VERGINE NELL'INVERNO


Hasan A. al Nassar




Come possono abbandonare i poeti questo campo?
Nuvole zampillano dalle pietre come sorgente
come acqua silenziosa limpida
come neve
come terreno arido incendiato dopo l'ultima battaglia,
che entra in una tenda, o forse
nella trincea ferma come il ghiaccio,
in ogni angolo di una casa di acqua
di sabbia, di fuscelli più alti della mia statura
e più bassi della finestra.

Io sono l'Iraq, l'orientale smarrito
nella notte di questo campo.
Io non conosco il giorno della città
perché l'Iraq piove pioggia furiosa e tu, amore mio
sei amante dell'eco invernale
desideri che i rami si accostino ai rami
l'acqua verso l'acqua e la pietra verso l'argento
smarrita quando sei vicina a una tenda
con la vergine anima scivoli verso il ghiaccio orientale fra due fiumi,
mentre la notte è pioggia
vestiario d'inverno.

Allora verranno i poeti:
ma come possono abbandonare questo campo?
Dal deserto al deserto
dal mare al mare
vedendo le donne l'ultimo poeta afflitto
camminando
è appoggiato sull'ultimo filo oscuro
sul primo filo dell'orizzonte dell'alba.
Non conosce altra direzione
non vede un cavallo sul prato, né un sasso.
Come può fuggire un inverno?
Cervara nuda nel freddo e neve
chi la guarda si vergogna della sua nudità.
Abiti invernali nudi.
Cervara, scrivi il mio nome nudo
davanti a ogni ghiaccio nudo come le donne.
Ma come possono i poeti abbandonare questo campo?

L'anima dell'inverno uccide lo spirito dell'inverno
lo spirito dell'estate uccide l'anima dell'estate
ma una primavera sta muovendo verso le pietre bianche,
sta muovendo verso l'involucro di un fiore.
Passa l'inverno, passano primavere e estati
un cammino di stormo di nomadi
che indossano le camicie bianche;
volano gli indumenti.
Ha gridato una ragazzina: " Io sono pura
vergine bianca come la pietra
perché ho rubato l'alba di Cervara
mentre curavo la sua ferita con l'acqua".

Perché l'Eufrate e Nassirya sono rimasti deserti
sono rimasti soli come lo stupro
come vedove dell'inverno che adagiano la mattina
con il pianto
e la chiudono recitando il Corano.
Ma Cervara recita il Cantico dei Cantici
senza lacrime,
perché vola galleggiando nella sera vergine d'aria
vola, amante di tutti i poeti.

I poeti non hanno terra, né patria e casa
i poeti possiedono lucchetti con chiavi perdute
camminano sull'ultimo filo del buio
tornano sul primo filo dell'aurora;
come possono abbandonare questo campo
di Eden?



Hasan A. al Nassar è nato nel 1954 a Dicar, Iraq. A Baghdad ha pubblicato le sue prime opere di narrativa e poesia, collaborando come giornalista a varie riviste. Attualmente è membro del comitato di consulenza della rivista "Al Mefiyon" (Esuli) pubblicata in Libano. Da molti anni in esilio, vive a Firenze, dove si è laureato in Storia dei Paesi Islamici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, laurea dopo la quale ha conseguito un dottorato di ricerca presso l'Istituto Orientale dell'Università di Napoli. È membro della "Lega degli Scrittori, Giornalisti e Artisti democratici Iracheni", per la quale ha pubblicato il volume di racconti in lingua araba Il massacro delle oche selvatiche (Firenze 1986). È collaboratore della rivista "Testimonianze" e redattore della rivista di poesia comparata "Semicerchio", per cui cura la sezione di poesia araba. Suoi testi in italiano sono usciti sulle riviste "Eleusis", "Varia", "D.E.A", "Plurale", nel Quaderno Mediorientale I della collana "Cittadini della poesia" (Loggia de' Lanzi 1998) e nelle antologie Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere 2006) e Nuovo Planetario italiano (Città aperta 2006). Ha inoltre pubblicato Letteratura dell'esilio: il caso iracheno (CUSL, Milano 1996), e le raccolte poetiche Poesie dell'esilio (D.E.A, 1991), Immigrati siamo tutti (D.E.A 2000, collana "Geografia sommersa", a.c. del Prof. P.Baldelli).



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