IL RE DEGLI UCCELLI

Flannery O'Connor


A cinque anni feci un'esperienza che mi ha segnato per il resto della vita. Pathé News aveva inviato un fotografo da New York a Savannah a ritrarre uno dei miei polli. Questo pollo, un Bantam marroncino della Cocincina, aveva la particolarità di riuscire a camminare sia in avanti sia all'indietro. La sua fama aveva fatto il giro dei giornali e quando giunse all'attenzione di Pathé News, ormai non aveva più via di scampo: né avanti né indietro. Poco dopo morì, e non c'è da stupirsene.
Se introduco con questo aneddoto un articolo sui pavoni, è perché mi viene sempre fatta la stessa domanda: come mai li allevo. E non ho ancora trovato una risposta breve o sensata.
Dal giorno dell'inviato di "Pathé" ho cominciato a collezionare polli. Quello che era un vago interesse, si tramutò in passione, in ricerca. Dovevo avere sempre più polli. I miei preferiti erano quelli con un occhio verde e uno arancione, o con il collo troppo lungo e la cresta deforme. Ne avrei voluto uno con tre zampe o tre ali, ma non mi è mai capitato niente del genere. Avevo meditato a lungo sulla foto tratta da Believe It or Not di Robert Ripley, di un gallo sopravvissuto per trenta giorni senza testa; ma non ero portata per le scienze. Sapevo cucire bene e iniziai a confezionare abiti per polli. Un Bantam grigio di nome Colonnello Eggbert sfilava in cappotto di piqué bianco, con collo in trine e due bottoni sul dorso. A quanto pare, Pathé News non ebbe mai notizia di questi altri miei polli: non si sono mai visti altri fotografi.
La mia ricerca, qualunque fosse il vero obiettivo, approdò ai pavoni. L'istinto, non la competenza, mi aveva guidata a loro. Non ne avevo mai visto, né sentito uno. E sebbene avessi un recinto di fagiani, uno di quaglie, un gruppo di tacchini, diciassette oche, una tribù di anatre, tre morbidi Bantam giapponesi, due crestati polonesi e diversi gallinacei risultato di incroci fra questi ultimi e il Rhode Island Red sentivo che qualcosa mancava. Sapevo che il pavone era stato l'uccello di Era, la sposa di Zeus, ma da allora doveva essere sceso in terra, visto che sul Market Bulletin della Florida era comparso un "vendesi pavoni di tre anni a 65 dollari la coppia". Per anni avevo letto annunci del genere con indifferenza, poi un giorno, colta da ispirazione, ne cerchiai uno sul Bulletin e lo passai a mia madre. Offrivano un pavone con la femmina e quattro piccoli di sette settimane. "Ho intenzione di ordinarmeli", dissi.
Mia madre lesse l'annuncio e subito chiese:
"Non è che quei cosi mangiano i fiori?".
"Mangeranno Startena come tutti gli altri polli ", risposi.
Arrivarono con il Railway Express da Eustis, Florida, in una tiepida giornata d'ottobre. Quando io e mia madre raggiungemmo la stazione, la gabbia era sul marciapiede, e da un lato si protendeva un collo lungo, color blu reale, e una testa crestata. Una riga bianca sopra e sotto gli occhi conferiva a quella testa inquisitoria un'aria di vigile compostezza. Mi chiedevo se l'uccello, abituato com'era a pavoneggiarsi in un aranceto della Florida, si sarebbe adattato a un caseificio della Georgia. Saltai giù dalla macchina e gli corsi incontro. La testa si ritrasse.
Una volta a casa liberammo la combriccola in un recinto coperto. Il tale che me li aveva venduti, aveva scritto di tenerli dentro per una settimana, dieci giorni, e liberarli all'imbrunire nel luogo dove volevo che si appollaiassero per la notte, in seguito sarebbero tornati ogni sera a dormire nello stesso posto. Mi aveva anche avvisato che il maschio al suo arrivo avrebbe avuto la coda un po' sguarnita: il pavone in tarda estate perde il piumaggio della coda e non lo rimette che dopo Natale.
Svuotata la gabbia, mi ci sedetti sopra e presi a osservare i miei pavoni. È da allora che continuo a farlo, da una postazione o l'altra, sempre con la stessa riverente soggezione di quella prima volta; nonostante pensi di essere sempre riuscita a mantenere una visione equilibrata e un giudizio imparziale. Il maschio che avevo acquistato non possedeva niente che potesse anche lontanamente assomigliare a una coda, tuttavia si atteggiava come se dietro avesse non solo la coda, ma un intero seguito a sostenerla. In quella prima occasione ero talmente dibattuta su chi guardare per primo che gli occhi vagavano senza posa dal pavone alla femmina ai quattro pavoncini, mentre loro davano segno di essersi accorti della mia presenza nel recinto.
Col passare degli anni questo atteggiamento nei miei confronti non si è fatto più magnanimo. Se mi presento con il cibo, loro accondiscendono, quando proprio non v'è altro modo, a mangiare dalla mia mano; se mi presento senza, sono solo un altro oggetto nel recinto. Se poi parlo di loro come dei "miei" pavoni, certo, il pronome è legittimo, ma niente più. Io sono l'ancella agli ordini e ai richiami di qualunque illustre pennuto che esiga di essere servito. Dopo averli liberati la prima volta, trasportata dall'entusiasmo avevo esclamato: "Ne voglio così tanti da incappare in uno di loro tutte le volte che esco di casa ". Adesso tutte le volte che esco di casa, quattro o cinque di loro incappano in me... e si degnano a stento di riconoscermi. Nove anni sono passati dall'arrivo del mio primo pavone. Ora ho quaranta becchi da sfamare. Il bisogno aguzza molte facoltà oltre l'ingegno.


Per essere un pollo che cresce fino a raggiungere sembianze e dimensioni notevoli, il pavone si affaccia alla vita con un aspetto infausto. Il piccolo ha il colore di quelle grosse e odiose falene che svolazzano intorno alle lampadine nelle sere d'estate. Unici a spiccare sono gli occhi, di un grigio luminescente, e una cresta marrone, che dai dieci giorni di vita inizia a spuntargli sulla testa e rassomiglia prima alle antenne di un insetto, e poi alle penne di un indiano. Nel giro di sei settimane gli compaiono sul collo chiazze verdi, qualche settimana dopo il maschio è già distinguibile dalla femmina per il dorso maculato. Quello della femmina sbiadisce gradatamente in un grigio uniforme ed essa assume in breve quello che sarà il suo aspetto definitivo. Anche se sprovvista della lunga coda e di altri ornamenti di rilievo, non ho mai pensato che la femmina del pavone non fosse attraente. Anzi, un paio di volte mi è parso che lo fosse anche più del maschio, più minuta e raffinata; ma sono momenti che non durano.
Il piumaggio del pavone impiega un paio di anni ad acquistare la foggia naturale, e per il resto della sua esistenza questo pollo si comporterà come se l'avesse disegnata da solo. Eppure, nei primi due anni di vita lo si direbbe un'accozzaglia di stracci messi assieme da una mano priva di fantasia. Durante il primo anno il petto è marroncino, il dorso maculato, il collo verde come quello della madre, la codina corta e grigia. Dopo il secondo, il petto diventa nero, il collo color blu di sua maestà e il dorso muta lentamente in quel verde dorato che poi conserverà, ma ancora niente coda lunga. Solo al terzo anno, con la piena maturità, conquista la coda. Per resto della sua vita, e un pavone può campare fino a 35 anni, non avrà niente di meglio da fare che curarsela, arricciarla, lisciarla, danzare avanti e indietro dispiegandola, sgolarsi quando gliela calpestano, e inarcarla quando attraversa una pozzanghera.
Non tutte le parti del pavone colpiscono lo sguardo, nemmeno quando è già adulto. Le piume superiori dell'ala sono striate di bianco e nero e sembrerebbero prese in prestito da un galletto di Barred Rock; quelle all'estremità dell'ala hanno il colore dell'argilla; ha le zampe lunghe e sottili di un colore ferruginoso; i piedi grandi, e sembra indossare quei pantaloncini tanto di moda in estate fra i playboy. Giallognoli e attillati, questi pantaloncini scendono a mo' di prolungamento da una specie di panciotto blu brunito. Uno non si sorprenderebbe a vedervi penzolare una catena d'orologio, ma non è ancora capitato a nessuno. Studiando l'aspetto del pavone con la coda chiusa, ho notato che le parti sono sproporzionate rispetto all'insieme. La verità è che quando ha la coda chiusa, solo il portamento lo salva dal ridicolo. Con la coda bella spiegata il pavone può ispirare una vasta gamma di emozioni, ma una risata devo ancora sentirla.
La reazione normale, almeno di primo acchito, è il silenzio. Il maschio apre la coda scrollandosi con veemenza fino a quando la solleva lentamente a formare un arco che lo sovrasta. Poi, prima che chiunque abbia avuto la possibilità di ammirarlo, si volta, dando la schiena al pubblico. Qualcuno lo prende come un insulto, altri come un capriccio. Io ritengo semplicemente che il pavone sia ben soddisfatto di entrambe le prospettive sfoggiate. Da quando allevo pavoni, almeno una volta all'anno vengono i bambini delle elementari, per una lezione dal vivo. Quando il pavone si volta, sono abituata a sentire cori di:
"Ehi, guardate le mutande!". Queste "mutande" sarebbero una coda grigia e rigida, sollevata a sostegno di quella più grande, e sotto di essa un batuffolo di piume nere, che potrebbe benissimo essere usato per incipriare qualche regale nasino come quello di Cleopatra o Clitennestra.
Dopo che il pavone ha mostrato la schiena, lo spettatore di solito comincia a girargli attorno per godersi una prospettiva frontale; ma quello insiste a ruotare su se stesso impedendo qualsiasi prospettiva frontale. La cosa da fare allora è rimanersene immobili e aspettare fino a che non gli andrà di voltarsi. Poi, con suo comodo, il pavone vi si parerà di fronte. Allora, nell'arcata verde-bronzea che lo sovrasta, potrete ammirare una galassia di soli cinti da aureole che vi fissano. A questo punto quasi tutti rimangono in silenzio.
"Amen! Amen!", esclamò una volta una vecchia negra di fronte all'evento e ogni commento udito in simili occasioni dimostra l'inadeguatezza del linguaggio umano. C'è chi fischia; pochi, per una volta, tacciono. Un camionista, che portava un carico di fieno, vide improvvisamente un pavone in mezzo alla strada girarsi di fronte a lui, e urlò: " Ma guarda un po' questo bastardo!" facendo fare al camion una rovinosa frenata. Non mi è mai capitato di vedere un pavone che facesse la ruota spostarsi anche un millimetro per evitare camion, trattori o automobili. Sta al veicolo togliersi di mezzo. Nessuno dei miei pavoni è mai stato investito, anche se tempo fa uno di loro ci ha rimesso una zampa sotto la falciatrice.


Molte persone, ho scoperto, sono congenitamente incapaci di apprezzare la vista di un pavone. Già un paio di volte mi è stato chiesto quale sia " l'utilità " di un pavone, domanda che da me non otterrà risposta, perché non la merita. Un giorno la compagnia dei telefoni aveva mandato un addetto a ripararci l'apparecchio. Finito il lavoro, l'uomo, un tipo grande e grosso dalla faccia circospetta, mezza coperta da un casco giallo, si era trattenuto per tentare di convincere con le buone un pavone, rimasto a osservarlo, a fare la ruota. Voleva aggiungere questa esperienza alle tante altre che, a quanto pare, aveva avuto. "Forza, bello", diceva: "Facci vedere qualcosa, su, su, su, no dài! Torna qui, torna qui".
Il pavone, ovviamente, non lo degnava di uno sguardo.
"Che cos'ha?", chiese l'uomo.
"Non ha niente", risposi. "Eccome se la farà. L'unica è aspettare".
L'uomo era rimasto a inseguire il pavone per un'altra quindicina di minuti, poi, scocciato, se ne era tornato al camion e aveva messo in moto. L'uccello si scosse e la coda si sollevò a incorniciarlo.
"La sta facendo!", gridai. "Ehi, ferma! La sta facendo". Il tipo fece inversione con il camion, proprio mentre il pavone si girava e gli si parava davanti con la coda spiegata. Una ruota perfetta. L'uccello si volse lievemente a destra e i piccoli pianeti sovrastanti risaltavano bronzini, poi si volse lievemente a sinistra e svariarono al verde. Mi avviai verso il camion per cogliere la reazione dell'uomo a quella vista.
Era immobile, concentrato a fissare il pavone, come se stesse cercando di decifrare una scritta minuta in lontananza. Dopo un attimo il pavone abbassò la coda e si allontanò impettito.
"Beh, che ne pensa?", chiesi.
"Mai viste zampe tanto lunghe e tanto brutte", disse l'uomo. "Scommetto che quel briccone riuscirebbe a superare un autobus".
Ci sono persone genuinamente colpite dalla vista di un pavone, anche quando ha la coda abbassata, eppure non lo ammetterebbero mai; altri invece ne sembrano irritati. Forse sospettano che l'uccello si sia fatto una cattiva opinione di loro. Il pavone è un indagatore attento e dignitoso. Quando arriva qualcuno da noi, non trova dei cani che abbaiando si precipitano fuori dal portico, ma pavoni che strillano balzando da dietro ciuffi d'erba, collo blu e testa crestata, oppure che spuntano dai cespugli o allungano il collo dal tetto della casa dove sono volati, forse per godersi il panorama. Un giorno uno dei miei sbucò da dietro gli arbusti e si fece avanti a ispezionare una macchina carica di persone venute per comprare un vitello. Un vecchio e cinque o sei bambini scalzi e biondi si ammassarono per uscire dal retro dell'automobile all'avvicinarsi dell'uccello. Vedendolo, si fermarono di botto e si misero a fissarlo, chiaramente seccati di trovare sulla loro strada questa figura altera. Scese il silenzio, mentre l'uccello li osservava, la testa reclinata indietro in tutta la sua maestosità, la coda chiusa dietro di lui, illuminata dal sole.
"Cos'è 'sta roba?", chiese infine uno dei ragazzini con astio.
Il vecchio era uscito dalla macchina e fissava il pavone con espressione attonita. "Non ne vedo uno dai tempi di mio nonno", disse, togliendosi il cappello rispettosamente. "Un tempo la gente li allevava, ma adesso non lo fanno più".
"Ma che cos'è?", chiese di nuovo il bambino con lo stesso tono di prima.
"Bambini", disse il vecchio, "questo è il re degli uccelli!".
I bambini accolsero l'informazione in silenzio. Dopo un attimo rientrarono in macchina continuando a fissare il pavone con aria infastidita, quasi gli dispiacesse ammettere che il vecchio diceva il vero.


Il pavone fa la ruota sul serio soprattutto in primavera e in estate, quando può ostentare la coda nella sua pienezza. Di solito inizia poco dopo colazione, la fa per alcune ore, si interrompe nel momento più caldo della giornata e ricomincia nel tardo pomeriggio. Ogni maschio ha il suo posto preferito dove ogni giorno si esibisce sperando di attrarre qualche femmina di passaggio; ma se c'è qualcuno indifferente alle esibizioni del pavone, oltre all'addetto del telefono, questa è la femmina. Di rado lo degna di uno sguardo. Il maschio, la coda levata in arco scintillante intorno a sé, si gira da tutte le parti e con le piume delle ali color argilla che toccano terra, danza avanti e indietro, il collo ricurvo, il becco aperto e gli occhi luccicanti. Nel frattempo la femmina va per i fatti suoi, perlustrando diligentemente il terreno come se qualunque insetto tra l'erba avesse più importanza di quella mappa spiegata dell'universo che fluttua lì attorno.
Alcuni credono che solo il pavone maschio dispieghi la coda, e che lo faccia unicamente in presenza della femmina. Non è affatto cosi. Un pavone uscito dal guscio da appena poche ore solleva quel po' di coda che si ritrova - grande all'incirca quanto l'unghia di un pollice -, fa la ruota, si volta, si gira e si piega come se avesse tre anni e vi fosse una buona ragione per farlo. Le femmine invece alzano la coda quando sul terreno vedono un oggetto che le spaventa oppure, a volte, quando non hanno niente di meglio da fare e l'aria è frizzante. Al pavone l'aria frizzante dà subito alla testa e lo mette di buonumore. Un gruppo di uccelli danzerà insieme, quattro o cinque si rincorreranno intorno a un cespuglio o a un albero. E capiterà anche che qualcuno insegua se stesso, ponendo fine al suo delirio con un salto vivace in aria, per poi procedere con passo impettito come se non avesse mai preso parte allo spettacolo.
Spesso quando il pavone solleva la coda, alza anche la voce. Sembra che dal centro della terra riceva una scossa ai piedi, che sale e lo attraversa per poi sprigionarsi in un Iii-ouu-aaii! Iii-ouu-aaii! Per i melanconici il suono è melanconico, per gli isterici isterico. A me è sempre parso un'ovazione a una parata invisibile.
La femmina non si abbandona a queste esplosioni. Lei emette un suono simile al raglio di un mulo -iiiooo, iiiooo, iiiooo - e lo fa solo quando è necessario. Di solito in autunno e in inverno i pavoni sono silenziosi, a meno che non ci sia del baccano a disturbarli; ma in primavera e in estate, sia durante il giorno che di notte, il pavone abbassando il collo e gettando indietro la testa si fa sentire a intervalli regolari con sette o otto urli in successione, come se il mondo non aspettasse altro messaggio che questo. Di notte i richiami assumono un tono smorzato e risuonano nell'aria per miglia e miglia. È passato molto tempo da quando al crepuscolo lasciai fuori il mio primo pavone perché si appollaiasse per la notte tra i cedri dietro casa. Adesso là sono in quindici o venti a dormire; mentre il vecchio maschio proveniente da Eustis, Florida, si sistema in cima al fienile, quello che ci ha rimesso una zampa sotto la falciatrice si piazza su una tettoia piatta accanto alla scuderia, poi ve ne sono alcuni tra gli alberi vicino lo stagno, molti altri tra le querce su un lato della casa, e uno che non si riesce a dissuadere dallo stare appollaiato sulla cisterna dell'acqua. Da tutte queste postazioni echeggiano nella notte richiami e risposte. Forse il pavone fa sogni violenti. Spesso si sveglia urlando "Aiuto! Aiuto ", allora dallo stagno, dal fienile e dagli alberi intorno alla casa inizia un coro implorante:

Lii-ooo lii-ooo,
Mii-ooo mii-ooo!
Iii-i-ouu iii-i-ouu!
Iii-i-ouu iii-i-ouu!

Chi dorme sonni inquieti si chiederà se è sveglio o sogna.


È difficile stabilire la verità su questo uccello. Le abitudini di un pavoncino isolato si notano appena, ma moltiplicate per quaranta diventano una realtà concreta. Non sbagliavo quando dicevo che i miei pavoncini avrebbero mangiato Startena; però mangiano anche tutto il resto. In particolare i fiori. Le paure di mia madre si sono rivelate fondate. Non solo i pavoni mangiano fiori, ma lo fanno sistematicamente, cominciando dall'inizio della fila e procedendo oltre. Pur non avendo fame, quando un fiore attira la loro attenzione lo strappano, per poi lasciarlo cadere. In genere preferiscono cibarsi di rose e crisantemi. Quando non li mangiano amano posarvisi sopra, e dove si posa, il pavone finisce per formare una buca di polvere. Qualsiasi buca scavata da un pollo è fuori luogo in un 'aiuola, ma ancora di più lo è quella del pavone, che ha le dimensioni di un piccolo cratere. Quando si strofina nella polvere, quasi si nasconde alla vista nella sabbia. Di solito quando arriviamo di corsa con la scopa puntata, nella nuvola di sporcizia e di fiori che volano, non vediamo che qualche piuma verde e un occhio perlaceo e divertito.
I rapporti tra questi uccelli e mia madre sono stati tesi sin dall'inizio. Fu costretta, da principio, ad alzarsi presto al mattino e a uscire con le cesoie per arrivare alle rose Lady Bankshire e Herbert Hoover prima che qualche pavone se le mangiasse a colazione; adesso ha risolto in parte il suo problema recintando le aiuole con decine di metri di rete metallica alta una sessantina di centimetri. Sostiene che i pavoni non sono abbastanza furbi da saltare oltre un recinto basso. " Se fosse una rete alta", dice, "ci salterebbero sopra e la scavalcherebbero, ma non sono furbi abbastanza da saltare oltre una rete bassa".
Inutile discutere con lei sull'argomento. "Non è una sfida", le dico io; ma ormai lei s'è fatta quest'idea.
Oltre ai fiori, i pavoni mangiano anche la frutta, abitudine che gli ha guadagnato l'avversione di mio zio, il quale, goloso com'è di fichi, ne aveva fatto piantare degli alberi tutt'intorno. "Mandate via quel farabutto da quella pianta di fico!", ruggisce alzandosi dalla sedia al rumore di un ramo che si spezza, e subito qualcuno con una scopa viene spedito agli alberi.
Inoltre si divertono a volare nei fienili e a mangiare le arachidi del raccolto; per questo non si sono di certo accattivati le simpatie del nostro mungitore. E siccome hanno una predilezione per le verdure fresche dell'orto, spesso si sono scontrati anche con sua moglie.
Ai pavoni piace appostarsi sui cancelli o sui pali delle staccionate e lasciar penzolare la coda. Un pavone sul palo di una staccionata è uno spettacolo superbo. Sei o sette su un cancello sono al di là di ogni descrizione; tuttavia al cancello non fanno granché bene: i nostri pali tendono tutti a piegarsi da una parte o dall'altra e i nostri cancelli si aprono tutti diagonalmente.
In breve, qui io sono l'unica persona disposta a sottoscrivere, e non solo con la tolleranza, la presenza dei pavoni. In cambio, sono benedetta dal loro rapido moltiplicarsi. Ho sempre dichiarato che la popolazione ammonta a quaranta individui, ma da un po' di tempo mi pare più saggio non fare un censimento. Prima che li comprassi, mi era stato detto che è difficile allevare i pavoni. Ma, ahimè, non è vero! A maggio la femmina trova un nido in qualche angolo della staccionata e vi depone cinque o sei grosse uova marroncine. In seguito, una volta al giorno, lancia un improvviso iii-ooo-uuu! e sfreccia dal nido come un razzo. Poi per mezz'ora, il collo arruffato e teso in avanti, sfila nei paraggi annunciando le sue intenzioni. Io ascolto con emozioni contrastanti.
Dopo ventotto giorni la femmina esce con cinque o sei pavoncini pigolanti simili a falene. Il maschio li ignora, a meno che uno non gli finisca tra le zampe (allora lo becca in testa fino a farlo allontanare); ma la femmina è una madre attenta e ogni anno sopravvivono parecchi piccoli. Sembra impossibile annientare quelli che durante l'inverno resistono alle malattie e agli animali predatori (falchi, volpi e opossum), se non con la violenza.
Un uomo che vendeva pali per staccionate, un giorno si trattenne da noi e mi disse che una volta nella sua fattoria aveva avuto ottanta pavoni. Lanciò un'occhiata nervosa a due dei miei che si trovavano lì vicino. "In primavera non riuscivamo neppure a riordinare i nostri pensieri", disse. "Appena alzavamo la voce, quelli alzavano la loro, se non prima. I pali delle nostre staccionate erano tutti traballanti. D'estate mangiavano tutti i pomodori dalle piante. L'uva moscatella ha fatto la stessa fine. Mia moglie ha detto che coltivava i fiori per sé e che non aveva nessuna intenzione di farseli mangiare da un pollo, lunghezza della coda a parte. E in autunno perdevano le piume dappertutto e pulire era una faticaccia. A quel tempo la mia vecchia nonna viveva con noi, aveva ottantacinque anni. Una volta ha detto: "O se ne vanno loro o me ne vado io"".
"Chi se n'è andato?", chiesi.
"Ne abbiamo ancora venti nel congelatore", disse lui.
"Ma...", chiesi, lanciando uno sguardo espressivo ai due lì vicino, "... sono buoni?".
"Né più né meno che gli altri polli", rispose, "ma è molto meglio mangiarli che sentirli".


Ho cercato di immaginare che il pavone solitario che vedo davanti a me sia l'unico da me posseduto, ma poi ne arriva un altro e lo raggiunge; una volta via dal tetto, quattro o cinque prorompono di schianto dalla siepe di lagerstroemia; dallo stagno uno lancia un urlo e dal fienile sento il mungitore inveire perché se n'è infilato un altro tra il cibo per le mucche. I miei parenti non fanno che ripetere frasi come: "Bisogna fare qualcosa".
Non mi piace abbandonarmi a pensieri morbosi, ma ci sono volte in cui questioni come il costo della rete metallica e dello Startena, o l'incremento annuo dei pavoni mi corrono senza freno per la testa. Negli ultimi tempi faccio un sogno ricorrente: ho cinque anni e sono un pavone. Un fotografo è stato inviato da New York e per l'occasione è stato apparecchiato un lungo tavolo. Sarà servito un pasto speciale: la sottoscritta. Urlo: "Aiuto! Aiuto!" e mi sveglio. Poi dallo stagno, dal fienile e dagli alberi intorno alla casa sento che inizia quel coro giubilante:

Lii-ooo lii-ooo,
Mii-ooo mii-ooo!
Iii-i-ouu iii-i-ouu!
Iii-i-ouu iii-i-ouu!

Ho intenzione di tener duro e di lasciare che i pavoni si moltiplichino, perché sono sicura che, alla fine, l'ultima parola è dei pavoni.






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