UNA DITTA LEADER


Stefano Redaelli




Temo di aver fatto della mia vita
un inutile rullio di tamburi
all'inizio della melodia
e di aver fatto ristagnare l'acqua della servitù
prima che giungesse
il momento dell'affrancamento
Al-Ansari

 

"Secondo te di cosa parlerà?"
"Le solite cose, siamo la ditta leader nel settore, la nostra firma è sinonimo di alta qualità dei prodotti e massima efficienza del servizio, il nostro fatturato è in constante crescita, bla, bla, bla, le solite chiacchiere per costringerci a lavorare di più"
"Convincerci, volevi dire, siamo una ditta modello, nessuno costringe nessuno, è una questione di motivazioni…."
"…le motivazioni sono il motore della produzione, con una buona motivazione si può affrontare ogni sforzo, lavorare dieci, dodici ore al giorno…"
"…senza neanche pensare al guadagno…"
"…noi lavoriamo per essere il numero uno, mica per guadagnare…"
"…il dipendente modello desidera il bene della sua ditta come il proprio…"
"…ed il direttore modello va in giro con la Mercedes"
"Lo fa solo per tenere alta l'immagine della ditta, fosse per lui andrebbe in giro con una Stilo"
"Mi stupisce che non gli abbiamo ancora costruito un mezzo busto"
"Lo faremo, con i soldi dei nostri stipendi e se avanza qualcosa gli regaliamo pure l'ultimo modello della Nokia"
"Non ce l'ha già?"
"Noi lo prendiamo in giro, ma in realtà ci piace, non è così?"
"Se non fosse ricco sfondato mi starebbe anche simpatico, quando si mette a parlare ed inizia a sudare, sembra che ci creda veramente, parla come se fosse investito da una missione"
"Non è facile essere una ditta leader… ti ricordi l'ultimo discorso che ci fece?"
"Mitico… certo è un motivo di vanto, ma aumentano le richieste e l'aspettativa del mercato, abbiamo un obbligo morale nei confronti dell'utenza… un obbligo morale, capisci, ho dovuto fare un sforzo bestiale per non mettermi a ridere, come si fa a parlare di obblighi morali, questo ho è un grandissimo attore, o ci crede veramente, non so cosa sia peggio"
"Ci crede e ci fa, come ogni direttore che si rispetti"
"E se ci dicesse che siamo diventati la ditta numero due, t'immagini, vorrei vedere la sua faccia impallidita"
"Non ce lo direbbe mai, non permetterebbe che crollasse nei dipendenti un mito costruito per anni con tale determinazione, sarebbe troppo umiliante e pericoloso"
"Soprattutto per noi: se diventassimo la ditta numero due, dovremmo lavorare il doppio di quanto lavoravamo prima, che era già il doppio del normale, in quanto ditta numero uno"
"E se diventassimo la ditta numero tre?"
"Moriremmo tutti a lavoro e costruirebbero tanti mezzi busti"
"Secondo me la ditta numero tre rientra tra le ditte che lavorano normalmente senza ambizioni da leader. I problemi iniziano se sei la ditta numero due o uno"
"Io credo che ci sia una specie di top ten, le dieci ditte col fatturato più alto nel settore che si ammazzano di lavoro, mentre le altre ditte si accontentano di fatturare e lavorare meno"
"E se la passano meglio di noi, magari non come stipendi, ma come tranquillità di vita"
"Chissà che discorsi fa il direttore della ditta numero dieci"
"Gli stessi della ditta numero uno, ma senza sudare e fare tutto quel teatro, parla più spontaneamente e a lungo, non come il nostro che in dieci minuti ti presenta la situazione con un linguaggio così accurato e persuasivo, che alla fine, quando ti chiede gentilmente se ci sono dubbi o domande, tu non puoi fare altro che dirgli: è tutto chiaro direttore, faremo come dice lei direttore, per il bene della ditta direttore"
"Eccolo che arriva, sciarpino di seta, scarpa lucida, hai visto che vestito…"
"Buongiorno. Scusate il ritardo. Vedo che ci siete tutti, impeccabili, come sempre. Benissimo. Vi ho fatto convenire per un motivo inconsueto. Vorrei comunicarvi una notizia di carattere personale, che però vi riguarda, ci riguarda tutti, perché la nostra ditta è fatta di persone prima che d'impiegati ed ogni affare personale è al tempo spesso un affare della ditta, e questo vale, naturalmente, per gli impiegati così come per il direttore. Il volume medio nella stanza si è abbassato di molti decibel, per la prima volta il direttore non ci parlerà di produzione, fatturato, programmazione biennale, straordinari, starete pensando, oggi il direttore ci vuole comunicare una notizia di carattere personale, di che cosa si tratterà, vi chiederete. Si tratta della mia salute. Non credo che qualcuno di voi abbia notato negli ultimi tempi un cambiamento nel mio ritmo di lavoro, nell'aspetto, nell'umore. Non ho sentito commenti né voci di corridoi, magari ci saranno state, ma da quello che posso intuire, osservando il vostro lavoro e rendimento, dopo anni di esperienza alla direzione di questa ditta, mi pare di poter affermare che nessuno di voi sospetti niente. Quando un uomo che espleta un incarico di responsabilità, un uomo in vista, abituato a prendere decisioni importanti, direttore di una ditta leader, un uomo ricco, diciamolo, si ammala e gli altri se ne accorgono, cambia tutto e cambia in modo impietoso. Apparentemente le cose continuano a funzionare come prima, gli altri si sforzano di essere disinvolti, ogni tanto gli sfugge qualche parola o gesto gentile che prima non avevano mai avuto nei tuoi riguardi, e soprattutto sfuggono sguardi, quella è la cosa peggiore, si può dissimulare con tutto il corpo, ma non con gli occhi. E ti ritrovi addosso sguardi misti di compassione e compiacimento, adesso deve scendere dal suo piedistallo, non potrà fare più quello che faceva prima, pensa la gente, tutto questo lavoro, tutti questi soldi a cosa gli serviranno adesso che ha perso la salute. Ieri il medico mi ha detto che devo lasciare il lavoro, se voglio sperare di guarire, se voglio vivere. Devo abbandonare la direzione della ditta. Me lo ha detto in faccia, senza alcuna parafrasi, come lo sto dicendo ora io a voi. Non posso dire che non mi sarei mai aspettato una sentenza simile, conosco il mio medico, ci conosciamo da dodici anni, il suo tono della voce, il suo sguardo sono più eloquenti di accurate e leggibili diagnosi. La mia salute va peggiorando progressivamente da alcuni mesi, questo me lo aveva detto. Il pensiero di dover lasciare prima o poi la ditta a causa della salute non mi era estraneo, ma l'avevo sempre rilegato ad un futuro remoto al quale avrei pensato a tempo debito. Invece ieri il dottore mi ha guardato in faccia, da dietro le sue lenti sempre sporche - quante volte gli avrò detto che per un professionista come lui è inammissibile avere le lenti sporche, e se proprio non c'è verso di tenere puliti gli occhiali, che si metta le lenti a contatto, ne va della sua immagine - da dietro le sue lenti sporche proferisce la sua sentenza di quattro parole: devi lasciare il lavoro. Con me non serve girare intorno ai problemi, io sono abituato ad affrontarli i problemi non a girarci intorno, il successo della nostra ditta, lo dico senza falsa modestia, è dovuto anche a questo: problemi su problemi affrontati e risolti all'ordine del giorno, senza mai rimandare, massima serietà, massima responsabilità, massima efficienza, queste sono le leggi del mercato, se rimandi è troppo tardi, sul tuo problema un altro costruirà il suo successo, non ci si può permettere di lasciare un problema irrisolto. Il dottore ha fatto con me quello che io faccio con il mio lavoro. Dritto al punto. Inquadrato il problema, trovare una soluzione immediata. Il mio problema: stato critico della salute. La soluzione: lasciare il lavoro. Una logica ferrea. La medicina ed il mercato hanno qualcosa in comune. Di fronte ad una comportamento così professionale non ho potuto fare altro che complimentarmi. Per sdrammatizzare gli ho chiesto che lavoro secondo lui avrei potuto fare. Non vi dico cosa mi ha risposto, non era affatto divertente. Ho già iniziato a prendere provvedimenti per le dimissioni e la sostituzione. Potete stare tranquilli, la direzione della ditta verrà assegnata ad una persona competente, stimata, di fiducia, che assicurerà continuità e sviluppo. Non ho preparato un discorso di congedo. Non sono bravo a ringraziare, temo di dimenticare qualcuno, di usare un ordine improprio, è una situazione che francamente mi trova del tutto impreparato. Io vi ringrazio tutti. Vi prego di accettare questo ringraziamento collettivo. Gli anni spesi al servizio della ditta, collaborando con ciascuno di voi, sono stati gli anni migliori della mia vita, anni di sacrifici, rischi e successi. È evidente che gli obbiettivi raggiunti sono stati possibili solo grazie ad un lavoro di squadra. Ognuno ha svolto il suo ruolo. Io avevo quello del direttore tecnico. Un ruolo importante, converrete, ma un buon allenatore senza buoni giocatori non vince il campionato, ed è vero il viceversa. Noi abbiamo conquistato il primo posto e da anni lo difendiamo. Non ci si può aspettare di più dal lavoro, direte, ed è così, posso dire con tutta onestà di essere un uomo realizzato, lasciarlo proprio ora, commenterete, da un giorno all'altro. Ci ho pensato a lungo questa notte - questa notte ho deciso che vi avrei immediatamente informato - e sono giunto alla conclusione che forse questo è il momento migliore per lasciare, quando non c'è motivo di farlo, quando nessuno se lo aspetta - la concorrenza resterà spiazzata dal tempismo della decisione e non avrà il tempo di approfittare di un eventuale momento di debolezza della ditta - quando gli affari vanno nel migliore dei modi. Non c'è un momento migliore. Non so che immagine abbiate di me, forse quella di un direttore esigente - esigente lo sono sempre stato prima di tutto nei miei riguardi - categorico, incline a trattare ogni caso e persona come uniche, dunque flessibile e per questo poco prevedibile - il mercato è la più grande variabile che esista, ci insegna a non avere costanti assolute, ma parametri mutevoli per far fronte a fluttuazioni impreviste - non so se mi ricorderete con piacere, o ringrazierete Dio di avermi liquidato con una malattia, non sono tenuto a saperlo. Da parte mia, mi preme dirvi che vi ricorderò come coloro che hanno condiviso l'avventura di portare quest'azienda ad essere la ditta leader nel settore. Vi ricorderò con stima per la vostra professionalità e motivazione. Credo di aver detto tutto. Perdonatemi per avervi rubato più tempo del solito; vi ho richiamati spesso alla puntualità e all'efficienza, a non dedicare sette minuti ad una faccenda che può essere risolta in sei, il lavoro non ci aspetta, se arriviamo tardi, qualcuno sarà più veloce di noi e lo prenderà lui, queste sono le regole del gioco, non le ho inventate io, dobbiamo rispettarle se vogliamo giocare e vincere. Ma questa volta ci tenevo ad informarvi adeguatamente sulla mia situazione personale. Mi accorgo di essermi concesso qualche considerazione e confidenza di troppo, una volta tanto si può fare uno strappo alla regola. Da lunedì prossimo il mio sostituto - il cui nome vi verrà comunicato nei prossimi giorni - assumerà la direzione. Auspico e credo fermamente che tutto continuerà come prima. Vi ringrazio per l'attenzione. Arrivederci. Potete andare."

"Allora?"
"Allora niente"
"Altro che ditta leader"
"Mi dispiace, non era un cattivo direttore, le persone si scoprono quando è troppo tardi"
"Direttore era e direttore rimane. Hai visto come ha razionalizzato la situazione, casca sempre in piedi, ha sempre le cose in pugno"
"Ne sei sicuro? Voglio vederlo a dirigere i compiti in classe del figlio, le visite dal medico, i pranzi dai suoceri. Non so se sua moglie gli cederà la leadership dell'azienda famigliare"
"Che ne sai tu chi comanda a casa sua?"
"E a casa tua, chi comanda?"
"Smettila, mi è passata la voglia di scherzare"
"Non sto scherzando. Piuttosto, pensi che dovremmo dirgli o scrivergli qualcosa? Oppure riteniamo la faccenda chiusa"
"Per lui forse sì. Noi, non lo so, ci devo pensare. Che cosa si scrive in questi casi?"
"Non ne ho idea, forse una lettera in cui esprimiamo la nostra stima per la dedizione con la quale ha diretto la ditta… ed il nostro rammarico per il fatto che se ne deve andare… non lo so, è difficile, si rischia di essere patetici e retorici, forse è più facile andare a parlarci"
"Così, quando te lo ritrovi davanti, finisci per dire qualche stupidaggine ancora più grande. Io scriverei una lettera, una lettera si può rileggere, correggere"
"Bravo, allora scrivila"
"Grazie, sei davvero di grande aiuto"
"Io non so scrivere"
"Neanche io, questo non vuol dire che non possiamo provarci"




Stefano Redaelli č laureato in fisica presso l'Universitą de L'Aquila, ha conseguito il dottorato in fisica presso l'Universitą di Varsavia. Vincitore, nel 2001, di un premio speciale della giuria del Premio internazionale di Poesia Orient-Express sezione giovani "Guglielmo Maio"; finalista l'anno seguente. Ha frequentato il Laboratorio di Narrativa full immersion della Scuola di Scrittura "Sagarana" di Lucca. Si occupa di caos e vento solare nel Centro di Ricerca Spaziale dell'Accademia Polacca delle Scienze a Varsavia. Collabora col quindicinale "Cittą Nuova" nelle rubriche di Cultura e Testimonianze. E' traduttore per le Edizioni San Paolo in lingua polacca. Insegna lingua e cultura italiana nella facoltą di Studi Mediterranei dell'Universitą di Varsavia e nell'Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Libri: Sull'Autobus - Poema a fermate per le vie di Varsavia, Edizioni Orient-Express, Castel Frentano, 2002, Obietnica czas próby - promessa tempo di prova, Monika Anna Gasiorek - Stefano Redaelli, Edizioni Nowy Swiat, Varsavia, 2004, Arrivano in tempo - Storie di angeli custodi, Cittą Nuova, Roma, 2005



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