LA MEMORIA CRIVELLATA

Heleno Oliveira


Tropicalissima vegetazione dei della Robbia
che circonda il candore delle Madonne
luminoso splendore mediterraneo
porta liquida di nostalgia
disegno di verde foresta.


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AFRICA

Ah se potessi starmene
zitto zitto nel seno dell'Africa
Ah, se io potessi
camminare nelle savane
penetrare le foreste
scalare le montagne
sentire il vento dei suoi deserti

Ah se io potessi
inoltrarmi nelle sue notti
e rinascere ancor più nero
nero del nero della nera nerissima
giacché il figlio viene dalla Madre
nonostante il seme del Padre

Ah madre Africa
ti vedo bambina
rubata dal bianco Padre
senza affetto né premure
in quel mezzogiorno della tua storia
che popolò tutti i Popoli
tinse di nero il Mondo
per lo sfruttamento della tua schiavitù
docile e silenziosa
sotto le fruste e le ferite
prolungate nei secoli
e il Terrore
dei negrieri nel tempo
in cui solo il Mare conobbe le grida
senza eco dei soffocati dalle agonie
del nuovo enorme cimitero
denudato di divinità e di stelle

mentre, lì, per Te
Firenze fioriva e partoriva il fiorino
Portogallo e Spagna, con le benedizioni del Papa
dividevano il mondo in duelli d'amore
conquistavano Indie con croci e spade
che lasciavano la storia muta
il più cruento e implacabile metodo
di evangelizzazione
la cristianissima impresa
del traffico negriero
che solo l'abbandono del Verbo fatto Carne
ha potuto riscattare e consolare

Ahi, Africa (e il figlio scivola dal ventre anche se
il Padre irriga il corpo di rose sangue latte)
vivo e sono i tuoi dolori
la tua rassegnata mansuetudine
il tuo tam tam venduto a suon di dollari
dai Signori che ti hanno resa merce
avallata al lume del dogma
usarono e abusarono delle case padronali e catapecchie
concepirono l'architettura delle favelas

fosti la corona di spine che contorna le città
la meta delle armi confezionate su misura
imparasti dal Bianco la vertigine
dello strano insipido dio chiamato Consumo
nella tua diaspora e nel tuo stesso seno
la memoria crivellata quasi estinta
da me dal tuo Brasile strapparono le foglie
della vergogna per non piangere enumerare
morti malattie e lacrime

soltanto la tua intelligenza mitica
ha resistito e ti ha salvata nascosta
nei tombini angoli e terreiros
non hai voluto nazzareni dai capelli biondi
conoscevi la Trinità oltre a Hegel Marx e compagnia
attendi ancora tra le doglie
che venga il Santo Spirito…

inutile dire che il suono dei tamburi è spazio del Nemico
è un grido ai Tre perché venga il Regno
senza potenza esercito signori e schiavi
povero come Dio solo come Dio vicino come Dio
nero come Dio

Oggi voglio danzare
come danzavi prima del Bianco
senza paura di essere sensuale
e lascivo come pensano i Bianchi
senza temere di usare il corpo
nel ritmo nel rito nella melodia
che non ti dicono niente, Bianco,
dicono albero foglia vento sabbia
vedo volare nel mio gesto
leopardi falchi elefanti
aironi uccellini
questo è la danza


Non contorsioni per scongiurare i momenti
di tedio
è una benedizione per salutarlo
non prigione quotidiana in discoteche d'acciaio
è ascolto amoroso dei miti
di un tempo che nasce in me
diversamente muoio nella valle delle anime smarrite
la danza è festa
è il mio dialogo con te, madre amabile e nerissima
che ama secondo i riti della tribù
che pettina con grazia il capello crespo delle figlie
che lavora nel campo e parla con il suo dio
di tutto senza distanza e stranamente

il tuo silenzio mi interroga
non posso tacere è mio e mi fa male
madre Africa contemplo la puttana da due soldi
povera nera povero fiore nero senza INPS
giustizia e estetica della fame
il padrone bianco soddisfatto ti macchia
procrea nel tuo corpo serpenti

non vedo più lo stesso colore
la danza la risata la santa sensualità
ecco gli uomini della terra del Sud
incappucciati gridano negro è sporco negro è sporco
ALLONTANATEVI

e tu raccogli e metti insieme gli stracci dell'anima
in ballate blues e samba
nelle ninnananne dei bambini dell'America
cancella dolcemente la melanconia
della razza bianca che canta il jazz
senza dire Africa

non cancella la mansuetudine
eccessiva che attende molleggiando come se ancora fosse il tempo della libertà
quando il Nero ordinava il caos
e lasciava che il bianco illuminasse
senza odio e amore colonizzati

chissà certi giorni invocasti
gli dèi ammutoliti della guerra
per mezzo secolo Palmares è stato un segno
duro come Zumbi mio padre mio re mio fratello
Luanda rinacque con la stessa festa
una volta ancora il tuo sangue inquinato
ti ha venduta ai Lusitani, madre,
la testa di Zumbi in una piazza di Recife era la tua
le tue nozze con la libertà
sono solo una data nel calendario

i tuoi figli subiscono altra schiavitù
lo stipendio meno che minimo
la tentazione di diventare bianco
la parola black esportazione abusata
il nero è sempre sinonimo di bruttura
la resistenza che nessuno vide

eccomi a ripetere il colore dei neri è stato tollerato
il tuo olimpo cristianizzato a forza
il tuo Brasile non ti voleva e ti liberò
con la morte di seimila neri nella guerra del Paraguay
e oggi nelle cucine e bordelli, madre.

lascia che sorridano
lascia che invidino mulatte oba oba
e sfilate della scuola di samba
lascia che ballino come manici di scopa il reggae e Bob Marley
e si sentano eruditi con il pianto del tuo jazz
e prendano i tuoi tesori come presero gli schiavi
lascia che ti chiamino nerina neretta
con affettuosa falsità
vedrai la tua saggezza la tua pazienza
che tutto sopporta
persino i detti però è un nero con l'anima bianca
vedrai i due grandi e i loro satelliti
le mani ricolme di domande e domandarti la Parola
che abbandonarono
attenderai densa e eterna come il Congo
alta e serena come il Kilimanjaro
povera e affamata come i tuoi figli e figlie
desolata come la cultura che ti ha annichilita
nostalgica della pace del clan del tam tam
vedrai in una magica e cosmica preghiera
il Nero che viene lanciato sulla scena del mondo
brillante
diamante
uscito da Trinidade senza colore
senza nessun colore
tutta nera che ti rivela
attraverso i lampi
la danza i gesti i miti
ti illumina e racconta la tua saga
il tuo destino arcano
quasi simile al Verbo
che tutto innerato
dal calore e dal sole di Trinidade
ti bacia con il bacio della sua bocca
bacia figlie e figli
oppressi dimenticati
copre l'infelicità d'amore
interrompe il singhiozzo della terra
saravá

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Portami dall'Oriente un indumento caldo,
un profumo raro e caro per il corpo,
una doppia dose d'oppio per la notte,
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Portami le ombre e gli squarci
che ho scritto nel buio dei quaderni
come un Orfeo oscuro ed impaurito
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Portami Maddalene senza Cristo
e tutte le perdute senza rimedio,
quelle che cantano fuori dalle mura
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Portami tutte le blasfemie
dette per far effetto e gli scongiuri,
sospiri ed urla dell'amore infuriato,
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Portami i satelliti caduti in mare
e i poveri caduti nella strada
del mio tempo ricco di disastri
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Portami la retorica del divino,
le varie fantasie dei profeti
tutte le parole senza peso e storia
che voglio festeggiare la mia pasqua.

E se non basta, portami il silenzio
di quelli che non parlano, rauchi di timore
quelli che mai baciarono la Parola
che voglio festeggiare la mia pasqua.

E se dopo aver cercato eroi
non venisse nessuno, portami le ragazze di Ipanema,
i bimbi magri di Brejo da Cruz,
che voglio festeggiare la mia pasqua.

Se la mia morte splenderà dal vivo
potrò vedere gli angeli nell'azzurro
fra saette e raggi verso il sole
quando passerà la mia pasqua?

E quando andrò sarò uno o tutti
come la poesia quasi ha rivelato,
potrò sapere di me e dell'universo
quando passerà la mia pasqua?

Se non saprò cosa accadrà,
un altro soffio racconterà
chi è uno e trino e uno
quando passerà la pasqua?


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Il Portogallo è sparso nel mio corpo
Lisbona e i suoi pezzetti di Bahia Olinda e Alcantara
di paesini sperduti e campi e spiagge del Brasile.

Descriverti non è facile.

La tua lingua di pietra
la greca lucentezza di Sophia
la gente che vive di poco pane e luna
il porto immenso
i tuoi grandi piccoli tiranni
la tua poca terra
la tua abbondanza di anima.


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Lisbona sotto la pioggia.
Diversa è l'anima. Io mi trovo qui.
Vengo da lontano con sete e deserto.
Cammino per ore per vedere il vero.

È quando il silenzio pesa
e São Domingos conosce la sventura.
Muoiono i rumori e le navi tornano.

Lisbona è voce e occhi buoni
Quando non v'è luogo al mondo
come le sere al Terreiro do Paço.
Né lingua più lirica e azzurra


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Viene da dentro.
In silenzio, levità,
vaghezza, punta di coltello.
Viene dal centro
dalla piazza senza tempo.
Per millenni nulla vidi perché urlavo.
Il canto vuole il deserto.


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Signore la tua incertezza vale di più
Di tutte le muse sfrenate nel fiume


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Resti di ricordi
nelle cose e sabbie del villaggio.
Tutto del mio vecchio sguardo si accende.
Santa Clara che passa sul baldacchino
che quasi non vedo

e non rivedo

nessun bimbo alato
nella processione.

Vedere e non vedere è così
come bere un bicchiere d'acqua
dopo la sete del sertão
tra la luce di là
perpendicolare al suolo

e quella di Lisbona che vola
leggera e pura come l'acqua
dalla riva all'infinito

sapere della Lusitania
Geografia e Quinto Impero
veduto e morto
per poter vivere.
Venite a me Indie
dice Vieira da un altro porto
che vi incanterò.
E la saga vive in ognuno
che sa la mescolanza
di spada luna e croce
e non dimentica
il grido senza luce.



(Traduzioni di Andrea Sirotti, insieme all'autore, eccetto "Africa", tradotta da Cristiana Sassetti)



TESTI IN LINGUA ORIGINALE

Tropicalíssima vegetação dos della Robbia
Arrodeando a brancura das Madonas
Mediterrânea claridade
Porta líquida de saudade
Desehnho da mata verde

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ÁFRICA

Ah se eu estivesse
guardado e calado na África
Ah se eu pudesse
caminhar suas savanas
penetrar suas florestas
subir as montanhas
sentir o vento dos seus desertos
Ah se eu pudesse
cair bem fundo nas suas noites
e renascer ainda mais negro
negro do negro da negra negríssima
pois o filho vem da Mãe
mesmo com as sementes do Pai
Ah mãe Africa
vejo-te menina
roubada pelo branco Pai
sem ternura e cuidado
naquele meio dia da tua história
que povoou todos os povos
tingiu de negro o Mundo
pela exploração da tua escravidao
docil e silenciosa
sob açoites e feridas
prolongadas nos séculos
e o Terror
dos negreiros no tempo
em que só o Mar soube dos gritos
sem eco dos sufocos das agonias
do novo enorme cemitério
desnudado de deuses e estrelas
enquanto, ai, por Ti
Florença florescia e paria o florim
Portugal e Espanha, com as bençãos do Papa
Repartiam o mundo em duelo de amor
Conquistavam Índias na cruz e na espada
Deixando à história muda
O mais cruento e implacável método
De evangelização
A cristianissima empresa
Do tráfego dos Negros
Que só o abandono do Verbo feito Carne
Pode limpiar e consolar
Ai, África (e o filho jorra do ventre mesmo se
O Pai irriga o corpo de rosa sangue leite)
Vivo e sou tuas dores
Tua resignada mansidão
Teu tam tam vendido em dólares
Pelos Senhores que te fizeram mercadoria
Avalizada no lume no dogma
Usaram abusaram da casa grande e senzala
Engendraram a arquitectura das favelas
Foste a coroa de espinhos que rodeia as cidades
A meta das armas feitas sob medida
Aprendeste do Branco a vertigem
Do estranho insosso deus chamado Consumo
Na tua diaspora e mesmo em teu seio
A memória estraçalhada quase extinta
De mim do teu Brasil rasgaram as folhas
Da vergonha pra não chorar enumerar
Mortos doenças e lágrimas
Somente a tua inteligência mitica
Resistiu e te salvou escondida
Nas sarjetas esquinas e terreiros
Não quiseste nazarenos de cabelos loiros
Sabias a Trinidade além de Hegel Marx e cia
Ainda esperas em dores de parto
Que baixe o Santo Espírito…
Inutil dizer que teu batuque é espaço do Inimigo
é um grito aos Tres para que o Reino venha
Sem potência exército senhores e escravos
Pobre como Deus só como deus junto como Deus
Negro como Deus
Hoje eu quero dançar
Como dançavas antes do Branco
Sem medo de ser sensual
E lascivo como pensam os Brancos
Sem receio de usar o corpo
No ritmo no rito na melodia
Que dizem pouco do que pensas, Branco,
dizem árvore folha vento areia
vejo voar no meu gesto
leopardos gaviões elefantes
garças passarinhos
a dança è isto
Nao contorções para esconjurar o tempo
Do tédio
È bênção para saudá-lo
Não é prisão cotidiana em discotecas de aço
é escuta amorosa dos mitos
De um tempo que nasce em mim
senão eu morro no vale da busca da alma
A dança é festa
é o meu diálogo contigo, mae amável e
negerrima
Que ama conforme os ritos da tribo
Que penteia com graça o pixaim das
filhas
Que trabalha o campo e fala com o deus
Em tudo sem distância e estranhamente
Teu silêncio me interroga
Nao posso calar é meu e me faz mal
Mãe África contemplo a puta de dois vinténs
Pobre negra pobre flor negra sem INPS
Justiça e estética da fome
O dono branco satisfeito deixa nódoas
Procria no teu corpo serpentes
Nem vejo mais a mesma cor
A dança a risada a santa sensualidade
Eis os homens da terra do Sul
Encapuçados gritam negro é sujo negro é sujo
AFASTAI-VOS
E tu recolhes e juntas os trapos d'alma
Em cantos blues e samba
Nas canções de ninar das crianças da América
Cancelas docemente a melancolia
Da raça branca que canta em jazz
Sem dizer África
Nao apagas a mansidão
Demasiada a esperar gingando
Como se ainda fosse o tempo da liberdade
quando o Negro ordenava o caos
e deixava o branco raiar
sem ódio e amor colonizados
quem sabe em certos dias invocaste
os deuses emudecidos da guerra
por meio século Palmares foi um signo
duro como Zumbi meu pai meu rei meu irmão
Luanda renasceu com a mesma festa
uma vez mais teu próprio sangue poluído
vendeu-te aos Lusitanos, madre,
a cabeça de Zumbi numa praça de Recife era a tua
as tuas núpcias com a liberdade
são apenas uma data no calendário cívico
teus filhos têm outra escravidão
a do salário mais que mínimo
a tentação de virar branco
a palavra black exportação consumada
o negro é sempre sinônimo de feiura
a resistência que ninguém viu
eis-me a repetir a cor dos negros foi suportada
o teu olimpo cristianizado à força
o teu Brasil não te queria e te libertou
na morte de seis mil negros na guerra do Paraguay
e hoje nas cozinhas e bordéis, madre.
Deixa que sorriam
deixa que invejem mulatas oba oba
e desfiles de escola de samba
deixa que dancem como vassouras o reggae e Bob Marley
e se sintam eruditos com o pranto do teu jazz
e levem minérios como levaram escravos
deixa que te chamem nega neguinha
com carinhosa falsidade
hás de ver a tua sabedoria a tua paciência
que tudo cobre
até os ditos mas é um negro de alma branca
hás de ver os dois grandes e seus satéliles
as maos repletas de perguntas e perguntar-te a Palavra
que abandonaram
hás de esperar densa e eterna como o Congo
alta e serena como Kilimanjaro


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Tragam-me do Oriente un traje muito quente,
um perfume raro e caro para o corpo,
dose dupla de ópio para a noite,
eu quero festejar a minha páscoa.

Tragam-me as brechas e as réstias
que no breu dos cadernos escreví
qual um Orfeu escuro amedrontado,
eu quero festejar a minha páscoa.

Tragam-me Madalenas sem Jesus
e rodas as perdidas sem remédio,
as que cantam fora das muralhas,
eu quero festejar a minha pascoa.

Tragam-me todas as blasfêmias
ditas por prazer e os esconjuros,
ais e gritos do amor enfurecido,
eu quero festejar a minha páscoa.

Tragam-me os satélites caídos no mar
assim como os pobres caídos nas ruas
do meu tempo rico de destroços,
eu quero festejar a minha páscoa.

Tragam-me a retórica do divino,
as várias fantasias dos profetas,
toda palavra sem eira nem beira,
eu quero festejar a minha páscoa.

Se não bastar tragam-me o silêncio
dos que não falam roucos de temor,
os que nunca beijaram a Palavra,
eu quero festejar a minha páscoa.

E se depois de interpelar heróis
ninguém vier, tragam-me brotos de Ipanema,
os putos magros do Brejo da Cruz,
eu quero festejar a minha páscoa.

Se brilhar ao vivo a minha morte
hei-de ver os anjos no azul
entre setas e raios rumo ao Sol
quando passar a minha páscoa?

E ao singrar serei um ou todos
como a poesia quase soletrou,
hei-de saber de mim e do universo
quando passar minha páscoa?

Se não souber o que será,
um outro sopro há-de contar
quem é uno e trino e uno
quando passar a páscoa?


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Portugal derrama-se no meu corpo.
Lisboa seus pedaços de Bahia de Olinda e Alcântara
Dos lugarejos perdidos. Várzeas e barras do Brasil.

Escrever-te não é facil.

A tua língua de pedra.
A luminosidade grega de Sophia.
O povo que vive de pouco pão e luar.

O cais imenso.
Teus grandes pequenos tiranos.
Tua terra pouca.
Tua abundância de alma.


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Lisboa sob a chuva.
A alma é outra. Aqui me encontro eu.
Venho de longe com sede e deserto.
Caminho horas para ver o real.

É quando o silêncio pesa.
São Domingos sabe a desventura.
Morrem os ruídos, retornam as Naus.

Lisboa é voz e olhos mansos.
Quando não há lugar no mundo
Como as tardes do Terreiro do Paço.
Nem língua mais lírica e azul.


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Vem de dentro.
Em silêncio, leveza,
vagueza, ponta de faca.
Vem do centro.
Da praça sem tempo.
Milênios nao vi porque gritei.
O canto precisa do deserto.


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Senhor tua incerteza vale mais
Que as musas soltas no rio


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Restos de olvido
Nas rodilhas e areias da vila.
Tudo do neu antigo olhar se acende.
Santa Clara no andor a passear
Quase não vejo
E não revejo
Nenhum menino alado
Pela procissão.
Ver e não ver é assim
Como beber um copo d'água
Após a sede do sertão
Entre a luz de lá
Perpendicular ao chão
E a de Lisboa em vôo
Lisa e pura como água
Da orla ao infinito
Saber da Lusitânia,
Geografia e Quinto Império,
Visto e morto
Pra viver.
Vinde a mim ó Indias
Diz Vieira doutro cais
Que eu vos encantarei.
E a saga vive an cada um de nós
Que sabe a mistura
De sabre lua e cruz
E nunca esquece
O grito sem luz.

 




Heleno Oliveira nasce in Brasile nel 1941, a Santa Clara, un paese nell'entroterra di Olinda, nello stato del Pernambuco. Il padre di Heleno, Clarindo Tenorio, uomo di fiducia dei latifondisti del posto, occupa nella memoria dei figli l'immagine di una specie di bandito che appare il fine settimana dall'alto del suo cavallo con tanto di revolver alla cintura e speroni ai piedi. Laura, la madre nera, proveniva invece da una famiglia ricca e colta. E' già tracciato il disegno di una tensione drammatica che costituisce l'anima stessa di Heleno e che troverà voce in "Clarindo, Clarindo", un poema - fiume dedicato al padre, il primo che è stato pubblicato, nel 1994 dall'università di Belem. A 16 anni Heleno è un giovane sensibilissimo e precocemente dedito a moltissime letture. Non frequenta la scuola pubblica ma piuttosto i matineè dei cinema di Recife, adorando i grandi film Holliwoodiani, il neorealismo e la nouvelle vague. L'intelligenza pronta e le letture gli permettono di potersi preparare a casa sotto la guida della madre, che è una donna colta, dai modi dolcissimi e raffinati. Durante la breve stagione della rinata democrazia brasiliana, assieme ad altri ragazzi figli della borghesia cattolica colta, Heleno partecipa agli incontri di un gruppo cattolico "progressista", esperienza che segna una sorta di preparazione per l'incontro decisivo della sua vita: quello con alcune persone del "Movimento dei Focolari", che iniziava allora a muovere i primi passi in Brasile. Siamo nel 1958.

Entrando in contatto con questa esperienza cristiana, Heleno "scopre" che la sua vita non è "solo" la conseguenza di una famiglia infelice, ma sperimenta l'amore di Dio come uno sguardo personale, unico, che dona senso pieno al suo destino: è la scoperta della misericordia, della predilezione di Dio per i più miseri come di una forza rivoluzionaria. Proprio in quell'anno 1958 la fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich, compie il suo primo viaggio in Brasile, con lo scopo di conoscere quella che era la prima nazione extraeuropea dove si stava sviluppando il Movimento. Heleno conobbe allora Chiara Lubich, riportandone una impressione molto forte: quella donna che stava iniziando una originalissima esperienza ecclesiale, si accostava con grande rispetto e amore alla realtà culturale del Brasile, cercando di capirne la vocazione ecclesiale ed evangelica. Il compito di una "inculturazione" del messaggio evangelico nella cultura brasiliana sarà per Heleno il compito di tutta la vita. Nel 1959 Heleno lascia la sua famiglia per vivere nel focolare di Recife. Sarà il primo focolarino brasiliano.
Nel 1961 Heleno si reca a Grottaferrata, Roma, per partecipare alla prima scuola di formazione del Movimento dei focolari. Ritornato in patria, Heleno si impegna anima e corpo nella fondazione delle comunità del Movimento dei Focolari in tutto il Brasile, da Recife a Belem a Porto Alegre. A Belem diviene professore di letteratura portoghese, e avremmo potuto trovarlo dalle aule universitarie ai teatri dove portava in tournee gli spettacoli di cui scriveva i testi, con un complesso dei giovani del movimento; dovunque Heleno portava con una forza ed un impatto fortissimi l'esperienza che aveva cambiato la sua vita: La rivoluzione delle beatitudini, Dio che sceglie "i non tutelati", i poveri, gli emarginati per portare il suo Regno.
Sono gli anni di una "sintesi" originale di vita e riflessione che lo matura come cristiano e come intellettuale; approfondisce la conoscenza delle culture dei neri e degli indios, le culture "subalterne" che convivono assieme a quella europea nella "bugia della democrazia razziale" brasiliana, come ci diceva. Ben presto nella immaginazione poetica e nell'anima di Heleno, tali culture subalterne e le condizioni di vita dei "non tutelati", di coloro che stanno "fuori dalle mura", assumono i contorni della dimensione "femminile", che diverrà in seguito elemento fondamentale in tutta la sua opera poetica. A parte una parentesi di qualche mese a Loppiano, nei primi anni '70, Heleno rimane sempre in Brasile, con compiti di responsabilità nel Movimento, molto stimato da alcuni esponenti della CNBB (Conferenza Episcopale Brasilana), come Mons.Ivo Lorscheider, Cardinale di Fortaleza. L'arrivo di Heleno a Firenze, nel 1983, si situa in un momento di grande sofferenza, spirituale e psichica. Si riacutizza il dramma irrisolto della sua vita, la sua duplice dimensione nera e bianca. Ma è proprio qui a Firenze che egli incontra una nuova dimensione d'anima, che trova incarnata nella città, nelle chiese, nel popolo, nella comunità ecclesiale. Abita in uno dei "focolari" di Firenze, dove trova amicizia, comprensione e stima. Firenze diviene per Heleno molto più di una esperienza estetica: oltreché una nuova "patria", essa diviene per lui uno spazio immaginale e archetipico, dove riuscirà col tempo a oggettivare la sua sofferenza, cogliendone anche dal punto di vista psicologico tutte le possibilità di vita e di liberazione.
Il rapporto che questo brasiliano nordestino ha stabilito con la città toscana culla del Rinascimento, stupisce noi così come stupiva lui stesso, e ciò risalta ancor di più da un episodio particolare, da una esperienza molto profonda di incontro con la dimensione "africana" avvenuta proprio a Firenze.

Nel 1985 Heleno visitò con grande emozione una mostra sull'arte nigeriana allestita al Forte Belvedere, una mostra che raccoglieva opere pressochè contemporanee al Rinascimento fiorentino. Di fronte a quei volti di re e regine africani, di una forza sacra paragonabile a quella di Michelangelo e di Donatello, Heleno si sciolse in un profondissimo pianto: un brasiliano - ci disse - vive sempre, anche inconsapevolmente, una sorta di "complesso di inferiorità" nei confronti del Vecchio Mondo, per cui giungere in Europa e trovare proprio qui la forza, la dignità dell'anima e dell'arte africana fu per lui uno choc, una catarsi che "produsse" uno dei poemi più forti e coinvolgenti, poema che la più grande poetessa portoghese, Sophia de Mello, curando una scelta dei poemi di Heleno nel libro "le Ombre di Olinda", ha posto al "centro" del volume, proprio per la sua cruciale importanza nel mondo poetico e nell'esperienza esistenziale del nostro autore. Gli "anni fiorentini" di Heleno sono stati anni di grandi trasformazioni personali, su svariati "piani". La terapia, il percorso psicanalitico lo ha portato ad oggettivare il suo destino e ad accettare in modo creativo la sua sofferenza, la depressione, come luogo del "fare anima".
Accanto a questo il suo percorso spirituale, l'incontro con i grandi mistici, gli spagnoli, i renani, con Simone Weil, lo ha aperto ad un'altra dimensione dell'Anima, quella che lui chiamava - citando Chiara Lubich - l'Anima Chiesa: ci ha detto più volte, ma, di più, questo si vedeva in lui - la vita sacramentale, la confessione, la comunione ecclesiale erano il "luogo" in cui sentiva rinascere la propria umanità, nella sua completezza psicologica e spirituale. Firenze, come afferma in una sua poesia, è stata "cauterio" e "rinascita". Contemporaneamente Heleno lavorava alla sua tesi di dottorato sull'opera della poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen, presso l'università di Lisbona, sotto la direzione della Prof.ssa --------------. Si recava perciò spesso a Lisbona, almeno due volte l'anno, e Lisbona è stato l'altro "polo" della sua vita intellettuale e spirituale.
E' praticamente impossibile dire in poche parole quello che Lisbona rappresentava per Heleno, basti dire che ha dedicato alla capitale lusitana almeno tre delle sue raccolte di poesie, ancora inedite, Arcano Arcanjo, O cais da fim do mundo. Luogo di passaggio, "porto della fine del mondo", altro luogo di scoperta e di ritrovamento, di rinascita, di porta aperta verso il suo Brasile. Nostalgia e riconciliazione della memoria attraverso lo sguardo, un nuovo sguardo sulla sua vita e sulle cose ("e ogni giorno vado al Terriero do Paço / a guardare). La tesi di dottorato stava diventando un'opera davvero impegnativa, ormai pressochè completata comprende adesso capitoli di grande densità contenutistica, quali quelli sul Mito, sul Sacro, sulle forme cristiane e greche nella poesia della de Mello Andresen.
La lentezza con cui il lavoro procedeva, che Heleno stesso sentiva ed esprimeva come un grande peso, un compito arduo e doloroso, era accompagnata da una attività poetica estremamente intensa di composizione e autotraduzione sia in portoghese che in italiano, con revisioni e, accorpamenti, il che ha prodotto una quantità davvero notevole di composizioni con molte varianti. Solo negli ultimi anni Heleno si era convinto a "tentare una pubblicazione", aveva partecipato ad una delle scuole di scrittura organizzate dalla rivista "Semicerchio", entrando in contatto con Andrea Sirotti, di cui diventerà amico. Fondamentale è stata la pubblicazione del poema narrativo Clarindo Clarindo, avvenuta a Belem nel febbraio del 1994. Quella fu l'occasione di un ritorno felice in Brasile, un viaggio che in seguito ricorderà con gioia; l'incontro con i colleghi, la presentazione pubblica, il riconoscimento ufficiale per quel suo poema così cruciale, che in fondo segna la riconciliazione con l'ombra del padre, perfino la visita ai luoghi dell'infanzia, legati a ricordi spesso infelici, furono l'opportunità per un maturo e "quasi felice" ritrovamento.

Ci pare di poter dire che dopo il riconoscimento accademico e culturale della facoltà in cui si era laureato, Heleno cominciò a organizzare le sue raccolte di poesia in vista di una possibile pubblicazione. Nel 1995, all'indomani della partenza "estiva" per Lisbona indirizzerà una esplicita lettera ad Andrea Sirotti in questo senso.
Heleno muore improvvisamente a Lisbona, il 30 luglio del 1995. Subito dopo, Sophia de mello Breyner Andresen contatta noi, suoi amici, per "conoscere meglio Heleno", esprimendo subito la sua ammirazione per la sensibilità e l'originalità della poesia di Heleno, nochè la sua decisa volontà di pubblicare alcune poesie di Heleno assieme al suo ultimo libro, pubblicazione avvenuta nel novembre del 1996 Se possiamo azzardare una parola che sintetizzi in qualche modo il suo percorso di vita, tale parola potrebbe essere "la realtà dell'anima": non solo e non tanto nel senso di istanza individuale, intima, nascosta, invisibile, così come la modernità vorrebbe individuarla limitandola, ma nel senso di spazio archetipico che è anche rapporto col cosmo, socialità, città, ecclesia.
E' in tale dimensione che possiamo capire il suo lavoro al Centro la Pira, il suo servizio alla Chiesa fiorentina, la sua testimonianza di laico consacrato nel Movimento dei Focolari, di maestro e formatore di spiritualità, di poeta e intellettuale che ha saputo unire Firenze e Lisbona. Dobbiamo dire che Heleno sperimentava sulla sua pelle di brasiliano che "vivere secondo lo Spirito" nel nostro contesto non è situazione beatifica ma una condizione caratterizzata dalla povertà, dalla solitudine, dall'esilio, una condizione di "resistenza" al consumismo, al pensiero unico imperante e omologante, e ci dice che a partire da qui si trova la possibilità di essere se stessi , di essere uomini confermati nella propria identità e diversità e proprio per questo capaci di incontrare chiunque; credo insomma che alla fine della vita Heleno avesse raggiunto la dimensione da lui sempre perseguita, quella di essere un "uomo-mondo", dimensione che trovava tratteggiata in queste parole di Ugo di S. Vittore che amava citare:
" L'uomo che trova dolce la sua patria non é che un tenero principiante, colui per il quale ogni terra é come la propria é già un uomo forte; ma solo é perfetto colui per il quale tutto il mondo non é che un paese straniero."

        
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