GLO'

Vergílio Ferreira




Quando la mamma, ogni sabato, dopo esser tornata dalla fabbrica, ripartiva verso la casa del signor Costa, Glória le si appendeva salda alla gonna, si metteva un ditino in bocca e partiva anche lei. Le andava dietro come un rimorchio, moltiplicando i piccoli passi, senza che la mamma le prestasse attenzione con quel suo passo pesante di sottane fruscianti. Ma non appena da dentro aprivano la porta, la signora Custódia si girava verso la bambina e diceva in modo brusco: - A casa! Sempre dietro come un'ombra. Allora la figlia del sig. Costa, la signorina Guilhermina, diceva lasci stare la piccola, e subito s'intratteneva con lei, facendo molte domande a Glória che rispondeva a tutto prontamente e senza arrossire, con una precisione da innocente. In quel momento la sig. Custódia poteva permettersi di sorridere senza offendere nessuno, se non altro per vanità; ad ogni modo, per fare buona figura, non risparmiava qualche insulto alla bimba: - Ma guarda che mascalzona, eh? Dove avrà preso questo vizio…?! Ma subito dopo intenerita, fissava il visino della piccola, un po' sorpresa che l'apprezzassero tanto, e se ne andava infine a fare le faccende cominciando dalla cucina.
Glória veniva allora verso il centro del salotto per sottomettersi al solito interrogatorio serrato che tanto divertiva Donna Elisa e la figlia, senza che lei, tuttavia, trovasse nelle sue risposte la ragione per tante risate. Altre volte, invece, una domestica la portava via prima, per darle una sistemata o calmarle lo stomaco, e l'accompagnava poi verso il centro del salotto, senza che neanche lei capisse quell'interesse per la piccola, tranne forse quando si dichiarava stupita del fatto che la bambina mangiasse come un uomo. Glória rimaneva molto seria, con gli occhi bassi, corrucciata dalla rabbia per quella cattiva che in quel modo rendeva pubblica la sua fame e che la trattava sempre senza affetto, tirandola a strattoni. Tuttavia la curiosità di D. Elisa per la bambina si esauriva in fretta e così si isolava nel tricot, o dava ordini alle domestiche o si sedeva al piano, persa nella saudade delle melodie dei suoi tempi.
Però Guilhermina, sicuramente perché le piacevano molto i bambini, le accarezzava i capelli, le stringeva la faccia paffuta e aveva sempre altre cose da chiederle: - Cos'hai mangiato oggi? - Le patate e il brodo. - E ieri? - Le patate e il brodo. Zé ha baciato Ludes. - Li hai visti? A volte D. Elisa doveva intervenire per decoro: - Mina, basta con queste domande! Mina s'interessava sempre di più alla piccola e siccome i suoi vestiti a righe stonavano col lusso della casa, cominciò a comprarle stoffe di seta. Ma la sig. Custódia si prendeva sempre tutto e Glória continuava a presentarsi mal vestita. Fino a che Mina si impose, e Custódia non ebbe altro rimedio se non quello di tornare in fretta ogni giorno dalla fabbrica per agghindare la piccola prima di portarsela dietro.
Accadde che un sabato Glória si ammalò e per questo la mamma volle costringerla a rimanere a casa, placando momentaneamente l'invidia dei fratelli più piccoli, l'umiliazione dei loro sogni. Ma la piccola pianse, disperata, e Custódia dovette portarla in braccio. Andò incontro a molte domande delle vicine e persino alla stessa sorpresa della signora, alla quale dovette spiegare: - Poverina, sta così male ma non c'è stato verso di farla rimanere in casa. Quella volta persino il sig. Costa s'interessò chiaramente alla piccola, sentendole il polso: - Questa bambina ha la febbre altissima. Custódia, sorpresa, lo prese come un rimprovero e si giustificò un'altra volta da capo, verificando nello sguardo di tutti se si stava spiegando bene: - Io volevo davvero ma lei....
E li fissò alla fine, uno a uno, chiedendo comprensione. Mina allora decise, malgrado l'esitazione dei genitori, che la piccola sarebbe rimasta lì a letto, e il sig. Costa telefonò al medico. Fulmineamente, Custódia sentì scorrere nelle vene il doloroso presentimento che Glória non sarebbe più stata sua. Ma nonostante questo non ebbe il coraggio di soffrire. Perché solo perdendola Glória acquistava importanza, persino per la mamma, come si vide subito quella sera, quando una domestica l'aiutò a pulire la casa. Mina si lasciò andare in mille tenerezze per l'ammalata, al punto che D. Elisa dubitò del suo buonsenso, per quanto adorasse anche lei la bambina. Le metteva il termometro, controllava personalmente la borsa dell'acqua calda e la prima notte dormì su una sedia.
Fortunatamente la malattia di Glória non durò così tanto da far annoiare le signore. E appena si alzò e sciolse la lingua chiacchierona, a nessuno venne in mente di restituirla ai genitori, per la ragione evidente che lei aveva ormai qualcosa della famiglia Costa. Mina le fece vestiti corti con gonne a pieghe che le mostravano le gambe cicciotelle e i triangoli bianchi delle calze, le insegnò come comportarsi a tavola, e pochi giorni dopo non le lasciò nemmeno il nome com'era, accorciandolo in Gló. Quanto a questo, però, Custódia trovò che non c'era niente di male a non essere d'accordo e disse che Gló era brutto: - Ma signorina: Gló! Gló, gló, glu, glu. Come i tacchini. Gló cresceva, la mamma non ce la faceva più a pulire la casa del sig. Costa e tutto il resto seguiva il suo corso. Glória fece l'esame di quinta elementare, prese olio di fegato di merluzzo e fece bagni al mare, era ora una bambina perfetta. All'inizio la mamma, quando la vedeva passare con la signorina o con la domestica, andava a baciarla, o la guardava solo da lontano per non sporcarla, imponendosi, in qualche modo, all'attenzione delle vicine.
Ma anche le vicine, segretamente, sentivano che lei ormai non era più sua figlia, e Custódia soffriva ancora di più, spaventata dall'odio e da un cattivo presagio. - Dai, almeno ci sono sempre persone disposte a fare la carità! - Che carità? Ho tirato su i miei figli senza l'aiuto di nessuno. Il sig. Costa si offese molto quando venne a sapere di questa risposta, ma neanche in quell'occasione pensò di restituirle Gló, perché dei genitori aveva solo la carne e le ossa con le quali era venuta al mondo. E anche questo era da vedere. La misero anche in collegio, ma dopo un mese l'andarono a riprendere tutti eccitati, consumati dalla saudade, e quella stessa notte il sig. Costa, la moglie e la figlia, esultarono di gioia quando sentirono nuovamente, sulla guancia, il bacio della buonanotte della piccola: - Buona notte paparino . Buona notte mammina. Quando Mina, a ventitre anni, ebbe il suo quinto fidanzato, D. Elisa fece una scenata violenta, perché non le piaceva il ragazzo, e Gló si trovò tra due fuochi.
Mina si era fatta prendere completamente dagli occhi e dai discorsi di un fattorino ma D. Elisa non ne voleva sapere né degli occhi né dei discorsi, non facendo altro che insistere con accanimento sul fatto che guadagnasse solo la miseria di 800 scudi al mese. Frugando più volte tra la biancheria intima di Mina, la madre lesse tutte le lettere che le capitarono tra le mani e da un certo punto in poi, decise di insultarla fino ad obbligarla a piangere. Gló portava le lettere di nascosto, pallida per la paura, fino a che un giorno D. Elisa la scoprì. Ci fu un gran putiferio in tutta la casa, e persino il sig. Costa dovette intervenire personalmente affinché la piccola non fosse rimandata dai genitori. Fortunatamente un mese dopo, quando arrivò al sesto fidanzato, Mina trovò pace con lui e siccome era medico poté sposare col piacere di D. Elisa. Abitavano vicino, si visitavano spesso, e forse perché in tre anni Mina aveva partorito due volte, Glória cominciò ad essere in casa una presenza superflua.
E' vero che la sera si sedeva in salotto col suo tricot, ma d'altra parte toccava a lei lavare i piatti in cucina, e in questa duplicità viveva la sua illusione. Era nel fior fiore dei suoi sedici anni, e ora si rendeva conto di come andavano le cose, tanto che notò che una volta il sig. Costa l'aveva baciata quando le aveva dato la buonanotte - cosa inoltre molto strana, dato che in quelle occasioni il sig. Costa era solito porgere solo la guancia. Era bella col suo cappellino a cencio e il bavero bianco, ma fu solo quando un'estate accompagnò Mina a Figueira che un ragazzo osò parlarle, sicuramente perché la credeva soltanto sua domestica. Perché in città i ragazzi del suo livello non avrebbero osato pensare a lei; e agli altri, quelli che non lo erano, sarebbe piaciuta forse, ma per fini meno dignitosi. Mina s'indignò molto quando sorprese Gló ed il suo ragazzo a parlare vicino alla carrozzina del bambino, fermi, nel piazzale: - E' incredibile, Gló, che tu dia tanta confidenza al primo che passa. - Ma so chi è, tata. E' commesso in un negozio di vestiti alla moda. E' un bravo ragazzo! - Ma che bravo ragazzo? Che ne sai di come son fatti gli uomini! Basta! E l'argomento è chiuso.
Gló si meravigliò di come il matrimonio cambiasse tanto una donna, facendole vedere qualcosa di male dove prima non lo vedeva affatto. Ma ruppe il suo rapporto con il ragazzo, e in quel pomeriggio di domenica il commesso si limitò a fare avant'indietro ma senza mai avvicinarsi all'ombrellone di Mina. Tornarono in città e Gló si sorprese di trovare tutto molto vecchio e malinconico, particolarmente D. Elisa, che passava ormai giornate intere a letto. Soprattutto in quell'inverno cominciò a stare molto male, e il sig. Costa si vide obbligato ad andare alcune volte al cinema accompagnato solo da Gló. L'estate seguente Gló non andò al mare, nell'inverno successivo D. Elisa peggiorò e alla fine di Luglio si decise di imbiancare di nuovo la casa, e il lavoro fu affidato a Silvino, un ragazzo perfetto e con futuro, secondo l'opinione di Mina, di D. Elisa e persino di Gló, quella stessa notte, quando andò a dormire. Gló aveva diciotto anni e una vita incerta davanti, cosicché, o per i diciotto anni o per la vita incerta, lasciò che gli occhi di Silvino indugiassero nei suoi varie volte e per vari giorni.
Così, quando lui le cominciò a parlare dei soldi che aveva messo da parte, Gló si convinse ardentemente che sarebbe diventata una donna. - E quando vuole sposarsi? - Non lo so Silvino. Ancora non ho detto niente ai miei patrigni. D. Elisa fu molto d'accordo: Silvino era un bel ragazzo. Ma il sig. Costa esitò, ammettendo che Gló meritava sicuramente qualcosa di meglio: - Non avere fretta. Aspetta l'occasione giusta. Gló fu quasi sul punto di dare ragione al sig. Costa, non perché pensasse di lasciare Silvino ma perché aveva intuito dalle parole del patrigno che costui aveva intenzione di darle la dote. A D. Elisa non piacque il riserbo del marito, e dichiarò subito che lui sarebbe stato il responsabile dell'infelicità di Gló, se Gló fosse stata infelice. Ma il sig. Costa che era una persona molto calma non si alterò: - Non avere fretta. Né tu né io stiamo per morire. Ma quell'inverno D. Elisa morì. Gló ebbe un daffare enorme, e per due notti non riuscì a dormire per la paura, anche perché Mina, rovistando per tutta la casa, era passata varie volte accanto a lei senza rivolgerle parola. Si capiva che Mina voleva prendere il comando, perché dava ordini come mai aveva fatto prima, autoritaria e feroce. Un giorno il sig. Costa disse a Gló che Mina voleva buttarla fuori di casa ma che lui non l'avrebbe lasciata fare. Disse questo a tavola, a fine cena, trattenendosi un po' più del normale, e Gló capì che quello era il momento giusto per parlare ancora una volta del matrimonio. Ma il sig. Costa, deciso, si oppose nuovamente: - Non l'hai ancora finita? Abbassò gli occhi, visto che era il miglior modo di rispondere senza fatica. Allora il sig. Costa si alzò e andò ad accarezzarla in silenzio, e fu così premuroso che Gló finì per intenerirsi e piangere. - Non ti preoccupare - mormorò lui alla fine. - In casa mia comando ancora io. Una domestica entrò e uscì, scivolando via in un soffio, e in tutto ciò c'era adesso un'aria terribile di mistero. Quella notte il sig. Costa rientrò presto dal Club e trovò Glória ancora in piedi, oppressa dalla paura che ora aveva di dormire da sola, al primo piano, in fondo del corridoio. I giorni passarono, finché una sera, alterata dalla rabbia repressa, Mina disse a Gló cose sgradevoli e inaspettate. Volle sapere perché non si cercava un ragazzo e se non trovava noioso sposare un vecchio vedovo.
Ma questa domanda, sebbene umiliasse Gló fino alla vergogna, in fondo la sorprese piacevolmente. Ah, avrebbe ottenuto la rivincita sul suo passato di povertà, la rivincita della sua gente, la sua piccola vendetta personale su Mina ed i suoi modi da aristocratica. Tuttavia, ormai non sarebbe più stato possibile non sentirsi imbarazzata quando il sig. Costa la fissava a lungo o le affondava lentamente le dita tra i capelli. Le domestiche andavano a dormire presto e Gló, poco dopo, saliva al primo piano e andava a letto anche lei. Ma non riusciva ad addormentarsi, perché l'immagine di D. Elisa non aspettava altro che lei spegnesse la luce e chiudesse gli occhi per terrorizzarla. Per questo, rimaneva quasi sempre sveglia, finché non sentiva chiaramente penetrare nel chiavistello la chiave del sig. Costa. Allora si metteva a seguire i suoi passi lungo il corridoio, a sentirlo aprire e chiudere porte e con quel rumore di vita riusciva alla fine ad addormentarsi. Ma una volta non si rese conto che lui entrò perché nel frattempo si era addormentata. Di modo che, quando si svegliò, il silenzio di tutta la casa la sommerse di paura.
Si mise ad ascoltare lo scricchiolio del legno, i cani nella strada, il cuore che le batteva contro le pareti del petto. Quando un topo inaspettatamente attraversava il solaio, Gló perdeva il respiro. Che ore erano? All'improvviso credette di sentire dei passi nel corridoio. Aspettò. Aspettò ancora. Niente. Di nuovo, però, il pavimento scricchiolò. Gló non volle sentire più niente e si immerse nelle coperte. Ma, poco dopo, la porta si aprí d'un tratto, con un lieve rumore. Gló, per istinto, accese la luce. Allora, stordita, spalancò gli occhi pieni di paura, sconvolta si tappò la sua bocca muta, e aspettò. Lentamente, però, lasciò cadere la mano, gli occhi girarono persi nella stanza e tutta la sua umiliazione si nascose nel cuscino. Le spalle nude tremavano ad ogni singhiozzo. E la chioma pesante cadeva sulla sua amarezza come una notte della fine.

 

(Traduzione a cura di Roberta Chiavistelli, Jessica Maghelli e Beatrice Briglia. Presentazione di António Fournier)



TESTO IN LINGUA ORIGINALE


Quando a mãe, aos sábados, depois de vir da fábrica, partia para a casa do sr. Costa, Glória dependurava-se-lhe, firme, das saias, metia um dedinho na boca e partia também. Ia assim a reboque, multiplicando os passos miúdos, sem que a mãe lhe desse atenção, no seu passo entroncado de folhos revolvidos. Mas logo que de dentro abriam a porta, a sr.ª Custódia voltava-se para a garota e falava duro: - Girou já para casa! Agora aqui sempre este rabo atrás de mim. Então a filha do sr. Costa, a menina Guilhermina, dizia deixe lá a pequena, e começava logo a entreter-se, fazendo muitas perguntas a Glória, que a tudo respondia prontamente e sem corar, com uma exactidão de inocente. Nessa altura, parecia à sr.ª Custódia que poderia sem ofensa sorrir até de vaidade; em todo o caso, por ser coisa evidentemente que ficava sempre bem, atirava ainda de raspão vergastadas à garota: - O traste, hem? Habituou-se a isto, e agora? Mas logo enternecida, olhava a face da filha, um pouco admirada de que a apreciassem tanto - e partia enfim a esfregar a casa desde a cozinha.
Glória vinha então para o centro da sala de estar submeter-se ao habitual interrogatório cerrado que tanto divertia D. Elisa e a filha, sem que ela, no entanto, descobrisse nas suas respostas razão para tanto riso. Outras vezes, uma criada levava previamente a garota, para a escarolar ou sossegar-lhe o estômago, e trazia-a depois para o meio da sala, sem descobrir também grande interesse na pequena, a não ser talvez, como declarava admirada, por ela comer como um homem. Glória ficava muito séria, de olhos baixos, na sua raivazinha àquela má que assim lhe publicava a sua fome e a tratava sempre sem carinho, puxando-a aos repelões. Depressa, todavia, D. Elisa esgotava a curiosidade pela garota, alheando-se no tricot, indo dar ordens às criadas, ou sentando-se ao piano, dispersa na saudade das músicas do seu tempo. Porém, Guilhermina, decerto por gostar muito de crianças, corria-lhe o cabelo ainda de carícia, apertava-lhe a face bochechuda, tendo sempre mais coisas a perguntar: - Que comeste hoje? - Comi batatas e caldo. - E ontem? - Comi batatas e caldo. O Zé namora a Ludes. - Tu viste? Às vezes, D. Elisa tinha de pôr decência naquilo: - Mina, que modos são esses? Mina foi-se interessando vivamente pela pequena; e como os vestidos de riscado destoavam do luxo da casa, começou a comprar sedas à garota. Mas a sr.ª Custódia arrecadava sempre tudo e Glória continuou a aparecer mal arranjada. Até que Mina se impôs, não tendo Custódia outro remédio senão vir da fábrica à pressa todos os dias para enfeitar a pequena antes de a trazer.
Ora um sábado Glória adoeceu e a mãe quis por isso obrigá-la a ficar em casa, o que satisfez por momentos a inveja dos irmãos mais novos, a humilhação dos seus sonhos. Mas a pequena chorou, perdida, e Custódia teve de levá-la ao colo. Saíram-lhe ao encontro muitas perguntas das vizinhas e até mesmo a estranheza da senhora, a quem teve de explicar: - Tão doentinha, como vê, mas não houve forma de ficar em casa. Dessa vez, até o sr. Costa se interessou claramente pela pequena, tomando-lhe o pulso: - Ela está mas é carregada de febre. Custódia, sobressaltada, viu aí uma repreensão e tornou por isso a justificar-se desde o princípio, verificando no olhar de todos se estava a explicar-se bem: - Eu bem queria, mas ela... E fitou-os por fim, de um a um, pedindo compreensão. Então Mina decidiu, por cima da hesitação dos pais, que a pequena ficasse ali numa cama, e o sr. Costa telefonou ao médico. Fulminantemente, raiada de alarme, Custódia sentiu, na dor obscura do sangue, que nunca mais Glória seria sua. Mas ainda assim não teve coragem para sofrer. Porque só perdendo-a Glória ganhava importância, até mesmo para a mãe, como se viu logo nessa noite, quando uma criada a ajudou a lavar a casa. Mina abria-se de ternura para a doente, ao ponto de D. Elisa duvidar do seu juízo, conquanto adorasse também, ela própria, a garota. Punha-lhe o termómetro, verificava pessoalmente o calor da botija, e durante a primeira noite dormiu numa cadeira. Felizmente, a doença de Glória não durou tanto que enfadasse as senhoras. E logo que se ergueu e destravou a língua palreira, ninguém pensou em devolvê-la aos pais, pela razão evidente de ela ter já alguma coisa da família do sr. Costa. Mina fez-lhe vestidos curtos com saias de pregas que lhe mostravam as pernas gordas e os triângulos brancos das calças, ensinou-a a tratar com a louça da mesa, e poucos dias depois nem sequer lhe deixou o nome como estava, encurtando-o para Gló.
Quanto a isto, porém, Custódia entendeu que não havia mal em discordar, e disse que Gló era feio: - Ai menina: Gló! Gló, gló, glu, glu. Como os perus, menina. Gló foi crescendo, e a mãe foi deixando de poder lavar a casa do sr. Costa e tudo o mais foi seguindo o seu rumo. Glória fez o exame de instrução primária, tomou óleo de fígado de bacalhau e banhos de mar, era agora uma criança perfeita. A princípio, a mãe, quando a via passar com a menina ou com a criada, vinha beijá-la, ou vê-la apenas de longe para a não sujar, impondo-se, de qualquer modo, à consideração das vizinhas. Mas as vizinhas, secretamente, foram sentindo também que ela não era já sua filha, e Custódia sofreu mais do que nunca, amedrontada de ódio e mau agoiro. - Ande lá que sempre há caridade. - Que caridade? Os meus filhos todos se têm criado sem a ajuda de ninguém. O sr. Costa ofendeu-se muito quando soube desta resposta, mas nem sequer pensou em devolver Gló, porque Gló só tinha dos pais a carne e os ossos com que viera ao mundo. Se tivesse. Ainda a meteram num colégio; mas, passado um mês, foram-na logo buscar num alvoroço, roídos de saudades, rejubilando nessa noite o sr. Costa, a mulher e a filha, quando sentiram outra vez, na face, o beijo da pequena, antes de se ir deitar: - Boa noite, padrinho. Boa noite, madrinha.
Quando Mina, aos vinte e três anos, teve o seu quinto namoro, D. Elisa fez uma cena violenta, por não gostar do rapaz, e Gló viu-se entre dois fogos. Fora o caso que Mina se apaixonara sem remédio pelas ondas e pelos olhos de um moço, e D. Elisa não havia modos de querer saber nem dos olhos nem das ondas do rapaz, insistindo apenas, ferozmente, em que ele ganhava só a pelintrice de 800$00 na Caixa. Revolvendo várias vezes a roupa branca de Mina, a mãe leu-lhe todas as cartas que pôde haver à mão e de certa altura em diante, resolveu insultá-la até obrigá-la a chorar. Gló levava cartas às escondidas, coada de medo, mas um dia D. Elisa descobriu. Foi uma desordem terrível em toda a casa, tendo até o sr. Costa de intervir pessoalmente para que a pequena não fosse recambiada aos pais.
Felizmente, um mês depois, por alturas do sexto namoro, Mina lá sossegou com um médico, casando ao gosto de D. Elisa. Moravam perto, visitavam-se amiúde, e talvez porque, ao fim de três anos, Mina dera já dois filhos, Gló começou a ser em casa uma presença supérflua. Vinha, é certo, à noite, tricotar para a sala, mas ia também para a cozinha lavara louça, e nesta duplicidade lá ia enganando a sorte. Tinha agora dezasseis anos plenos, e de tal modo reparava já na vida que uma vez notou que o sr. Costa a beijara ao darem as boas-noites - coisa alías bem estranha, pois em tal caso o sr. Costa costumava apresentar sempre e só a face. Era bonita no chapelinho desabado e gola branca, mas só quando um verão acompanhou Mina à Figueira um rapaz se atreveu a falar-lhe, decerto por julgá-la apenas sua criada. Porque na vila os rapazes da sua igualha não se atreviam a pensar nela; e os outros, os que não eram, gostariam dela, talvez, mas para fins menos decentes.
Mina indignou-se muito quando surpreendeu Gló e o namorado a conversarem sobre o carrinho das crianças, parados, na esplanada: - Parece incrível, Gló, dares assim atenção ao primeiro que aparece. - Mas eu sei quem ele é, madrinha. É caixeiro numa loja de modas. E tão bom rapaz! - Que bom rapaz? Sabes lá o que são os homens. E acabou. Não quero mais conversas. Gló admirou-se de que o casamento mudasse tanto uma mulher, fazendo-a ver um mal onde antigamente não via nada disso. Mas rompeu com o namoro, e nessa tarde de domingo o caixeiro limitou-se a passar umas cinco vezes ao largo do toldo de Mina. Volataram à vila e Gló surpreendeu-se a achar tudo muito velho e tristonho, principalmente D. Elisa, que passava já dias na cama. Sobretudo nesse inverno veio ela a estar bem mal, tendo-se visto o sr. Costa obrigado a ir algumas vezes ao cinema acompanhado apenas de Gló. No verão seguinte, Gló não foi à praia, no outro inverno D. Elisa piorou, e no fim de Julho resolveu-se caiar de novo a casa, tendo a obra sido entregue ao Silvino, que era um rapaz perfeito e de futuro, segundo a opinião de Mina, de D. Elisa e até mesmo de Gló, nessa noite, ao deitar.
Gló tinha dezoito anos e uma vida incerta diante; de modo que, ou fosse pelos dezoito anos ou fosse pela vida incerta, deixou que os olhos de Silvino se demorassem nos seus várias vezes em vários dias. E quando ele lhe começou a falar no dinheiro que tinha na Caixa, Gló acreditou ardentemente que iria ser mulher. - E para quando quer o casamento? - Não sei, Silvino. Ainda não disse nada aos meus padrinhos. D. Elisa achou muito bem - o Silvino era um belo moço. Mas o sr. Costa hesitou, admitindo que Gló merecia decerto outra coisa: - Nada de precipitações. Espera a tua vez. Gló esteve a ponto de concordar provisoriamente com o sr. Costa, não porque pensasse em deixar o Silvino mas porque vira inexplicavelmente nas palavras do padrinho um sinal de que ele tencionava dotá-la. D. Elisa não gostou da reserva do marido, e declarou logo ali que ele seria o responsável pela infelicidade de Gló, se Gló fosse infeliz. Porém, o sr. Costa, que era muito calmo, não se alterou. - Nada de precipitações. Nem tu nem eu vamos morrer já. Mas nesse inverno, D. Elisa morreu. Gló teve um trabalho enorme, e durante duas noites não pôde dormir com medo, e ainda porque Mina, revistando a casa toda, passara por ela várias vezes sem lhe dar palavra. Percebia-se que Mina vinha tomar posse do mando, porque dava ordens como nunca fizera, imperiosa e feroz.
Um dia o sr. Costa disse a Gló que Mina queria pô-la fora de casa mas que ele não deixara. Disse isto à mesa, no fim do jantar, demorando-se um pouco mais do que o costume, e Gló entendeu que o melhor seria falar outra vez no casamento. Mas o sr. Costa, decisivo, opôs-se também outra vez: - Pois não acabaste ainda? Ela baixou os olhos, que era a melhor forma de responder sem custo. Então o sr. Costa levantou-se e veio afagá-la em silêncio, e tão solícito que Gló acabou por se enternecer e chorar. - Não te aflijas - murmurou ele enfim. - Em minha casa ainda mando eu. Uma criada entrou e saiu, deslizando num sopro, e em tudo havia agora um ar terrível de mistério. Nessa noite, o sr. Costa veio cedo do Clube e encontrou Glória ainda a pé, esmagada pelo medo que agora tinha de dormir só, no primeiro andar, ao extremo do corredor. Os dias foram passando, até que uma tarde, alterada de cólera reprimida, Mina disse a Gló coisas desagradáveis e imprevistas. Quis saber porque não arranjava um rapaz e se não achava fastidiento casar com um velho viúvo. Mas esta pergunta, embora magoasse Gló até ao vexame, não deixava de surpreendê-la agradavelmente.
Ah, tinha ali afinal a desforra da miséria velha, a desforra da sua gente, a vingançazinha própria sobre Mina e toda a sua fidalguia.No entanto, já não seria agora possível deixar de sentir-se embaraçada quando o sr. Costa a fitasse demoradamente ou lhe enterrasse devagar os dedos no cabelo. As criadas deitavam-se cedo, e Gló, pouco depois, subia ao primeiro andar e deitava-se também. Mas custava-lhe dormir, porque a imagem de D. Elisa estava só à espera que ela apagasse a luz e fechasse os olhos para vir cobri-la de terror. Ficava assim, por isso, quase sempre acordada, até que ouvia nitidamente penetrar no ferrolho a chave do sr. Costa. Punha-se então a segui-lo pelo corredor, a ouvi-lo abrir e fechar portas e com esse rumor de vida conseguia dormir por fim. Mas uma vez não deu conta de ele entrar, porque dormira entretanto.
De modo que, ao acordar, o silêncio de toda a casa submergiu-a de medo. Pôs-se a ouvir os estalidos da madeira, os cães da rua, o coração a embater-lhe contra as paredes do peito. Quando um rato rolava inesperadamente no forro, Gló perdia a respiração. Que horas seriam? Súbito, julgou ouvir passos no corredor. Esperou. Esperou ainda. Nada. Novamente, porém, o soalho rangeu. Gló não quis ouvir mais e mergulhou nos cobertores. Mas, pouco depois, a porta abria-se rapidamente, num ruído breve. Gló, por instinto, apertou o botão da luz. Então, aturdida, encarou uns olhos medonhos, tapou aflita a sua boca muda, e esperou. Lentamente, porém, a mão foi tombando, os olhos rolaram desamparados pelo quarto, toda a sua humilhação se escondeu no travesseiro. Os ombros nus estremeciam a cada golpe de choro. E a cabeleira pesada descia-lhe pela amargura como uma noite do fim.


(In Vergílio Ferreira, contos (6ª ed.), Bertrand Editora, Venda Nova, 1995)



Vergílio Ferreira (1916-1996):"Una malinconia grave come l'orizzonte lontano".
A giudicare dalle sue fotografie pubbliche che lo ritraggono serio, con le occhiaie e dall'aria grigia e sofferente, non si direbbe che Vergílio Ferreira potesse avere il senso dell'humor. Educato in un seminario austero, freddo e umido della Beira Baixa, come si può vedere nel film "Manhã submersa" (candidato all'Oscar nel 1980 come miglior film straniero), vi é, di fatto, in lui un chiaro atteggiamento riflessivo segnato dalla forte umanità e da una serietà granitica, caratteristica comune, d'altronde, ad altri scrittori della sua generazione e provenienti della stessa area geografica, l'interno del Portogallo, profondo, povero, retrogrado e provinciale, di cui essi si fanno portavoce, conferendogli dignità. Si pensi ad esempio a Miguel Torga.
E tuttavia in questo stesso film, adattamento del libro omonimo e autobiografico, il ruolo del rettore severo che personifica il sistema educativo basato sulla nozione di dovere e rispetto per il potere religioso o un altro qualsiasi, fortemente repressivo e dittatoriale del Portogallo salazarista, fu recitato proprio da lui, Vergílio Ferreira in persona. Questo é humor. Humor é accettare che lui, uno scrittore con più di 30 anni sulle spalle, sia riconosciuto per strada come un qualsiase calciatore, per il ruolo secondario in questo film, e non per la sua lunga carriera, come confesserà divertito nel suo Diario. Ed è anche auto-ironia accettare, paradossalmente in un tempo ormai di democrazia, che la figura per la quale lui viene riconosciuto, sia la personificazione di quel sistema di valori a cui lui così negativamente alludeva nel romanzo: l'esperienza nel seminario come tempo di prigionia che insegnava la separazione del mondo, metafora anche dell'isolamento del Portogallo stesso.
Questo scrittore dall'attività febbrile e intensa, particolarmente propenso alla meditazione, che suonava il violino come hobby durante le pause nella reflessione, proprio come Sherlock Holmes cercando anche lui la risposta per un mistero, il più grande degli interrogativi: il tempo e la morte. Dal 1938, anno del suo primo esperimento letterario fino al 1996, quando scriveva il romanzo Uma flor (Un fiore) rimasto tuttora inedito, Vergílio Ferreira ha accompagnato la sua produzione letteraria da un diario, vero e proprio zibaldone, segnato da un pensiero filosofante che si potrebbe definire leopardiano, pieno di riflessioni su i più vari argomenti e che la critica filologica si è incaricata di pubblicare in vari volumi (in questo momento ce ne sono 10) sotto il nome di Conta corrente.
Sono pagine e pagine piene zeppe di caratteri piccolissimi scritte ad inchiostro permanente, quasi sempre illegibili. Vergílio Ferreira non ha mai utilizzato la macchina da scrivere o il computer per redigere i suoi romanzi ed i suoi saggi. Curiosamente non ci sono quasi mai delle parole cancellate, semmai esitazioni nei titoli come per il bellissimo Manhã submersa (Mattino sommerso), forse il suo libro più conosciuto, che inizialmente doveva chiamarsi Fúria nocturna (Furia notturna) ou Cavalo Degolado (Cavallo sgozzato). Ha pubblicato tantissimo, tra romanzi, racconti (riuniti nel 1979 sotto il titolo generico di Contos, da cui "Gló"), novelle, saggi (raccolti sotto il titolo di Espaço do Invisível) e ha anche scritto poesie che però non ha mai voluto pubblicare. Ha tradotto Sartre, Malraux e scritto su Camus e Saint-Exupery, essendo stato molto influenzato dalla cultura francese e in particolare dall'esistenzialismo.
Si è laureato a Coimbra nel 1940 in Filologia Classica, ed è stato professore di liceo dal 1942 al 1981, percorrendo tutto il Portogallo, da Bragança (Trás-os-montes) a Faro (Algarve), non dimenticando la sua importante esperienza lunga 14 anni a Évora che tra l'altro ha influenzato il romanzo Aparição (Apparizione). Già nel suo primo romanzo (O caminho fica mais longe) pubblicato nel 1943 si possono trovare tutti gli elementi della tematica che privilegierà lungo la sua intensa e longeva vita letteraria: il silenzio della creazione e la natura assoluta della morte. Confesserà un giorno che è stato attratto dalla letteratura per la lettura de Il cugino Basilio di Eça de Queirós e dagli scrittori brasiliani: Jorge Amado con Capitães da Areia e Erico Veríssimo con Um lugar ao sol.
Vergílio Ferreira percorrerà una strada originale nella letteratura portoghese, al punto di essere considerato il più eterodosso degli scrittori suoi contemporanei e una voce autorevole ma allo stesso tempo scomoda nell'ambito della cultura portoghese. Questo scrittore-filosofo, spesso indicato come possibile candidato al Nobel della letteratura, è stato spesso criticato dai colleghi filo neo-realisti per il suo atteggiamento introspettivo e il suo disinteresse per la situazione sociale contingente in Portogallo. E tuttavia, guardando i suoi manoscritti, si capisce che è stato uno degli scrittori portoghesi più colpiti dalla censura salazarista.
Il suo universo letterario nel quale la temporalità svolge il ruolo del personaggio principale che l'autore dialogicamente interroga, può grossomodo essere definito come un percorso che parte da una matrice neo-realista fino ad arrivare ad una tematica esistenzialista sui generis segnata anche dalla influenza di Sant' Agostino, Dostoievsky, Jaspers e Heidegger. Si possono così considerare due momenti importanti nella sua produzione: il suo quarto romanzo intitolato significativamente Mudança (Cambiamento) segna la svolta nel suo orientamento, rompendo con la tematica neo-realista che divideva in modo troppo manicheista i personaggi, classificati in buoni e cattivi, e segna l'introduzione in Portogallo del romanzo esistenzialista (1949). D'ora in poi svilluperà la strada della introspezione filosofica che conduce a un senso di inquietudine e disagio tra l'estetica e la morale, il dilemma tra la presenza e assenza della divinità, in una continua ricerca di una risposta soddisfaciente per l'esistenza. A partire da Alegria Breve (1965) si nota un progressivo cambiamento dai toni grigi e malinconici agli spazi aperti e solari come la spiaggia, segno di una più tranquilla consapevolezza del concetto di Ordine universale.
Malgrado sia stato tradotto nelle principali lingue di cultura (spagnolo, francese, russo, greco, tedesco e polacco), la prima traduzione italiana (una selezione dei suoi racconti) è solo del 1998 (Addio e altri racconti, Besa Editrice, Lecce, traduzione a cura di Agnese Purgatorio). Il racconto Gló (inedito in lingua italiana) è particolarmente interessante anche perché può essere esemplificativo del modo originale in cui Vergílio Ferreira riesce, con l'ambiguità che caratterizza il suo universo finzionale, a superare una caratterizzazione dei personaggi troppo rigida e stereotipata come ci sarebbe d'aspettarsi da una atmosfera e una tematica chiaramente d'ispirazione neo-realista.

António Fournier

(traduzione della Presentazione a cura di Paola Pallini)


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