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  LA MEMORIA CRIVELLATA   
 Heleno Oliveira
 
 
 
 Tropicalissima 
                vegetazione dei della Robbiache circonda il candore delle Madonne
 luminoso splendore mediterraneo
 porta liquida di nostalgia
 disegno di verde foresta.
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 AFRICA
 Ah 
                se potessi starmenezitto zitto nel seno dell'Africa
 Ah, se io potessi
 camminare nelle savane
 penetrare le foreste
 scalare le montagne
 sentire il vento dei suoi deserti
 Ah 
                se io potessiinoltrarmi nelle sue notti
 e rinascere ancor più nero
 nero del nero della nera nerissima
 giacché il figlio viene dalla Madre
 nonostante il seme del Padre
  Ah 
                madre Africati vedo bambina
 rubata dal bianco Padre
 senza affetto né premure
 in quel mezzogiorno della tua storia
 che popolò tutti i Popoli
 tinse di nero il Mondo
 per lo sfruttamento della tua schiavitù
 docile e silenziosa
 sotto le fruste e le ferite
 prolungate nei secoli
 e il Terrore
 dei negrieri nel tempo
 in cui solo il Mare conobbe le grida
 senza eco dei soffocati dalle agonie
 del nuovo enorme cimitero
 denudato di divinità e di stelle
 mentre, 
                lì, per TeFirenze fioriva e partoriva il fiorino
 Portogallo e Spagna, con le benedizioni del Papa
 dividevano il mondo in duelli d'amore
 conquistavano Indie con croci e spade
 che lasciavano la storia muta
 il più cruento e implacabile metodo
 di evangelizzazione
 la cristianissima impresa
 del traffico negriero
 che solo l'abbandono del Verbo fatto Carne
 ha potuto riscattare e consolare
 Ahi, 
                Africa (e il figlio scivola dal ventre anche seil Padre irriga il corpo di rose sangue latte)
 vivo e sono i tuoi dolori
 la tua rassegnata mansuetudine
 il tuo tam tam venduto a suon di dollari
 dai Signori che ti hanno resa merce
 avallata al lume del dogma
 usarono e abusarono delle case padronali e catapecchie
 concepirono l'architettura delle favelas
 fosti 
                la corona di spine che contorna le cittàla meta delle armi confezionate su misura
 imparasti dal Bianco la vertigine
 dello strano insipido dio chiamato Consumo
 nella tua diaspora e nel tuo stesso seno
 la memoria crivellata quasi estinta
 da me dal tuo Brasile strapparono le foglie
 della vergogna per non piangere enumerare
 morti malattie e lacrime
 soltanto 
                la tua intelligenza miticaha resistito e ti ha salvata nascosta
 nei tombini angoli e terreiros
 non hai voluto nazzareni dai capelli biondi
 conoscevi la Trinità oltre a Hegel Marx e compagnia
 attendi ancora tra le doglie
 che venga il Santo Spirito
 inutile 
                dire che il suono dei tamburi è spazio del Nemicoè un grido ai Tre perché venga il Regno
 senza potenza esercito signori e schiavi
 povero come Dio solo come Dio vicino come Dio
 nero come Dio
  
                Oggi voglio danzarecome danzavi prima del Bianco
 senza paura di essere sensuale
 e lascivo come pensano i Bianchi
 senza temere di usare il corpo
 nel ritmo nel rito nella melodia
 che non ti dicono niente, Bianco,
 dicono albero foglia vento sabbia
 vedo volare nel mio gesto
 leopardi falchi elefanti
 aironi uccellini
 questo è la danza
 Non contorsioni per scongiurare i momenti
 di tedio
 è una benedizione per salutarlo
 non prigione quotidiana in discoteche d'acciaio
 è ascolto amoroso dei miti
 di un tempo che nasce in me
 diversamente muoio nella valle delle anime smarrite
 la danza è festa
 è il mio dialogo con te, madre amabile e nerissima
 che ama secondo i riti della tribù
 che pettina con grazia il capello crespo delle figlie
 che lavora nel campo e parla con il suo dio
 di tutto senza distanza e stranamente
 
 il tuo silenzio mi interroga
 non posso tacere è mio e mi fa male
 madre Africa contemplo la puttana da due soldi
 povera nera povero fiore nero senza INPS
 giustizia e estetica della fame
 il padrone bianco soddisfatto ti macchia
 procrea nel tuo corpo serpenti
 non 
                vedo più lo stesso colorela danza la risata la santa sensualità
 ecco gli uomini della terra del Sud
 incappucciati gridano negro è sporco negro è sporco
 ALLONTANATEVI
 e 
                tu raccogli e metti insieme gli stracci dell'animain ballate blues e samba
 nelle ninnananne dei bambini dell'America
 cancella dolcemente la melanconia
 della razza bianca che canta il jazz
 senza dire Africa
 non 
                cancella la mansuetudineeccessiva che attende molleggiando come se ancora fosse il tempo 
                della libertà
 quando il Nero ordinava il caos
 e lasciava che il bianco illuminasse
 senza odio e amore colonizzati
 chissà 
                certi giorni invocastigli dèi ammutoliti della guerra
 per mezzo secolo Palmares è stato un segno
 duro come Zumbi mio padre mio re mio fratello
 Luanda rinacque con la stessa festa
 una volta ancora il tuo sangue inquinato
 ti ha venduta ai Lusitani, madre,
 la testa di Zumbi in una piazza di Recife era la tua
 le tue nozze con la libertà
 sono solo una data nel calendario
 i 
                tuoi figli subiscono altra schiavitùlo stipendio meno che minimo
 la tentazione di diventare bianco
 la parola black esportazione abusata
 il nero è sempre sinonimo di bruttura
 la resistenza che nessuno vide
 eccomi 
                a ripetere il colore dei neri è stato tolleratoil tuo olimpo cristianizzato a forza
 il tuo Brasile non ti voleva e ti liberò
 con la morte di seimila neri nella guerra del Paraguay
 e oggi nelle cucine e bordelli, madre.
 lascia 
                che sorridanolascia che invidino mulatte oba oba
 e sfilate della scuola di samba
 lascia che ballino come manici di scopa il reggae e Bob Marley
 e si sentano eruditi con il pianto del tuo jazz
 e prendano i tuoi tesori come presero gli schiavi
 lascia che ti chiamino nerina neretta
 con affettuosa falsità
 vedrai la tua saggezza la tua pazienza
 che tutto sopporta
 persino i detti però è un nero con l'anima bianca
 vedrai i due grandi e i loro satelliti
 le mani ricolme di domande e domandarti la Parola
 che abbandonarono
 attenderai densa e eterna come il Congo
 alta e serena come il Kilimanjaro
 povera e affamata come i tuoi figli e figlie
 desolata come la cultura che ti ha annichilita
 nostalgica della pace del clan del tam tam
 vedrai in una magica e cosmica preghiera
 il Nero che viene lanciato sulla scena del mondo
  brillante
 diamante
 uscito da Trinidade senza colore
 senza nessun colore
 tutta nera che ti rivela
 attraverso i lampi
 la danza i gesti i miti
 ti illumina e racconta la tua saga
 il tuo destino arcano
 quasi simile al Verbo
 che tutto innerato
 dal calore e dal sole di Trinidade
 ti bacia con il bacio della sua bocca
 bacia figlie e figli
 oppressi dimenticati
 copre l'infelicità d'amore
 interrompe il singhiozzo della terra
 saravá
 _________________________________________________ Portami dall'Oriente un indumento caldo,
 un profumo raro e caro per il corpo,
 una doppia dose d'oppio per la notte,
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Portami 
                le ombre e gli squarciche ho scritto nel buio dei quaderni
 come un Orfeo oscuro ed impaurito
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Portami 
                Maddalene senza Cristoe tutte le perdute senza rimedio,
 quelle che cantano fuori dalle mura
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Portami 
                tutte le blasfemiedette per far effetto e gli scongiuri,
 sospiri ed urla dell'amore infuriato,
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Portami 
                i satelliti caduti in maree i poveri caduti nella strada
 del mio tempo ricco di disastri
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Portami 
                la retorica del divino,le varie fantasie dei profeti
 tutte le parole senza peso e storia
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 E 
                se non basta, portami il silenziodi quelli che non parlano, rauchi di timore
 quelli che mai baciarono la Parola
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 E 
                se dopo aver cercato eroinon venisse nessuno, portami le ragazze di Ipanema,
 i bimbi magri di Brejo da Cruz,
 che voglio festeggiare la mia pasqua.
 Se 
                la mia morte splenderà dal vivopotrò vedere gli angeli nell'azzurro
 fra saette e raggi verso il sole
 quando passerà la mia pasqua?
 E 
                quando andrò sarò uno o tutticome la poesia quasi ha rivelato,
 potrò sapere di me e dell'universo
 quando passerà la mia pasqua?
 Se 
                non saprò cosa accadrà,un altro soffio racconterà
 chi è uno e trino e uno
 quando passerà la pasqua?
 _________________________________________________
 Il Portogallo è sparso nel mio corpo
 Lisbona e i suoi pezzetti di Bahia Olinda e Alcantara
 di paesini sperduti e campi e spiagge del Brasile.
 Descriverti 
                non è facile. La 
                tua lingua di pietrala greca lucentezza di Sophia
 la gente che vive di poco pane e luna
 il porto immenso
 i tuoi grandi piccoli tiranni
 la tua poca terra
 la tua abbondanza di anima.
 _________________________________________________
 Lisbona sotto la pioggia.
 Diversa è l'anima. Io mi trovo qui.
 Vengo da lontano con sete e deserto.
 Cammino per ore per vedere il vero.
 È 
                quando il silenzio pesae São Domingos conosce la sventura.
 Muoiono i rumori e le navi tornano.
 Lisbona 
                è voce e occhi buoniQuando non v'è luogo al mondo
 come le sere al Terreiro do Paço.
 Né lingua più lirica e azzurra
 _________________________________________________
 Viene da dentro.
 In silenzio, levità,
 vaghezza, punta di coltello.
 Viene dal centro
 dalla piazza senza tempo.
 Per millenni nulla vidi perché urlavo.
 Il canto vuole il deserto.
 _________________________________________________
 Signore la tua incertezza vale di più
 Di tutte le muse sfrenate nel fiume
 _________________________________________________
 Resti di ricordi
 nelle cose e sabbie del villaggio.
 Tutto del mio vecchio sguardo si accende.
 Santa Clara che passa sul baldacchino
 che quasi non vedo
 e 
                non rivedo nessun 
                bimbo alatonella processione.
 Vedere 
                e non vedere è cosìcome bere un bicchiere d'acqua
 dopo la sete del sertão
 tra la luce di là
 perpendicolare al suolo
 e 
                quella di Lisbona che volaleggera e pura come l'acqua
 dalla riva all'infinito
  sapere 
                della LusitaniaGeografia e Quinto Impero
 veduto e morto
 per poter vivere.
 Venite a me Indie
 dice Vieira da un altro porto
 che vi incanterò.
 E la saga vive in ognuno
 che sa la mescolanza
 di spada luna e croce
 e non dimentica
 il grido senza luce.
 
 
 
 (Traduzioni 
                di Andrea Sirotti, insieme all'autore, eccetto "Africa", 
                tradotta da Cristiana Sassetti) 
 TESTI IN LINGUA ORIGINALE
 
 
 Tropicalíssima 
                vegetação dos della RobbiaArrodeando a brancura das Madonas
 Mediterrânea claridade
 Porta líquida de saudade
 Desehnho da mata verde
 _________________________________________________ ÁFRICA Ah 
                se eu estivesse guardado e calado na África
 Ah se eu pudesse
 caminhar suas savanas
 penetrar suas florestas
 subir as montanhas
 sentir o vento dos seus desertos
 Ah se eu pudesse
 cair bem fundo nas suas noites
 e renascer ainda mais negro
 negro do negro da negra negríssima
 pois o filho vem da Mãe
 mesmo com as sementes do Pai
 Ah mãe Africa
 vejo-te menina
 roubada pelo branco Pai
 sem ternura e cuidado
 naquele meio dia da tua história
 que povoou todos os povos
 tingiu de negro o Mundo
 pela exploração da tua escravidao
 docil e silenciosa
 sob açoites e feridas
 prolongadas nos séculos
 e o Terror
 dos negreiros no tempo
 em que só o Mar soube dos gritos
 sem eco dos sufocos das agonias
 do novo enorme cemitério
 desnudado de deuses e estrelas
 enquanto, ai, por Ti
 Florença florescia e paria o florim
 Portugal e Espanha, com as bençãos do Papa
 Repartiam o mundo em duelo de amor
 Conquistavam Índias na cruz e na espada
 Deixando à história muda
 O mais cruento e implacável método
 De evangelização
 A cristianissima empresa
 Do tráfego dos Negros
 Que só o abandono do Verbo feito Carne
 Pode limpiar e consolar
 Ai, África (e o filho jorra do ventre mesmo se
 O Pai irriga o corpo de rosa sangue leite)
 Vivo e sou tuas dores
 Tua resignada mansidão
 Teu tam tam vendido em dólares
 Pelos Senhores que te fizeram mercadoria
 Avalizada no lume no dogma
 Usaram abusaram da casa grande e senzala
 Engendraram a arquitectura das favelas
 Foste a coroa de espinhos que rodeia as cidades
 A meta das armas feitas sob medida
 Aprendeste do Branco a vertigem
 Do estranho insosso deus chamado Consumo
 Na tua diaspora e mesmo em teu seio
 A memória estraçalhada quase extinta
 De mim do teu Brasil rasgaram as folhas
 Da vergonha pra não chorar enumerar
 Mortos doenças e lágrimas
 Somente a tua inteligência mitica
 Resistiu e te salvou escondida
 Nas sarjetas esquinas e terreiros
 Não quiseste nazarenos de cabelos loiros
 Sabias a Trinidade além de Hegel Marx e cia
 Ainda esperas em dores de parto
 Que baixe o Santo Espírito
 Inutil dizer que teu batuque é espaço do Inimigo
 é um grito aos Tres para que o Reino venha
 Sem potência exército senhores e escravos
 Pobre como Deus só como deus junto como Deus
 Negro como Deus
 Hoje eu quero dançar
 Como dançavas antes do Branco
 Sem medo de ser sensual
 E lascivo como pensam os Brancos
 Sem receio de usar o corpo
 No ritmo no rito na melodia
 Que dizem pouco do que pensas, Branco,
 dizem árvore folha vento areia
 vejo voar no meu gesto
 leopardos gaviões elefantes
 garças passarinhos
 a dança è isto
 Nao contorções para esconjurar o tempo
 Do tédio
 È bênção para saudá-lo
 Não é prisão cotidiana em discotecas de aço
 é escuta amorosa dos mitos
 De um tempo que nasce em mim
 senão eu morro no vale da busca da alma
 A dança é festa
 é o meu diálogo contigo, mae amável e
 negerrima
 Que ama conforme os ritos da tribo
 Que penteia com graça o pixaim das
 filhas
 Que trabalha o campo e fala com o deus
 Em tudo sem distância e estranhamente
 Teu silêncio me interroga
 Nao posso calar é meu e me faz mal
 Mãe África contemplo a puta de dois vinténs
 Pobre negra pobre flor negra sem INPS
 Justiça e estética da fome
 O dono branco satisfeito deixa nódoas
 Procria no teu corpo serpentes
 Nem vejo mais a mesma cor
 A dança a risada a santa sensualidade
 Eis os homens da terra do Sul
 Encapuçados gritam negro é sujo negro é sujo
 AFASTAI-VOS
 E tu recolhes e juntas os trapos d'alma
 Em cantos blues e samba
 Nas canções de ninar das crianças da América
 Cancelas docemente a melancolia
 Da raça branca que canta em jazz
 Sem dizer África
 Nao apagas a mansidão
 Demasiada a esperar gingando
 Como se ainda fosse o tempo da liberdade
 quando o Negro ordenava o caos
 e deixava o branco raiar
 sem ódio e amor colonizados
 quem sabe em certos dias invocaste
 os deuses emudecidos da guerra
 por meio século Palmares foi um signo
 duro como Zumbi meu pai meu rei meu irmão
 Luanda renasceu com a mesma festa
 uma vez mais teu próprio sangue poluído
 vendeu-te aos Lusitanos, madre,
 a cabeça de Zumbi numa praça de Recife era a tua
 as tuas núpcias com a liberdade
 são apenas uma data no calendário cívico
 teus filhos têm outra escravidão
 a do salário mais que mínimo
 a tentação de virar branco
 a palavra black exportação consumada
 o negro é sempre sinônimo de feiura
 a resistência que ninguém viu
 eis-me a repetir a cor dos negros foi suportada
 o teu olimpo cristianizado à força
 o teu Brasil não te queria e te libertou
 na morte de seis mil negros na guerra do Paraguay
 e hoje nas cozinhas e bordéis, madre.
 Deixa que sorriam
 deixa que invejem mulatas oba oba
 e desfiles de escola de samba
 deixa que dancem como vassouras o reggae e Bob Marley
 e se sintam eruditos com o pranto do teu jazz
 e levem minérios como levaram escravos
 deixa que te chamem nega neguinha
 com carinhosa falsidade
 hás de ver a tua sabedoria a tua paciência
 que tudo cobre
 até os ditos mas é um negro de alma branca
 hás de ver os dois grandes e seus satéliles
 as maos repletas de perguntas e perguntar-te a Palavra
 que abandonaram
 hás de esperar densa e eterna como o Congo
 alta e serena como Kilimanjaro
 _________________________________________________
 Tragam-me do Oriente un traje muito quente,
 um perfume raro e caro para o corpo,
 dose dupla de ópio para a noite,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Tragam-me 
                as brechas e as réstiasque no breu dos cadernos escreví
 qual um Orfeu escuro amedrontado,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Tragam-me 
                Madalenas sem Jesuse rodas as perdidas sem remédio,
 as que cantam fora das muralhas,
 eu quero festejar a minha pascoa.
 Tragam-me 
                todas as blasfêmiasditas por prazer e os esconjuros,
 ais e gritos do amor enfurecido,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Tragam-me 
                os satélites caídos no marassim como os pobres caídos nas ruas
 do meu tempo rico de destroços,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Tragam-me 
                a retórica do divino,as várias fantasias dos profetas,
 toda palavra sem eira nem beira,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Se 
                não bastar tragam-me o silênciodos que não falam roucos de temor,
 os que nunca beijaram a Palavra,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 E 
                se depois de interpelar heróisninguém vier, tragam-me brotos de Ipanema,
 os putos magros do Brejo da Cruz,
 eu quero festejar a minha páscoa.
 Se 
                brilhar ao vivo a minha mortehei-de ver os anjos no azul
 entre setas e raios rumo ao Sol
 quando passar a minha páscoa?
 E 
                ao singrar serei um ou todoscomo a poesia quase soletrou,
 hei-de saber de mim e do universo
 quando passar minha páscoa?
 Se 
                não souber o que será,um outro sopro há-de contar
 quem é uno e trino e uno
 quando passar a páscoa?
 _________________________________________________
 Portugal derrama-se no meu corpo.
 Lisboa seus pedaços de Bahia de Olinda e Alcântara
 Dos lugarejos perdidos. Várzeas e barras do Brasil.
 Escrever-te 
                não é facil. A 
                tua língua de pedra.A luminosidade grega de Sophia.
 O povo que vive de pouco pão e luar.
 O 
                cais imenso. Teus grandes pequenos tiranos.
 Tua terra pouca.
 Tua abundância de alma.
 _________________________________________________
 Lisboa sob a chuva.
 A alma é outra. Aqui me encontro eu.
 Venho de longe com sede e deserto.
 Caminho horas para ver o real.
 É 
                quando o silêncio pesa.São Domingos sabe a desventura.
 Morrem os ruídos, retornam as Naus.
 Lisboa 
                é voz e olhos mansos.Quando não há lugar no mundo
 Como as tardes do Terreiro do Paço.
 Nem língua mais lírica e azul.
 _________________________________________________
 Vem de dentro.
 Em silêncio, leveza,
 vagueza, ponta de faca.
 Vem do centro.
 Da praça sem tempo.
 Milênios nao vi porque gritei.
 O canto precisa do deserto.
 _________________________________________________
 Senhor tua incerteza vale mais
 Que as musas soltas no rio
 _________________________________________________
 Restos de olvido
 Nas rodilhas e areias da vila.
 Tudo do neu antigo olhar se acende.
 Santa Clara no andor a passear
 Quase não vejo
 E não revejo
 Nenhum menino alado
 Pela procissão.
 Ver e não ver é assim
 Como beber um copo d'água
 Após a sede do sertão
 Entre a luz de lá
 Perpendicular ao chão
 E a de Lisboa em vôo
 Lisa e pura como água
 Da orla ao infinito
 Saber da Lusitânia,
 Geografia e Quinto Império,
 Visto e morto
 Pra viver.
 Vinde a mim ó Indias
 Diz Vieira doutro cais
 Que eu vos encantarei.
 E a saga vive an cada um de nós
 Que sabe a mistura
 De sabre lua e cruz
 E nunca esquece
 O grito sem luz.
   
 
 
  Heleno Oliveira nasce in Brasile nel 1941, a Santa Clara, un paese 
              nell'entroterra di Olinda, nello stato del Pernambuco. Il padre 
              di Heleno, Clarindo Tenorio, uomo di fiducia dei latifondisti del 
              posto, occupa nella memoria dei figli l'immagine di una specie di 
              bandito che appare il fine settimana dall'alto del suo cavallo con 
              tanto di revolver alla cintura e speroni ai piedi. Laura, la madre 
              nera, proveniva invece da una famiglia ricca e colta. E' già tracciato 
              il disegno di una tensione drammatica che costituisce l'anima stessa 
              di Heleno e che troverà voce in "Clarindo, Clarindo", un poema - 
              fiume dedicato al padre, il primo che è stato pubblicato, nel 1994 
              dall'università di Belem. A 16 anni Heleno è un giovane sensibilissimo 
              e precocemente dedito a moltissime letture. Non frequenta la scuola 
              pubblica ma piuttosto i matineè dei cinema di Recife, adorando i 
              grandi film Holliwoodiani, il neorealismo e la nouvelle vague. L'intelligenza 
              pronta e le letture gli permettono di potersi preparare a casa sotto 
              la guida della madre, che è una donna colta, dai modi dolcissimi 
              e raffinati. Durante la breve stagione della rinata democrazia brasiliana, 
              assieme ad altri ragazzi figli della borghesia cattolica colta, 
              Heleno partecipa agli incontri di un gruppo cattolico "progressista", 
              esperienza che segna una sorta di preparazione per l'incontro decisivo 
              della sua vita: quello con alcune persone del "Movimento dei Focolari", 
              che iniziava allora a muovere i primi passi in Brasile. Siamo nel 
              1958. 
 Entrando in contatto con questa esperienza cristiana, Heleno "scopre" 
              che la sua vita non è "solo" la conseguenza di una famiglia infelice, 
              ma sperimenta l'amore di Dio come uno sguardo personale, unico, 
              che dona senso pieno al suo destino: è la scoperta della misericordia, 
              della predilezione di Dio per i più miseri come di una forza rivoluzionaria. 
              Proprio in quell'anno 1958 la fondatrice del Movimento dei Focolari, 
              Chiara Lubich, compie il suo primo viaggio in Brasile, con lo scopo 
              di conoscere quella che era la prima nazione extraeuropea dove si 
              stava sviluppando il Movimento. Heleno conobbe allora Chiara Lubich, 
              riportandone una impressione molto forte: quella donna che stava 
              iniziando una originalissima esperienza ecclesiale, si accostava 
              con grande rispetto e amore alla realtà culturale del Brasile, cercando 
              di capirne la vocazione ecclesiale ed evangelica. Il compito di 
              una "inculturazione" del messaggio evangelico nella cultura brasiliana 
              sarà per Heleno il compito di tutta la vita. Nel 1959 Heleno lascia 
              la sua famiglia per vivere nel focolare di Recife. Sarà il primo 
              focolarino brasiliano.
 Nel 1961 Heleno si reca a Grottaferrata, Roma, per partecipare alla 
              prima scuola di formazione del Movimento dei focolari. Ritornato 
              in patria, Heleno si impegna anima e corpo nella fondazione delle 
              comunità del Movimento dei Focolari in tutto il Brasile, da Recife 
              a Belem a Porto Alegre. A Belem diviene professore di letteratura 
              portoghese, e avremmo potuto trovarlo dalle aule universitarie ai 
              teatri dove portava in tournee gli spettacoli di cui scriveva i 
              testi, con un complesso dei giovani del movimento; dovunque Heleno 
              portava con una forza ed un impatto fortissimi l'esperienza che 
              aveva cambiato la sua vita: La rivoluzione delle beatitudini, Dio 
              che sceglie "i non tutelati", i poveri, gli emarginati per portare 
              il suo Regno.
 Sono gli anni di una "sintesi" originale di vita e riflessione che 
              lo matura come cristiano e come intellettuale; approfondisce la 
              conoscenza delle culture dei neri e degli indios, le culture "subalterne" 
              che convivono assieme a quella europea nella "bugia della democrazia 
              razziale" brasiliana, come ci diceva. Ben presto nella immaginazione 
              poetica e nell'anima di Heleno, tali culture subalterne e le condizioni 
              di vita dei "non tutelati", di coloro che stanno "fuori dalle mura", 
              assumono i contorni della dimensione "femminile", che diverrà in 
              seguito elemento fondamentale in tutta la sua opera poetica. A parte 
              una parentesi di qualche mese a Loppiano, nei primi anni '70, Heleno 
              rimane sempre in Brasile, con compiti di responsabilità nel Movimento, 
              molto stimato da alcuni esponenti della CNBB (Conferenza Episcopale 
              Brasilana), come Mons.Ivo Lorscheider, Cardinale di Fortaleza. L'arrivo 
              di Heleno a Firenze, nel 1983, si situa in un momento di grande 
              sofferenza, spirituale e psichica. Si riacutizza il dramma irrisolto 
              della sua vita, la sua duplice dimensione nera e bianca. Ma è proprio 
              qui a Firenze che egli incontra una nuova dimensione d'anima, che 
              trova incarnata nella città, nelle chiese, nel popolo, nella comunità 
              ecclesiale. Abita in uno dei "focolari" di Firenze, dove trova amicizia, 
              comprensione e stima. Firenze diviene per Heleno molto più di una 
              esperienza estetica: oltreché una nuova "patria", essa diviene per 
              lui uno spazio immaginale e archetipico, dove riuscirà col tempo 
              a oggettivare la sua sofferenza, cogliendone anche dal punto di 
              vista psicologico tutte le possibilità di vita e di liberazione.
 Il rapporto che questo brasiliano nordestino ha stabilito con la 
              città toscana culla del Rinascimento, stupisce noi così come stupiva 
              lui stesso, e ciò risalta ancor di più da un episodio particolare, 
              da una esperienza molto profonda di incontro con la dimensione "africana" 
              avvenuta proprio a Firenze.
 
 Nel 1985 Heleno visitò con grande emozione una mostra sull'arte 
              nigeriana allestita al Forte Belvedere, una mostra che raccoglieva 
              opere pressochè contemporanee al Rinascimento fiorentino. Di fronte 
              a quei volti di re e regine africani, di una forza sacra paragonabile 
              a quella di Michelangelo e di Donatello, Heleno si sciolse in un 
              profondissimo pianto: un brasiliano - ci disse - vive sempre, anche 
              inconsapevolmente, una sorta di "complesso di inferiorità" nei confronti 
              del Vecchio Mondo, per cui giungere in Europa e trovare proprio 
              qui la forza, la dignità dell'anima e dell'arte africana fu per 
              lui uno choc, una catarsi che "produsse" uno dei poemi più forti 
              e coinvolgenti, poema che la più grande poetessa portoghese, Sophia 
              de Mello, curando una scelta dei poemi di Heleno nel libro "le Ombre 
              di Olinda", ha posto al "centro" del volume, proprio per la sua 
              cruciale importanza nel mondo poetico e nell'esperienza esistenziale 
              del nostro autore. Gli "anni fiorentini" di Heleno sono stati anni 
              di grandi trasformazioni personali, su svariati "piani". La terapia, 
              il percorso psicanalitico lo ha portato ad oggettivare il suo destino 
              e ad accettare in modo creativo la sua sofferenza, la depressione, 
              come luogo del "fare anima".
 Accanto a questo il suo percorso spirituale, l'incontro con i grandi 
              mistici, gli spagnoli, i renani, con Simone Weil, lo ha aperto ad 
              un'altra dimensione dell'Anima, quella che lui chiamava - citando 
              Chiara Lubich - l'Anima Chiesa: ci ha detto più volte, ma, di più, 
              questo si vedeva in lui - la vita sacramentale, la confessione, 
              la comunione ecclesiale erano il "luogo" in cui sentiva rinascere 
              la propria umanità, nella sua completezza psicologica e spirituale. 
              Firenze, come afferma in una sua poesia, è stata "cauterio" e "rinascita". 
              Contemporaneamente Heleno lavorava alla sua tesi di dottorato sull'opera 
              della poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen, presso 
              l'università di Lisbona, sotto la direzione della Prof.ssa --------------. 
              Si recava perciò spesso a Lisbona, almeno due volte l'anno, e Lisbona 
              è stato l'altro "polo" della sua vita intellettuale e spirituale.
 E' praticamente impossibile dire in poche parole quello che Lisbona 
              rappresentava per Heleno, basti dire che ha dedicato alla capitale 
              lusitana almeno tre delle sue raccolte di poesie, ancora inedite, 
              Arcano Arcanjo, O cais da fim do mundo. Luogo di passaggio, "porto 
              della fine del mondo", altro luogo di scoperta e di ritrovamento, 
              di rinascita, di porta aperta verso il suo Brasile. Nostalgia e 
              riconciliazione della memoria attraverso lo sguardo, un nuovo sguardo 
              sulla sua vita e sulle cose ("e ogni giorno vado al Terriero do 
              Paço / a guardare). La tesi di dottorato stava diventando un'opera 
              davvero impegnativa, ormai pressochè completata comprende adesso 
              capitoli di grande densità contenutistica, quali quelli sul Mito, 
              sul Sacro, sulle forme cristiane e greche nella poesia della de 
              Mello Andresen.
 La lentezza con cui il lavoro procedeva, che Heleno stesso sentiva 
              ed esprimeva come un grande peso, un compito arduo e doloroso, era 
              accompagnata da una attività poetica estremamente intensa di composizione 
              e autotraduzione sia in portoghese che in italiano, con revisioni 
              e, accorpamenti, il che ha prodotto una quantità davvero notevole 
              di composizioni con molte varianti. Solo negli ultimi anni Heleno 
              si era convinto a "tentare una pubblicazione", aveva partecipato 
              ad una delle scuole di scrittura organizzate dalla rivista "Semicerchio", 
              entrando in contatto con Andrea Sirotti, di cui diventerà amico. 
              Fondamentale è stata la pubblicazione del poema narrativo Clarindo 
              Clarindo, avvenuta a Belem nel febbraio del 1994. Quella fu l'occasione 
              di un ritorno felice in Brasile, un viaggio che in seguito ricorderà 
              con gioia; l'incontro con i colleghi, la presentazione pubblica, 
              il riconoscimento ufficiale per quel suo poema così cruciale, che 
              in fondo segna la riconciliazione con l'ombra del padre, perfino 
              la visita ai luoghi dell'infanzia, legati a ricordi spesso infelici, 
              furono l'opportunità per un maturo e "quasi felice" ritrovamento.
 
 Ci pare di poter dire che dopo il riconoscimento accademico e culturale 
              della facoltà in cui si era laureato, Heleno cominciò a organizzare 
              le sue raccolte di poesia in vista di una possibile pubblicazione. 
              Nel 1995, all'indomani della partenza "estiva" per Lisbona indirizzerà 
              una esplicita lettera ad Andrea Sirotti in questo senso.
 Heleno muore improvvisamente a Lisbona, il 30 luglio del 1995. Subito 
              dopo, Sophia de mello Breyner Andresen contatta noi, suoi amici, 
              per "conoscere meglio Heleno", esprimendo subito la sua ammirazione 
              per la sensibilità e l'originalità della poesia di Heleno, nochè 
              la sua decisa volontà di pubblicare alcune poesie di Heleno assieme 
              al suo ultimo libro, pubblicazione avvenuta nel novembre del 1996 
              Se possiamo azzardare una parola che sintetizzi in qualche modo 
              il suo percorso di vita, tale parola potrebbe essere "la realtà 
              dell'anima": non solo e non tanto nel senso di istanza individuale, 
              intima, nascosta, invisibile, così come la modernità vorrebbe individuarla 
              limitandola, ma nel senso di spazio archetipico che è anche rapporto 
              col cosmo, socialità, città, ecclesia.
 E' in tale dimensione che possiamo capire il suo lavoro al Centro 
              la Pira, il suo servizio alla Chiesa fiorentina, la sua testimonianza 
              di laico consacrato nel Movimento dei Focolari, di maestro e formatore 
              di spiritualità, di poeta e intellettuale che ha saputo unire Firenze 
              e Lisbona. Dobbiamo dire che Heleno sperimentava sulla sua pelle 
              di brasiliano che "vivere secondo lo Spirito" nel nostro contesto 
              non è situazione beatifica ma una condizione caratterizzata dalla 
              povertà, dalla solitudine, dall'esilio, una condizione di "resistenza" 
              al consumismo, al pensiero unico imperante e omologante, e ci dice 
              che a partire da qui si trova la possibilità di essere se stessi 
              , di essere uomini confermati nella propria identità e diversità 
              e proprio per questo capaci di incontrare chiunque; credo insomma 
              che alla fine della vita Heleno avesse raggiunto la dimensione da 
              lui sempre perseguita, quella di essere un "uomo-mondo", dimensione 
              che trovava tratteggiata in queste parole di Ugo di S. Vittore che 
              amava citare:
 " L'uomo che trova dolce la sua patria non é che un tenero principiante, 
              colui per il quale ogni terra é come la propria é già un uomo forte; 
              ma solo é perfetto colui per il quale tutto il mondo non é che un 
              paese straniero."
 
 
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