo a caratteri cubitali la seguente testata: "LA NAZIONE INQUIETA. LA CRISI SI AGGRAVA". Questo è l'unico segno del fermento di quei tempi, l'unico segnale dell'instabilità socio-politica dichiarato nel corso del film, il cui timido silenzio drammatico avrà nel personaggio di Floreal, la sua unica espressione. E per di più discreta come possiamo verificare nel dialogo fra Rosa e il fidanzato: lei: - E come va il socialismo? - ; lui: - Sciopero in Argentina, crisi in Cile,rivoluzione in Guatemala. -; lei: - Niente male! -; lui: - Ma che niente male! Il capitalismo non crolla. Ricordati di quel che ti dico: la borghesia è un serpente con mille facce sorridenti. - Lui aggiunge: - Non lasciare che l'amore borghese ti soffochi. - E dopo lui critica l'amore che lei prova per altri uomini, ecc.
In quel contesto, il personaggio che Lewgoy interpreta assume le caratteristiche di un visionario, in attesa di un cambiamento radicale della società, ragionando in termini classisti sulla vita della ragazza, facendola riflettere sulle complessità dell'amore e del suo potenziale di realizzazione fuori dagli stretti limiti di una società maschilista, coloniale e patriarcale. Floreal sottolinea il fascino drammatico del personaggio di Rosa nella sua essenzialità. È proprio per questo, per questa sua capacità di rinnegare i legami borghesi, che Rosa esiste, disprezzando il matrimonio, la stabilità e la sottomissione. Floreal è l'araldo della sua libertà. Lui annuncia il personaggio e, leggendolo in una chiave più politicizzata, traccia il suo destino. Ma, dato che siamo in una commedia di costume, tali informazioni sono presentate sempre in un tono molto leggero e rapido, per niente imposte. Floreal si esprimerà ancora una volta sul Brasile di quei tempi. Nel suo secondo incontro con Rosa, il libraio, assunto il ruolo di intellettuale, stronca Dante Alighieri, definendolo un "poeta reazionario cattolico" e allora arriva Paolo, il gigante bambino che, pieno di gelosia, vedendoli insieme, lo chiama imbecille, vagabondo, fanatico e "impotente", così rivelando un segreto che sembra che lei gli avesse confidato. È ciò che basta a Rosa per rompere la relazione con lui e andar via indignata. Paolo, roso dalla vergogna, accartoccia un elenco telefonico… e l'anno sulla copertina è proprio il 1964! L'insolito di quell'accusa, inequivocabile, è presente anche in personaggi di altri film brasiliani che incarnano quella stessa impossibilità. E questo significa che c'è un flusso di idee che contamina il film italiano. Queste esprimono moti profondi dell'anima brasiliana, ancorati nella storia, una "paralisi vitale" che può avere molteplici interpretazioni. È proprio questa lettura collaterale del personaggio di floreal che lo fa diventare incisivo, in sintonia con alcuni personaggi emblematici di quel periodo, che sono presenti nel cinema brasiliano impegnato. Dalla superficialità drammatica di "Una Rosa per tutti" finisce per emergere un personaggio che flirta con problematiche cocenti del cinema e della cultura brasiliani.
Lo stesso si verifica in un altro film del periodo, "Tropici", girato sempre nel 1967 in Brasile dal regista italiano Gianni Amico. Egli instaura un più stretto "legame di parentela", "amico" sia nel cognome sia per il tipo di rapporto stabilito col Cinema Novo, seguendo e promuovendo di persona i film brasiliani in Italia. A Glauber Rocha, per esempio, egli dava della vecchia puttana adorata, brutto porco, espressioni inequivocabili di affetto. Una tale vicinanza affettiva si rivela anche nel suo modo di costruire il lungometraggio, prospettato due anni prima durante un viaggio a Bahia, quando il regista rimane disilluso perché non percepisce nel "Sertão" e nel sottosviluppo le possibilità rivoluzionarie che aveva immaginato. In questo senso, le disillusioni degli intellettuali, già citate precedentemente e presenti nei film, bucano lo schermo e contaminano le coscienze per poi tornare sullo schermo sotto forma di perplessità, in un circuito che si alimenta permanentemente.
Alleato del Cinema Novo, Gianni Amico segue ogni passo del movimento, anche se da una certa distanza. Il suo film vuole essere un "Vidas Secas"*7 con un tono più didattico, ma brechtiano, un film su misura per un pubblico italiano. Si tratta della storia del contadino iguel, che esasperato dalla miseria e dalla siccità, abbandona il sertão con la famiglia e parte per San Paolo, in cerca di lavoro. Le immagini sono forti, in stile documentaristico, in un bianco e nero spoglio e una telecamera che osserva i personaggi a distanza e li lascia lì esposti alla contemplazione del pubblico, offrendo una visione spietata del percorso che va dall'entroterra di Bahia alla metropoli, la stessa sorte segnata dalla miseria e dall'analfabetismo in un paese di vinti.
Il film riprende lo stile del primo cinema novo, quello più vicino al realismo, ma lo fa innestando delle procedure retoriche che mirano ad acuire lo spirito critico dello spettatore impedendo l'identificazione e creando, attraverso l'interruzione della narrativa, un effetto di distacco, un distacco che destabilizza la sua sicurezza riguardo a ciò che è rappresentato sugli schermi. È così che, in mezzo al dramma dei retirantes*8 e, cullata da un'improbabile canzone di Mozart, l'azione si interrompe per offrirci informazioni sulla nostra formazione multietnica mentre mostra l'immagine di un paesaggio urbano in cui abbiamo un susseguirsi di primi piani. È allora che il programma utopico del film si rivela nella sua pienezza, ispirato a Gilberto Freire*9 e confermato dalla voce fuori campo, definendo il ruolo storico dei brasiliani, scaturito dalla mescolanza delle razze: un prototipo del terzo mondo e quindi un terzo uomo. Torniamo, quindi, alla finzione, che sarà interrotta nuovamente soltanto dalla scena finale di "Dio e il Diavolo nella terra del Sole"*10, in cui si annuncia la partenza del retirante, i suoi problemi nella ricerca di un nuovo lavoro, il suo passaggio nelle varie città vicine, la sua sopravvivenza nelle paludi. La narrazione viene interrotta nuovamente per raccontare la storia del Brasile, attraverso immagini di vecchi edifici, di ruderi, di tetti, di case coloniali, chiese e ville. Una costruzione di senso attraverso la costruzione dell'abitazione dell'uomo, dei suoi luoghi di difesa e templi di fede. Le immagini sono contundenti, ben elaborate e narrano visivamente i cicli di ricchezza brasiliana, fino a concludersi nella nuova capitale federale. Sono frammenti del film "In cerca dell'oro", di Gustavo Dahl. Poi si ritorna alla finzione, ora accresciuta dall'artista Julio e dall'imprenditore chiamato Mulato (interpretato da Antonio Pitanga), i retirantes prendono un pau-de-arara*11 e vanno verso il Sud. La cinepresa si limita a mostrare, desiderando più documentare che non estrarre drammaticità da quella situazione estrema. I piani-sequenza sono molto lunghi, la loro durata è portata al limite, le panoramiche pedinano i personaggi nelle loro faccende quotidiane: si cerca di coglierne in flagrante i piccoli gesti con uno stile documentaristico; il camion prosegue e si arresta, svelando il paesaggio con ampie inquadrature.
La nuova interruzione sarà radicale. Joel Barcelos, il Miguel del film, ora vestito decentemente, con aria da uomo di città, legge un giornale rivolto verso la cinepresa. Lui recita notizie del Brasile e del mondo, Rolling Stones, Charles de Gaulle, Roberto Carlos si mescolano a Willys, a Ford all'uso della marijuana, a Fidel Castro e al Vietnam. La complessità dell'attualità attraversa lo schermo, datando lo spettacolo e mostrando i suoi vari referenti. A quel punto il film è bombardato da dati economici e faits divers che si incrociano rivelando il mosaico disordinato di quei giorni di fermento politico. Queste immagini si fondono con enormi cartelloni ai margini delle strade, il jazz di Gato Barbieri invade la colonna sonora e alla fine arriviamo alla modernità che la città preannunciava; il montaggio accellerato mostra un universo di nuovi segni: dischi, spettacoli, riviste, modelle e macchinone. Ora Miguel, residente in una favela, ancora mangia la farina di manioca e lavora ad una costruzione. Un gigantesco pannello rivela il suo destino mentre la cinepresa mostra la frase: stiamo costruendo l'Hotel Hilton.
Il percorso del personaggio è un pretesto per mostrare lo stato attuale del nostro sviluppo, che è offerto allo spettatore sotto forma di una lettura razionale dei sintomi della realtà. L'utopia indicata è inesorabile, consona a quei tempi, intrisi di fede nella promessa dell'industrializzazione, tempi in cui la mobilità sociale anima il personaggio, subordinato ai dettami di uno stato nazionale.
Nei due film, lo sguardo sul Brasile e sui suoi abitanti si struttura in chiave diversa, attraverso due differenti tradizioni che sono la commedia leggera e il film impegnato. In entrambi si cerca di capire la complessità di quel periodo e, attraverso un mascheramento o uno scontro, si fa si che segni della storia del Brasile siano impressi sulla pellicola.
Ora facciamo un salto di trenta anni per commentare alcuni tratti di un film italiano recente, "Il Barbiere di Rio", diretto da Giovanni Veronesi nel 1997, che illustra bene la visione odierna del Brasile e dei brasiliani nel cinema italiano.
Matteo Casillo è un barbiere italiano separato dalla moglie e padre di due figli che legge un reportage illustrato su Rio de Janeiro. Questo gli ricorda sua sorella Angelina che vive in Brasile da più di venti anni ed allora è travolto da un'improvvisa nostalgia. L'immaginario affettivo entra in azione: i sentimenti familiari si mobilitano di fronte alla visione edenica delle foto sulla rivista e lui decide di andare a riprendersi il suo Paradiso perduto, desideroso di rincontrare la sorella, si ritrova subito a Rio. Di ritorno dall'aeroporto, il dialogo con il tassista preannuncia la disillusione del suo sogno: "- Pensa che è tutto gratis, donne, culetti, sole, mare e spiaggia? Brasiliani e italiani sono tutti uguali, questo è il paradiso dei disgraziati italiani e dei brasiliani disgraziati" -. Questa constatazione inaugura la sequenza di contro-informazioni che mettono a nudo il progetto utopico di Matteo che, ad eccezione dell'amore, troverà in Brasile soltanto una società in crisi, turbata, nella quale persino la famiglia tradizionale, di cui lui aspira a far parte e minata dalla violenza contemporanea. Ma l'inizio è ancora tutto pieno di curiosità. I legami Italia/ Brasile sono visibili, la mescolanza raziale, le coppie interetniche, la moglie nera del suo nipote Paolo e Jorgina, la mulatta innamorata di Rocco, il cattivo del film, anche lui figlio della sorella Angelina. È Rocco quello che si differenzierà dalla buona gente che lo accoglierà e sarà lui a fornire un'altra chiave di lettura della società brasiliana, sia attraverso il suo atteggiamento da macho latino, sia presentando allo zio i piaceri del turismo sessuale, dove abbondano droga e prostituzione. Rocco condurrà Matteo all' inferno impossibile, sullo sfondo: la favela violenta.
È nell'ambiente dei club notturni che Matteo scoprirà i travestiti di Rio e sarà vittima di uno di loro. La trasgressione è già presente lì, in un universo di eccessi spacciati ai turisti come semplici divertimenti: cocaina, musica elettronica, donne e travestiti, il corpo umano come merce, l'esibizione della carne in estasi. E allora lui comincia ad interessarsi della bella mulatta, irritando il nipote Rocco. A ribadire il progetto del film, abbiamo una sequenza di immagini di spiagge e donne seminude. Cullati dalla musica brasiliana della colonna sonora, vediamo sfilare di fronte a noi le cartoline della città che rinforzano il suo ruolo di principale attrazione turistica nell'immaginario straniero sul paese. Jorgina menziona allora Paraty, la sua città natale, il "cuore del Brasile". Il primo bacio viene scambiato naturalmente nel Pão de Açucar. Ma la sera, scoprendo la storia che sta iniziando, Rocco lo provoca e lo minaccia, costringendolo a tornare in Italia. All'aeroporto, incontra alcuni turisti italiani già conosciuti sulla spiaggia che stanno per partire per São Paulo per andare a visitare la tomba di Ayrton Senna. Il Brasile si inscrive nell'immaginario cinematografico proprio attraverso questi piccoli dettagli che passano quasi inosservati e ai quali il film rende omaggio. Matteo non torna a Roma e decide di rimanere con Jorgina a Paraty, dove conosce la sua famiglia. E continua il giro turistico, ora per la baia di Angra dos Reis, le isole paradisiache che illustrano le vecchie proiezioni mentali di felicità naturali nel "cuore mitico del Brasile". Matteo vive la vita semplice del pescatore innamorato, prova persino qualche goffo passo di samba fino a che la notizia di un incidente capitato alla ex-moglie lo farà ritornare in Italia, dove rincontrerà i figli e parlerà loro di Jorgina.
Il viaggio in Brasile ha cambiato la vita di Matteo che decorerà il suo salone di barbiere con i toni tropicali tipici del Brasile, con pappagalli e palme che dimostreranno quanto lui sia appassionato del Brasile e di Jorgina. Mangia fagioli neri e guarda telenovelle tutto il giorno, tutti piccoli dettagli che non fanno altro che evidenziare questa marca esteriore di brasilianità. I figli non sopportano di vederlo così e "importano" Jorgina per un periodo, pensando alla felicità del padre. I due faranno progetti insieme. Un brusco salto temporale rivela che a quel punto siamo già nel futuro.
Paraty, un salone moderno, bambini che giocano a calcio, Matteo è felice mentre prepara i suoi costumi per il carnevale. Lui si è stabilito in Brasile, ha ufficializzato la sua relazione con il Brasile e spiccherà nella sfilata della Escola de Samba, una sorta di Re Sole dei tropici, nel Carnevale di Rio. L'eroe ha raggiunto il paradiso.
"Il barbiere di Rio" obbedisce al canone più consacrato della mitologia dello straniero che si sente a casa e finisce per essere sedotto dalla generosità della terra e dalla bellezza delle mulatte brasiliane. Confermando la vocazione visiva della città di Rio per il turismo, la trama porterà a galla uno sguardo sul nuovo paesaggio contemporaneo, non presente nei folder delle agenzie di viaggio. Per questo abbiamo la delinquenza giovanile, la prostituzione femminile, l'ambiguità sessuale, la droga, tutto trattato superficialmente ma incorporando i clichés già consacrati in un certo immaginario sul Brasile. Questo ricco compendio di figure, trattate in chiave umoristica, trasformerà quindi Paraty in un nuovo centro di attrazione turistica. In qualche modo, Rio verrà demonizzata in quanto si punta sul nuovo paradiso, La Baia di Angra nella quale Paraty affermerà il suo ruolo di città storica, con tutta l'iconografia del suo passato coloniale. Scappando dalle megalopoli, il film basa nella periferia il dramma di questo nuovo futuro che condensa l'integrazione e la ricompensa. Senza abbandonare i simboli turistici tradizionali, arricchiti da nuovi elementi di attualità, il film recupera Paraty come la Via dell'Oro, poco palpabile, ma molto significativa del fallimento delle utopie urbane contemporanee. Perché è lì che Matteo organizza il suo nuovo universo professionale in base capitalista (è il padrone, ha dipendenti, ha una prospera bottega), il suo universo di piacere ( il carnevale nel quale ha un ruolo di primo piano sfilando come destaque*12 e il suo universo affettivo affiancato alla mulatta che ama tanto. Questo spostamento dei clichés europei sul Brasile è emblematico dell'annullamento di Rio come città in grado di soddisfare le domande immaginarie più impegnative (o meno ricorrenti) ma punta alla costruzione di una nuova idea di paradiso. Sono la terra buona, la natura bella e esuberante e la generosità di un popolo ciò che costituiscono ancora le sue attrazioni mitiche. Matteo è il cronista dei nuovi tempi che aggiorna e ricompone le ragioni del suo trasferimento verso una prospettiva utopica e stabilisce, a modo suo, un'integrazione culturale con la nuova terra.
I tre film rivelano letture abbastanza disparate del Brasile. A modellarle intervengono tradizioni narrative diverse, forme di produzione diverse, svariate prospettive estetiche e politiche. I tre film sono intrisi, tuttavia, di utopie associate ad un tropico nel quale si mescolano la natura idillica, l'infinita generosità della gente e, in un certo momento, la fede nella rivoluzione. Un lasso di tempo mostra che queste immagini, così come la storia, mobilitano nella loro dinamica dimensioni insospettate che si completano, si negano e si armonizzano. E che il cinema è ancora il luogo privilegiato per conoscere queste tensioni.

N.d.T. Tutto ciò che è in corsivo è in italiano nel testo originale.
*1. Sebastião Prata, grande attore comico brasiliano di colore del secondo dopoguerra, molto popolare in Brasile
*2. Una sorta di sacerdotessa dei riti afro-brasiliani
*3. Ballo tipico brasiliano del nord-est in cui si trascinano i piedi per terra
*4. Tratto da Roberto Schwarz, Il padre di famiglia e altri studi. Rio de Janeiro: Paz e Terra editrice, 1978
*5. Sigla titolo di un libro del giornalista Sérgio Porto che adottava lo pseudonimo di Stanislaw Ponte Preta
*6. Ato Institucional n.5, la più brutale legge di eccezione fra quelle che hanno sostituito la Costituzione durante il periodo della dittatura brasiliana
*7. Romanzo di Graciliano Ramos sulla sicità nel nord-est del Brasile, portato sugli schermi da Nelson Pereira dos Santos, all'inizio degli anni '60
*8. Contadini che abbandonano i territori nativi per cercare sopravvivenza nelle terre del nord-est brasiliano
*9. Antropologo brasiliano che ha teorizzato sulle virtù della mescolanza razziale
*10. Film di Glauber Rocha
*11. Camion scoperto, stipato di uomini in cerca di lavoro nelle terre più ricche
*12. Coloro che sfilano con costumi lussuosi ed esuberanti



(Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi dei corsi di Lingue e di Lettere dell'Università di Pisa Gaia Bertoneri, Simona Bruno, Alessandro Giometti, Laura Locatori, Maria Teresa Maré, Laura Marletti, Silvia Mencarelli, Eva Iori Ori, Gianluca Piana, Maria Serena Serra, Claudia Sgadò e Nunzia Vincenza de Palma.)


Tunico Amancio, critico cinematografico, è professore e ricercatore del Dipartimento di Cinema della Facoltà di Comunicazione dell'Universidade Federal Fluminense, a Niterói, Rio de Janeiro, Brasile.



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