IL DESTINO DEL LIBRO

- Un'intervista con George Steiner -

Renato Minore

Gli occhi di George Steiner sono vivi, curiosi, come quelli di un adolescente che ha superato i settant'anni. Il suo italiano è fantasioso, creativo, pieno di citazioni, con un ritmo sicuro e una creativa pertinenza nella scelta dei vocaboli. Da quel grande poliglotta che è, Steiner si schiera contro "ogni misticismo etnico della lingua" cui oppone "la ricchezza elargita di Babele". Incontro il grande critico, l'intellettuale, il rabbi della lettura dei testi letterari poco prima della sua conferenza torinese, alla Fiera del libro. Parlerà del destino del libro in quest'epoca di profonda mutazione tecnologica, in un mondo in cui le culture sono sempre più contaminate, meticciate. Maestro da sempre questo "ebreo errante" che si è mosso dalla Parigi di Pétain a New York a Cambridge dove attualmente è fellow del Churchill College.
Maestro fin da quando spiegava, nelle notti insonni, ai compagni di corso dell'Università di Chicago alla fine degli anni Quaranta, il racconto I morti che è uno dei più belli di James Joyce. E riusciva a trattenere le lacrime finché non le scorgeva sulle guance non rasate dei suoi amici: "Seppi allora che potevo invitare altri a penetrare nel significato. Questa scoperta determinò il mio destino. Da quella notte in poi, le Sirene dell'insegnamento e dell'interpretazione hanno cantato per me".

Professor Steiner, lei parla del destino del libro in un'occasione come la Fiera, dominata dal tema della multietnicità, quando sono molti a credere che si vada esaurendo la lunga onda testuale che ha caratterizzato la civiltà occidentale...
"Mi chiedo quale forma possa assumere il libro e quale destinazione la lettura, quale scenario possa sussistere per una "letteratura seria". Le condizioni sono fragilissime, rischiano di capovolgersi in ogni momento. La lettura richiede silenzio e il silenzio nel mondo attuale è costoso, è un autentico prodotto di lusso. Chi mai ne può disporre? Tanti potenziali lettori non hanno il tempo, la possibilità fisica di leggere.
La mia paura è che la "letteratura seria" passi per il varco della specializzazione, diventi oggetto di consumo soltanto accademico, specializzato, settoriale, clandestino".

Lei ha sempre coltivato il rapporto con i giovani lettori, con i suoi studenti. Si è dichiarato nemico della mediocrità, si è opposto al livellamento dell'educazione e ai mass-media che - ha scritto - possono seppellirci vivi.
"E impossibile credere che i giovani siano silenziosi. Certo, c'è Internet, la nuova rivoluzione informatica: ma mi chiedo cosa vada perso di quel rapporto unico, di quell'intrattenimento infinito che è il rapporto con il mondo dei libri. Dove è finita quell'esperienza, il senso e la scoperta di sé?".

Oggi, la perdita delle pluralità linguistiche connessa alla grande rivoluzione delle nuove tecnologie rischia di farci vivere in un mondo più povero, che si va sempre più riducendo ad una sola lingua, quella lingua "franca" di cui lei si è occupato.
"Le lingue rappresentano una ricchezza, bisogna studiarle e tramandarle. Con la perdita della loro pluralità, ecco un mondo più monotono. E' un mondo con una sola lingua, l'angloamericano. E' la lingua del computer, quella che ci porta il cyberspazio, il Web. Non si può dimenticare il rischio elettronico. La rivoluzione di Gutenberg era una trasformazione graduale, non una trasformazione metafisica. Quella di oggi è un triplo salto mortale metafisico".


Lei dice: è un'evoluzione davvero inconcepibile, un vero e proprio passaggio di potenza...
"Il signor Bill Gates ha detto una cosa che mi ha fatto rabbrividire. Ha detto: io sono il primo uomo sulla Terra i cui dipendenti sono miliardari. È il trionfo di un codice universale di comportamento. Ma io sono molto contento di poter ascoltare ancora Bach, di potermi emozionare quando vedo Giorgione o Giotto, quando parlo ai miei studenti di Kafka, Tolstoj, Freud... Lo considero un atto etico e politico, l'eccellenza è un gesto politico. Tutte le mattine mi consola una citazione di Spinoza: "Ogni cosa eccellente è difficile". Spinoza mi ricorda il coraggio di vivere oltre la popolarità".

Nel suo ultimo saggio "Nostalgia dell'assoluto", in uscita da Bruno Mondadori, lei si occupa del ritorno dell'irrazionale nella nostra società. E' il tentativo di riempire il vuoto creato dal declino delle religioni? Ed è anche la necessità di dare risposte alla mancanza di senso che colpisce l'uomo contemporaneo?
"Se si osserva il fenomeno, si coglie alla sua radice una grande ondata di irrazionalità che opera come nostalgia dell'assoluto. Lo abbiamo visto in azione nelle mitologie, nelle metafore totalizzanti dell'utopia del marxismo che voleva liberare l'uomo, nella concezione freudiana che anch'essa prometteva scenari utopici di liberazione personale. Le teologie sostitutive, o post-religiose, hanno dimostrato di essere soltanto illusioni. Arrivano allora lo zodiaco e il mondo fantasmatico dell'astrologia, arrivano i fantasmi e la parola dei guru, così diffusa, insistente, trasmessa di bocca in bocca. Ma sono surrogati, non riusciranno a colmare quel vuoto, non riusciranno a placare quella sete".




(Testo tratto dal sito SWIF - Sito Web Italiano per la Filosofia.)




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