GENTE DI CAMPAGNA

Viktor Veresaev



Era il terzo giorno che durava. La giovane partoriente era supina, con la braccia che giacevano inermi lungo il corpo e delle piccole gocce di sudore sul viso. E ripeteva con una voce mista di strazio e rabbia:
- Madre mia celeste, abbi pietà di me! Madre mia celeste, abbi pietà di me!
Tra gemiti lunghi e discontinui e digrignar di denti.
Per quanto fuori luogo, Zina Kvaskova, la giovane ostetrica, si lasciò scappare un sospiro di sollievo, e il viso le si accese di un tenue rossore. Passò in un'altra stanza dell'izba e disse a un vecchio alto:
- Bisogna andare a chiamare il dottore, e di corsa. Ci può andare qualcuno? La situazione è molto grave.
Il vecchio si agitò:
- Oddioddio! Lei, però, quello che può... Lo fa vero? Egor! Tu attacca il cavallo e fila a tutto spiano.. Signore Dio misericordioso!.. Mettici la paglia, nel carro, e il tappeto del principe, per il signor dottore...
Zina si sedette al tavolo e scrisse a matita su un foglio di notes:

Al dr. Kajzer

Arnol 'd Fëdorovic,
la partoriente ha 120 di pulsazioni e 38 e 2 di febbre le acque si sono aperte da tempo secondo me ci vogliono i ferri venga subito

Z.K.

Egor, il marito della partoriente, si mise il biglietto nel berretto e scappò via. Il carro sfrecciò accanto alle finestre.
Zina uscì sulla loggetta e si sedette sugli scalini. Il sole stava tramontando, e il carro già non si vedeva nella polvere dorata. Dal giardino di quella che era stata la tenuta di un principe giungeva il profumo dei lillà in fiore, e gli usignoli cominciavano timidamente a cinguettare. Il sole giocava con i capelli castani e corti di Zina e sui ricci che le scendevano lungo le guance. Aveva gli occhi molti staccati, il che rendeva un po' strano il suo viso, ma vispi, cosa che invece ne costituiva la bellezza insieme al colorito tenue delle guance. Zina era preoccupata per la partoriente, temeva che il dottore non arrivasse in tempo. In cuor suo, però, era certa del contrario. Zina ne era innamorata, ma nessuno lo sapeva. Al pensiero che di lì a un'ora lui sarebbe entrato, il suo cuore cominciava a battere forte: alto, slanciato, sempre sicuro di sé, mai fuori posto, con le sue braccia forti da atleta. E avrebbe reso salda, sicura e stabile ogni altra cosa.
Anche il vecchio uscì fuori. Aveva labbra arcigne e cattive, ma in quel momento le piegava in un sorriso benevolo. E disse, timido, a Zina:
- Mi raccomando, signorina! Lo voglio un nipotino, io! Se tutto finisce bene le regalo un'oca, ecco, glielo giuro!
- Ma no, ma cosa dice!.. Spero solo che il dottore arrivi in tempo. È un bravissimo dottore, sa! Da sola non ce la fa a partorire, e il bambino potrebbe morire dentro di lei. Il dottore invece prenderà i ferri e salveremo sia la madre che il bambino.
Zina si morse le labbra: forse si era dimostrata troppo certa del buon esito dell'operazione. Il vecchio la guardava attonito.
- I ferri? Cosa? Vuoi cavare fuori il bambino coi ferri?
Zina si ricordò che il dottore le ripeteva sempre di chiamarlo "cucchiaio", il forcipe. Si corresse prontamente:
- No, non si tratta di ferri, ma di un cucchiaio. Lo si appoggia sulla testa dei bambino e si tira con grande cautela. E solo quando la madre non ha abbastanza forza per partorire.
- No, non ve lo do il permesso! - disse deciso il vecchio.
- Ma è necessario, compagno, o morirà. Non ce la fa a partorire da sola!
- Che diavolo dice, signorina! Come si possono infilare dei ferri in una donna viva! Le spappolerà tutte le budella con i suoi ferri!
Uscì anche la vecchia.
- Marfa, hai sentito perché questa signorina ha mandato a chiamare il dottore? Dice che per tirare fuori il bambino bisogna infilare dei ferri dentro Akulina.
- Madonna benedetta, Maria santissima! Cosa dici?
- State a sentire, non sono dei ferri veri e propri!
- L'ha detto lei che erano ferri... Staccherete la testa al bambino, ecco cosa...
- Ma no, uscirà vivo e vegeto!
- E come? Lo tirerete fuori vivo coi ferri? Pensa che sia stupido? No, non ve lo do il permesso!
- Come volete. Allora non c'era motivo di mandare a prendere il dottore. Vi avverto, però: senza l'operazione vostra nuora morirà di sicuro.
- E coi ferri non morirà?
Zina era confusa.
- Non si può essere sicuri, è ovvio, l'operazione è difficile e pericolosa. Ma è la sola cosa che possa salvare vostra nuora; senza operazione morirebbe di sicuro. Ha già perso conoscenza.
Sull'uscio si affacciò l'altra nuora con gli occhi rossi di lacrime.
- Sta morendo. Non ce la fa!
Zina corse dalla partoriente. Aveva perso i sensi, e il battito era diventato ancora più debole. Le fece annusare della canfora. Stette lì un quarto d'ora. Poi, preoccupata, passò nell'altra stanza.
Vi si era raccolta un bel po' di gente. Sulla panca accanto alla finestra c'era un vecchio con le gambe corte che somigliava molto al vecchio alto: era il fratello, il presidente del soviet di zona; aveva una faccia altera, rossa e lucida, e tra i suoi denti si apriva un buco scuro. E c'erano anche degli altri contadini che la fissavano truci.
Zina disse risoluta:
- Decidetevi alla svelta! Quando arriverà il dottore non ci sarà tempo per le discussioni. Non so nemmeno se la troverà ancora in vita. Lo date o no il perrnesso per l'operazione?
Il vecchio alto la guardò, greve.
- Va bene, signorina. Le diamo il permesso! Ma se lei morirà per colpa dei vostri ferri, il dottore non uscirà vivo di qui.
Zina impallidì. Il vecchio se ne accorse e ripeté sinistro:
- Non uscirà vivo!
- Siete impazziti? Cosa credete che gli faccia piacere fare sette verste per arrivare fin qui e perdere una notte di sonno per curare la vostra malata? Che vantaggio pensate che gli venga dall'operazione? Ma voi fate come vi pare, lasciatela morire! Noi vogliamo aiutarvi, e voi invece ci volete fare la pelle! Mille grazie! Non ho altro da fare qui! Me ne vado!
- Aspetta. Mokej! - quello con le gambe corte tirò il vecchio per una manica, lo prese da parte e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio. Il vecchio si girò verso Zina.
- Va bene! Le diamo il permesso! Va bene! Faccia quel che vuole. E se anche muore... Ha il nostro permesso.
Il suo, però, era uno sguardo tremendo, e quelle parole celavano una minaccia.
Zina tornò dalla partoriente. Era scossa da un fremito nervoso. Riversa sull'ampio letto di mogano con le finiture dorate, se ne usciva di tanto in tanto in un gemito debolissimo. Gli angoli delle pareti erano bui. Lontano, nel giardino della tenuta, gli usignoli cinguettavano a squarciagola, assordanti.
Zina aveva fiducia nel dottor Kajzer, una fiducia entusiasta. Ma si immaginava anche che cosa sarebbe potuto succedere se... Già, e se...? Doveva dirglielo? Il cuore le diceva di no. Aveva chiara davanti agli occhi la testa del bambino intrappolata nel corpo della madre, le spinte ormai prive di forza che non riuscivano a farlo uscire, e l'aiuto provvidenziale e straordinario che avrebbero dato loro i ferri. E se invece non avessero potuto farci nulla, se non limitarsi a guardare, impotenti, lavandosene vilmente le mani? Zina ebbe un sussulto d'orgoglio. Non riusciva nemmeno a pensare che Kajzer si sarebbe rifiutato di fare l'operazione per paura del vecchio. E allora perché farlo agitare invano?
Sarebbe arrivato a minuti. Zina tornò nell'altra stanza a vedere se c'era acqua calda. Continuava a entrare gente placida, muta e truce che la scrutava e si accomodava sulla panca.
Tornò dalla partoriente. Dietro di lei la vecchia, che accese il lume a petrolio. Poi si sedette sulla panca vicino alla porta, vi appoggiò il viso e attaccò a sospirare lamentosa, guardando ora Akulina gemente, ora la preoccupata Zina. E non si capiva per chi avesse paura: per la nuora o per il dottore minacciato di morte dagli uomini.
Nel buio che risuonava del canto degli usignoli echeggiò il rumore delle ruote alle finestre. Dalla porta tuonò la voce del dottor Kajzer:
- Dov'è la malata? Per dove si passa?
La vecchia gli aprì la porta tra mille inchini. Kajzer entrò con la sua borsa gialla in mano e disse allegro:
- Salve!.. Allora, lei signora, esca, non ci disturbi...
Poggiò la valigetta sulla panca, si avvicinò alla partoriente, le afferrò il polso e scosse la testa.
- Che c'è? - chiese Zina, atterrita.
- Niente! - rispose lui, pacifico. E prese a tastare meticolosamente sotto la spessa camicia l'enorme pancia della partoriente. Poi si tolse la giacca, e Zina lo aiutò a infilarsi il camice bianco. Lui si rimboccò le maniche sulle belle braccia muscolose.
- Dove mi posso lavare?
Zina lo accompagnò, sollevò la lampada su un grosso lavabo con una tavola incrinata di marmo sporco. Kajzer pestò il pedale, cominciò a lavarsi e a sfregarsi le mani con una spazzolina. Chiese allegro:
- Com'è finito qui questo lavabo?
- È della tenuta del principe. C'è qualcosa in ogni izba.
La porta dell'altra stanza era aperta, e dal lume a petrolio si alzavano nei buio le volute lente di un filo di fuliggine. Dalle panche i contadini taciturni fissavano il dottore. Kajzer aggrottò sorpreso le sopracciglia e guardò Zina.
- Che cosa ci fanno qui? Cos'è, un matrimonio? Non mi pare proprio; direi anzi un funerale...
Zina ebbe un fremito, ma non rispose.
Il dottore visitò la partoriente, si alzò e disse deciso:
- Certo che ci vogliono i ferri! E senza perdere tempo! Li faccia bollire... Perché le tremano le mani? Ahiahiahi, compagna! Bisogna controllarsi!
Nei suoi occhi ardeva la scintilla allegra e sicura che Zina era abituata a vedere prima di un'operazione di grande responsabilità. E si ritrovò a pensare che tutto sarebbe andato per il meglio. Tuttavia le sue braccia sottili da bambina, rimboccate fino ai gomiti, tremarono quando mise la maschera di flanella sul viso della donna e cominciò a farvi gocciolare il cloroformio.
L'operazione non era facile. I muscoli delle braccia nude di Kajzer si arcuavano, ma i ferri erano ancora al proprio posto. Zina guardava il dottore terrorizzata mentre cercava di prendere il polso della partoriente, sempre più debole. Kajzer scosse la testa.
- Nun! Und gehst du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
(e se da solo non vuoi venire, userò la forza!)
Afferrò l'impugnatura lucida del forcipe, affondò la testa tra le spalle, digrignò i denti e i muscoli dell'avambraccio iniziarono a pulsare, come se qualcuno li stesse gonfiando.

Dall'altra parte dell'izba il lume fumava scialbo mentre, oltre le finestre, in giardino, il canto degli usignoli era sempre più assordante. I contadini sedevano in silenzio sulle panche lungo le pareti, in attesa.
Il vecchio alto si alzò lentamente, si avviò in punta di piedi verso la porta, la scostò e sbirciò nell'altra stanza. E vide qualcosa di tremendo. Il letto era al centro dell'izba; sul letto due gambe bianchissime di donna, paffute e piegate, e tra di esse il dottore in camice bianco, con le maniche rimboccate fino ai gomiti sulle braccia muscolose, e in quelle mani delle lucide leve di acciaio che scomparivano tra le gambe divaricate fin nel ventre della donna; il dottore che tirava con tutte le forze, e il viso dell'ostetrica che vegliava pallido e stravolto dalla paura su quel lavoro da dietro la testa di Akulina.
- Ma che fate, maledetti...
Il vecchio avrebbe voluto urlare, battere i piedi e fare irruzione nella stanza. Ma il fratello dalle gambe corte, il presidente del soviet di zona, lo prese per la manica e lo tirò indietro deciso.
- Via di lì, Mokej! Non guardare...
Mokej gli diede uno strattone.
- Ma guarda, guarda cosa stanno facendo!
- Via di lì, t'ho detto! Non guardare! Te lo dico per l'ultima volta: aspetta! La scienza... Com'è che si dice... Può dimostrarsi valida anche solo sul finire. E se succede qualcosa... Ci penseremo noi, non ti preoccupare! Bisogna agire, com'è che si dice, in modo organizzato, e non come viene viene! All'unisono... E se poi...
Riportò indietro il fratello. Il vecchio alto era scuro in viso, rantolava quasi e continuava a rimboccarsi le maniche. Lo fissavano tutti impazienti, ma lui respirava come un cavallo bolso, senza smettere di rimboccarsi le maniche della camicia.
Quando all'improvviso... All'improvviso giunse il pianto ansante e biascicato di un bambino. Il braccio destro del vecchio si irrigidì all'altezza del gomito sinistro. Erano tutti a bocca aperta, con gli occhi sbarrati. Poi si precipitarono tutti insieme nella stanza, col vecchio alto davanti a tutti.
In mezzo c'era Zina col viso sereno ed esultante di gioia, e tra le sue braccia piangeva a dirotto un bambino rosso, con le labbra incurvate. La puerpera respirava piano, pallida, con gli occhi chiusi.
Il dottore, con il camice insanguinato e gli occhi che brillavano allegri, detergeva con l'ovatta il forcipe d'acciaio. Il vecchio alto prese fiato, fece due passi verso il dottore e cadde ai suoi piedi, afferrandogli gli stivali e stringendo la testa al gambale.
Espulsa la placenta e con già i punti, la puerpera si svegliò dal cloroformio. La stanza era piena di gente.
Il dottore, intanto, pigiando rumorosamente il pedale e facendo stridere le leve arrugginite, si lavava nel lavabo di marino. Accanto a lui, Zina scoppiò a piangere di colpo. Si sedette sul lavello, si prese la testa tra le mani e continuò a singhiozzare e a ridere tra i singhiozzi, fissando Kajzer con occhi pieni di un amore sconfinato. Lui, con le mani muscolose insaponate, le disse sorridente:
- Ahiahiahi, compagna! Ma si può essere così nervosi?
Tra le lacrime Zina riuscì a dire:
- Lei non sa. Non sa che cosa poteva succedere!.. Quelli, tutti quelli che erano di là, nell'altra stanza, erano qui per ucciderla. Ho detto loro dei ferri, e quelli:
"Non lo permetteremo mai!". Poi hanno detto: "Va bene, ma se la donna muore, lui non esce vivo di qui!" Che cosa potevo fare, io? Non potevo non chiamarla!
Il dottore si bloccò per un attimo, con le mani insaponate. E scoppiò a ridere:
- Ma certo!...
Poi impallidì, come se avesse capito solo in quel momento che cosa gli sarebbe potuto accadere. Guardò Zina con occhi spenti e velatamente ostili e disse tra sé e sé:
- Quando sono arrivato il cuore non batteva praticamente più...


(Tratto dalla collana Paura, traduzione di Claudia Zonghetti, Voland editrice, Roma, 1996)



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