Italia europea, europa italiana

- Un'analisi storica degli atteggiamenti, solo in apparenza contraddittori, nei confronti dell'idea di Stato nazionale e di universalismo culturale -



Tommaso Padoa-Schioppa



Eredità romana e cattolica: ecco perché il nostro Paese è il più vicino all'ideale di unità continentale

È impossibile comprendere gli atteggiamenti dell'Italia nei confronti dell'unificazione europea senza far riferimento ai due cruciali eventi storici che hanno la loro culla nella penisola italiana: la civiltà dell'antica Roma e il cristianesimo.
Entrambi gli eventi hanno trovato in Italia le condizioni umane e naturali più favorevoli, e nel corso di molti secoli entrambi hanno plasmato l'esperienza e la cultura del popolo che qui vive. La caratteristica che li accomuna è l'universalismo.
Con questo termine si può intendere sia la certezza che "tutti gli uomini alla fine saranno salvati", sia, con una definizione meno legata a una professione di fede, la nozione che tutti gli esseri umani condividono la stessa dignità. Di qui l'aspirazione a un ordine che possa applicarsi a tutti gli esseri umani; la tendenza a rendere questo ordine accessibile a popoli, culture e tradizioni diversi; la corrispondente consapevolezza dei limiti e della relatività di ogni esperienza, comunità e istituzione.
Anche l'Umanesimo e il Rinascimento, forse i più importanti contributi italiani alla civiltà moderna, hanno origine dalla combinazione della cultura classica con quella cristiana.
Sembra sia stato l'umanista Enea Silvio Piccolomini, che prima di essere papa fu uomo d'armi e di pensiero, a usare per primo l'aggettivo "europeo". I contributi italiani all'attività artistica, scientifica ed economica sono accomunati dalla stessa matrice universalistica.
Tribalismo e particolarismi etnici, che ancora imperversano agli immediati confini del paese, hanno cessato da tempo di svolgere un ruolo nella storia italiana.
Gli abitanti dell'Italia appartengono in parte a gruppi etnici che da millenni si erano stanziati nel suo territorio, in parte da gruppi giunti da Nord e da Sud, da Est e da Ovest nel corso del primo millennio dell'era cristiana. La ricchezza del luogo e, successivamente, la sua debolezza politica ne hanno fatto la meta naturale di invasioni e migrazioni.
Sebbene l'italiano sia una lingua neolatina, i greci, i longobardi, gli arabi, i franchi, i normanni hanno lasciato una traccia indelebile nei cognomi e nei nomi italiani e spesso nella toponamastica. La cultura romano-cristiana ha mitigato la naturale litigiosità dei popoli e ha favorito l'assimilazione e l'integrazione.
Poi, dal diciannovesimo secolo e per buona parte del ventesimo, l'Italia è stata un paese di fortissima emigrazione. Infine, ma solo nell'ultimo decennio, con il sopraggiungere di una nuova ondata migratoria, l'Italia ha ricominciato a fronteggiare la sfida di una società multiculturale e multietnica. Il futuro è sempre incerto. Ma è lecito affermare che la favorevole inclinazione del popolo italiano (della gente comune ancor più che degli intellettuali e dei politici) all'idea di una costruzione politica che superi i confini nazionali abbia radici molto profonde nella cultura del paese.
L'universalismo ha rappresentato anche un ostacolo all'emergere di un moderno Stato unitario simile a quelli creati dalle grandi dinastie europee in Francia, in Spagna, nelle Isole britanniche. Quando si cerca di spiegare il ritardo dell'unità politica italiana, è un luogo comune menzionare la presenza della Chiesa. Da quando il papa, con l'aiuto di Carlo Magno, aveva contrastato l'estensione del Regno longobardo a tutta l'Italia, la Chiesa avrebbe visto nella formazione di uno Stato unitario italiano una minaccia mortale al compimento della sua missione. Lo stesso filone di pensiero suggerisce che la mancanza di una riforma protestante ci avrebbe privati di quel fattore di "nazionalizzazione" della sua vita religiosa che in altri paesi ha contribuito in modo determinante alla creazione di un moderno Stato nazionale.
Entrambe le osservazioni hanno un fondamento e mostrano che la lentezza nella formazione dello Stato nazionale e la tradizione culturale italiana traggono origine dalle stesse cause. Il Risorgimento condusse all'unificazione dell'Italia più di un millennio dopo il tentativo longobardo, e in gran parte contro il volere del papa e del clero. Non si può parlare di un legame particolare tra la Chiesa e l'Italia in quanto tale; non c'è stata una "Chiesa d'Italia" così come c'è stata una Chiesa di Francia o una Chiesa di Spagna.
Il fatto che per molti secoli i papi siano stati italiani, forse fu anche effetto della scarsa rilevanza politica di tale provenienza, e del carattere distintamente "cattolico" (cioè universale) della tradizione culturale italiana.
Queste considerazioni nulla tolgono al fatto che un fiero ostacolo all'unificazione politica dell'Italia siano state anche la forza, l'opulenza e la rivalità dei numerosi Stati regionali e delle città-Stato, dotati di magnifiche capitali e di corti fastose, che speso svolgevano in proprio un ruolo politico internazionale di primo piano. In un certo senso ciò assomiglia alla storia successiva dell'intero continente: la concorrenza e i conflitti tra una moltitudine di piccoli sovrani ha impedito la formazione di un'entità politica più ampia, al passo con i tempi e, pur senza privare la Penisola del suo splendore economico e culturale, ha finito per privarla dell'indipendenza politica.
Mancanza di uno Stato italiano non significava mancanza di una nazione, intesa come consapevolezza di un popolo di possedere un'identità culturale, di lingua, di usi e di tradizioni. Anzi questa identità emerse in Italia prima che in altre parti d'Europa. La lingua italiana forgiata da Dante è più vicina all'italiano parlato oggi alla televisione, di quanto lo siano gli idiomi scritti o parlati del tardo XIII secolo rispetto all'odierno francese, tedesco, spagnolo o inglese. Le grandi figure della cultura italiana (da Dante a Petrarca, fino a Machiavelli, Vico e Manzoni) avevano chiara percezione dello svantaggio costituito dalla divisione e dalla debolezza dell'Italia. È probabilmente a causa del carattere debole ed elastico della relazione tra statualità e nazione che, nonostante ricorrenti tentazioni separatiste, l'unità nazionale non è mai stata seriamente minacciata dal particolarismo regionale. Il raggiungimento dell'unità politica nel XIX secolo colmò il divario tra realtà della nazione e assenza di uno Stato. Le caratteristiche distintive della tradizione italiana non andarono, tuttavia, perdute
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(Un estratto dal terzo capitolo del libro "Europa, forza gentile", edito dal Mulino, 2001.)



Tommaso Padoa Schioppa nasce a Belluno nel 1940. Laureato all'Università Luigi Bocconi nel 1966, inizia la sua carriera professionale alla C & A Brenninkmeyer, dal 1968 comincia a collaborare con la sede milanese della Banca d'Italia, raggiungendo il titolo di Responsabile della Divisione Mercati Monetari del Dipartimento di Ricerca. Nel 1979 è Direttore Generale per l'Economia e gli Affari Finanziari alla Commissione Europea, e nel 1983 assume il ruolo di Direttore Generale per la Ricerca Economica alla Banca d'Italia. La sua brillante carriera continua con una carica di Direttore del CONSOB nel 1987. Oggi Tommaso Padoa Schioppa ricopre la carica di Membro del Executive Board (Consiglio di Amministrazione) della Banca Centrale Europea. Tra i numerosi riconoscimenti ricordiamo: dal 1999 è Professore Onorario di Economia all'Universitàdi Francoforte, Dottore Honoris causa (Economia) della Università di Trieste, Dottore Honoris causa (Scienze Politiche) della Università di Padova, Dottore Honoris causa (Business Economics and Administration) della Università di Bergamo: é stato, inoltre, decorato Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana (1989).



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