A Parigi

- Brano tratto dal romanzo Melampus -


Ennio Flaiano

 



(...) Stupenda giornata di sole. La primavera americana arriva con le arie padronali di chi riapre la sua casa di campagna, spalancando le finestre, e liberando il dirigibile, che augura ancora buon anno.
Tutto quello che è successo ieri mi conforta almeno in questo, parto serenamente, con qualcosa che somiglia alle farfalle di carta, mosse da un elastico, di Florence Baker: un incontro che ha il pregio dell'innocenza, da ambedue le parti. È tornata dalla madre a portare indietro il suo cane, un'ora dopo era ancora qui con una grossa borsa per la notte. Siamo d'accordo che alla mia partenza prenderà Melampus.
Leggo che due studenti di un'università hanno noleggiato un computer e distribuito tra i colleghi un questionario sui loro propri gusti e preferenze. Lo studente e la studentessa senza amici, e che vedono con spavento avvicinarsi il weekend, chiedono aiuto al computer, e questo sceglie in base al carattere e ai gusti del richiedente: propone l'anima gemella, col suo numero di telefono. Si combinano a questo modo incontri tra persone che amano Bach o hanno visitato la Grecia, o
scrivono poesie: che hanno argomenti comuni da trattare. Si presume che dopo un po' si vogliano bene, che in seguito si amino.
Fa errori la macchina? Una ragazza ha avuto l'indirizzo di un'altra ragazza, un giovane quello della sorella. La macchina è sfornita di ironia.
Innocenza del computer che vede l'amore come una sistemazione basata sui gusti comuni, mentre l'amore non può nascere che dall'oscuro desiderio che è in noi stessi di ripetere le sconfitte infantili. L'amore comincia quando ci accorgiamo di aver sbagliato ancora una volta. Ma che può saperne di queste cose la cibernetica?
"Si potrebbe farne una storia" dice Liza Baldwin.
Un racconto che si svolge nel futuro prossimo, quando le macchine avranno sostituito i burocrati. Ci pensavo oggi passeggiando al Central Park con Liza Baldwin e il mio cane. Due adolescenti sporchi e bellissimi correvano abbracciati, baciandosi e guardandosi negli occhi, sempre sul punto di cadere e di sbattere contro un albero. Sembravano ubbidire a un impulso fastoso, decorativo, descrivevano la retorica dell'amore libero come l'immaginano le agenzie di pubblicità.
"Liza," ho detto "l'amore è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai ragazzi. Credono che sia un balletto, o una commemorazione scespiriana all'aperto, da ripetersi all'infinito come nell'arcadia delle carte da parati. Il loro modello è sempre Giulietta e Romeo, ma non sanno che in Giulietta e Romeo parlano due vecchi, non due giovani, che il loro è l'ultimo cosciente e disperato amore, non il primo. Immaginiamo che questi due ragazzi abbiano deciso di sposarsi e seggano ora sull'erba per riempire il questionario della licenza matrimoniale, che nel futuro non sarà rilasciata a tutti. Dovranno ognuno rispondere a duecento domande molto semplici, o proditoriamente semplici. Ridono, leggendole. Quanto fa due più tre? Descrivete la luna. Può un gatto guardare il re? Che cos'è un letto? E uno scendiletto? Quale quoziente sessuale vi attribuite? (Valori normali compresi tra 50 e 110), eccetera. Dopo aver riempito il questionario vanno qui all'angolo, e lo infilano nel computer municipale. Queste macchine sono anche nelle sale da ballo, nei ristoranti della catena Schrafft's, nei musei, nel ridotto dei teatri, insomma in quei luoghi dove di solito i giovani scoprono di essere fatti l'uno per l'altro. Infilano il questionario nella macchina; ma questa, invece di buttare manciate di riso e suonare Mendelssohn, accende la lampada rossa e rimanda indietro il foglio con un "Positively no" stampato di traverso. I due ragazzi sono indignati. Danno calci alla macchina, dicono: "È impossibile, deve esserci un guasto, noi ci amiamo". Molto turbati, vagabondano nella città. È sera quando decidono di consumare egualmente il loro amore. Finiscono in un albergo portuale del West Side, dove il proprietario finge di credere che abbiano l'età necessaria. Essi si chiudono nella loro camera e cominciano silenziosamente ma decisamente ad ammazzarsi, colpendosi con rabbia l'un l'altro. "
"Potrebbe essere una storia vera," ha detto Liza Baldwin pensosa "io credo di conoscerla."
Un'ora al Metropolitan Museum, anche per la colazione. Nella sala dei prestiti temporanei, dove quadri insospettati vengono lasciati dai loro proprietari in vacanza, per una garanzia contro i furti e anche perché siano visti, mi sono soffermato a lungo davanti a un piccolo Claude Monet: The cabin of customs watch, diciamo dunque La casa dei doganieri...
Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera...
Sembra che il pittore e il poeta abbiano voluto fissare i loro ricordi dallo stesso angolo visuale: il mare si intravede pallido sullo sfondo, anzi "sull'orizzonte in fuga". Due incerte figurine sono quasi sul punto di lasciarsi scivolare "sulla balza che scoscende", eccetera.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto...
Versi che hanno consolato un'adolescenza di prigionieri. Ma Liza Baldwin è nata libera. Dava segni di impazienza. "Torniamo a casa" ha detto. Ha gli occhi di un verde e grigio chiaro e mutevole, le palpebre un po' gonfie, ma di buonumore, da bugiarda in età scolastica.

Sento che il suo punto meno chiaro è Parigi. "Raccontami ancora di Parigi" le ho detto.
"Oh, Parigi... Ho voluto fare un'esperienza, ma è troppo tardi per la mia generazione. A Parigi ci sono ancora americani che tentano di scrivere il grande romanzo nella camera d'albergo e finiscono buongustai. Ne ho conosciuto uno: ognivolta che l'incontravo era in un ristorante, da Lipp o da Alexandre, e stava sempre mangiando una enorme bistecca, o un filetto alla tartara, sempre. Tutti discutono, mettono a punto, precisano, urlano se appena sbagli. Tutti vogliono insegnarti qualcosa. Ma ho conosciuto pochi francesi."
"E la città?"
"Sulle prime non mi piaceva, poi ho cominciato a capirla: dopo due mesi l'adoravo. Le boulangeries, i bar-tabac, i discorsi con la gente minuta e i camerieri. Volevo studiare art et décoration, e pensavo di diventare scenografa. Ho capito che avevo tutto da imparare, che noi americani non abbiamo visto il primo atto, e oggi si rifà il primo atto per noi, daccapo, tutta la rivoluzione artistica di prima degli Anni Venti. Sono finita in un gruppo di pittori, scrittori, attori, vivevamo quasi insieme. Ero elettrizzata dal loro modo di vivere, dalla loro povertà, dalla loro mancanza di pregiudizi. La sera molto spesso si mangiava nel mio studio, cucinavo io, era bello."
"Avevi un uomo, immagino."
"Certo. Al principio, più d'uno, tentatively. Poi mi sono innamorata. Ma questo è un altro discorso."
"Facciamolo" ho detto ridendo.
"Ti interessa veramente? Era un giovane attore disoccupato, per vivere faceva tutto, la comparsa di cinema, piazzava frigoriferi, con un enorme disprezzo per l'umanità. Amava soltanto se stesso. Io temevo la sua ironia e scambiavo la sua volgarità per disinvoltura. Cominciò a propormi
incontri con amici. Un giorno me ne presentò uno, bello e sgarbato, non facevano che ridere tra di loro per qualcosa che non capivo e io vidi negli occhi di lui una luce orribile, da vecchia prostituta. Quello che successe non voglio ricordarlo e forse non è nemmeno successo. Eravamo in uno studio della rue St. Jacques, il mio. La mattina presto andai via lasciando tutto, ero sconvolta."
"Perché, lasciando tutto? Che cosa era successo?"
Sta un attimo in silenzio, scuote le spalle, riprende:
"Quella mattina stessa stavo appoggiata al muraglione del lungosenna verso Nôtre Dame. Avrei dovuto aspettare un paio di giorni per il denaro e per andarmene. Si fermò un camion che raccoglieva l'immondizia, e chi lo guidava era un giovane spazzino, con quell'aria ironica e leale che a Parigi ha la gente delle barricate. Mentre gli altri vuotavano i bidoni nel camion, lui aprì lo sportello e mi sorrise, cominciammo a parlare. Non so perché gli raccontai che ero sola e che avevo lasciato tutto e che aspettavo denaro. Lui mi disse: "Non ti preoccupare, c'est pas un problème, vieni da me, passo a prenderti qui a mezzogiorno, finito il giro". Da allora non ho fatto che pensare che quella era la soluzione giusta".
Ho avuto la sensazione che stesse inventando, e male, secondo certi vecchi moduli del cinema, la ragazza americana a Parigi, l'incontro con lo spazzino, con musiche di Gershwin. Ho anche ricordato il suo sentimentale intervento nel teatrino di psicodramma."Una soluzione romantica" ho detto con ironia.
"No, giusta. Ho cercato molte volte di immaginarmi la sua casa. Mi sembra persino di esserci stata e di essere vissuta con lui. Ma non come in un sogno di ragazza, la cosa è più seria." Dopo una pausa ha aggiunto dolcemente: "Mi sono fatta da me molte volte pensando a questa storia".
Mi ero distratto, guardavo la finestra. Ho sentito il colpo lieve e deciso di lei sul mio braccio, il colpo di Melampo quando vuoi attirare l'attenzione.
"Bene, e allora?"
"Debbo continuare? Un giorno ero in un caffè quasi deserto. Nel caffè c'erano due operai in blusa turchina, che bevevano: uno giovane e uno più anziano. Il giovane mi voltava le spalle, l'anziano non mi guardava. Poi entrarono due donne e un uomo, che sedettero al tavolo accanto a me. Le donne erano del giro e l'uomo un cliente o un ruffiano. Mi sorrisero. Ero ubriaca e risposi. Mi chiesero se andavo con loro, un paio d'ore soltanto, dicendomi tutto quello che mi avrebbero fatto. Ero affascinata, non sapevo rispondere, volevo sentire le loro voci che erano calme, piene di verità. Se fossi andata con loro avrei dimenticato tutto, amavano la mia bellezza."
"Quanti anni avevi, allora?"
"Venti. È successo l'anno scorso."
"E poi? Continua."
"E poi, niente. Per mezz'ora mi descrissero il piacere che mi avrebbero dato. E quello che avrebbero fatto per me. La lingua francese è precisa, anche nella pornologia, parlavano come tre medici o tre cuochi. Sentivo che anche questa era una soluzione, continuare fino in fondo. Una soluzione appena raccapricciante, ma viva. Sì, sì, sì, dicevo per non apparire scortese o provinciale. Il giovane operaio che mi volgeva le spalle si alzò e, prima di uscire, passandomi davanti, mi toccò il braccio, gentilmente. Non poteva aver sentito nulla dei nostri discorsi, perché parlavamo a bassa voce. "Non ci andare" mi disse con una stanca serietà di vecchio amico. Ecco, di Parigi ricordo due operai."
"È tutto quello che ricordi di Parigi?"
"No. Un altro giorno, l'ultimo, era domenica, verso le cinque del pomeriggio, scendendo verso Nôtre Dame, la folla entrava e usciva dalla porta di fondo. C'erano americani che si fotografavano e un altro che misurava la luce del rosone. Poi, verso i lungosenna, i negri con le bionde, le coppie che rimontavano il boulevard, quell'odore di zucchero che è la sera parigina, mischiato alla vaniglia e al castano fiorito. Non ero mai stata così sola. Tra le pietre dell'abbazia di Cluny spuntavano dei fiori rossi. Di colpo desiderai di essere un cane, per avere una carezza da quelli che sedevano ai tavoli. Dio mio, quelle donne, tra senape e salsicce, come dovevano essere felici. C'erano delle bandiere sui grigi delle case, due alte su Nôtre Dame, e sui quais le coppie che stavano facendo tutto alla luce del crepuscolo. Poi mi fermai alle casse dei libri, comprai una prima edizione dei versi di Francis Jammes. Nient'altro."
"Clara d'Ellebeuse" ho detto.
Mi ha guardato sorpresa: "Sì, Clara d'Ellebeuse... "Et ils avaient beaucoup d'enfants, sachant les faire!..." Ma a me piace un'altra, quella che comincia: "Je regardais le ciel et je ne voyais que le ciel gris...". Fu la prima che ho letto aprendo il libro e subito lo comprai, con gli ultimi soldi. La ricordi?".
Ha voluto recitarmela. Io evitavo di guardarla, mi vergognavo un po' per lei. Alla fine: "Non capisco" ho detto "come concili Jammes con Ginsberg".
"Ma io Ginsberg lo detesto, mi affascina soltanto."

Liza Baldwin: come certe donne del popolo che girano per casa senza mutande, sapendo che il marito può tornare da un momento all'altro apposta per prenderle, tacitamente, magari di spalle. E che dopo si scuotono come galline, non si lavano nemmeno, l'uomo le ha riempite di quel "brahama" che le farà cantare e cucinare e tener testa alle vicine: le ha "adoperate", come dicono in campagna.
Ho telefonato per spostare la partenza di una settimana e mi sono trasferito nel vecchio albergo. Mi ha ripreso un'insensata voglia di scrivere. In un taxi c'era questo cartello: Cheer up! Things would be worst - You could have my job.




(Tratto dal romanzo Melampus, Rizzoli editori, Milano, 1974.)


Ennio Flaiano (Pescara 1910 - Roma 1972), dopo anni dedicati al cinema, ha pubblicato alcuni romanzi, racconti e lavori teatrali, come Tempo di uccidere (Premio Strega, 1947), Diario notturno (1956) e Una e una notte (1959). Il romanzo Melampus ispirņ il film La cagna di Marco Ferreri, con Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve.


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