 
 
                
                 IL DUELLO
 
                  IL DUELLO  
 
                  
                  
                  
                  João Guimarães Rosa
                  
                
                "E 
                  grida il piranha color paglia,
                  arrabbiatissimo:
                  - Ho denti di rasoio, io, e
                  con un salto avanti e indietro
                  risolvo la questione!...
                  - Esagerato... dice la razza - 
                  dormo nella sabbia,
                  col pungiglione in resta
                  e c'è sempre uno sventato
                  che ci s'infilza.
                  - Ma, amici - mormora in gimnoto,
                  tranquillo, ricaricando la sua batteria -
                  non voglio neppure pensarci:
                  se lascio scappare tre pensierini
                  elettrici,
                  qui nell'acqua, nell'acqua tutt'intorno
                  perfino voi due
                  galleggerete morti...
                (Conversazione 
                  a due metri di profondità)
                  
                  
                
                
                Turíbio 
                  Todo, nato sulla riva del Barrachudo, faceva il sellaio di professione, 
                  aveva lunghi peli nel naso e piangeva senza fare smorfie; per 
                  dirla tutta fino in fondo, aveva il gozzo, era un lazzarone, 
                  vendicativo e malvagio. Ma all'inizio di questa storia aveva 
                  ragione.
                  Anzi, i bifolchi lo affermano perentoriamente, ma è ben 
                  vero che in quel caso c'erano diverse attenuanti. Impossibile 
                  negare l'esistenza del gozzo; ma era un gozzo piccolo, discreto, 
                  bilobato e poco mobile - verso l'alto, il basso, ai lati - e 
                  non era quel gozzo scandaloso "gozzo gigante, steso come 
                  la mano del mendicante"... Oltretutto, nessuno nasce gozzuto 
                  né si fa venire il gozzo perché gli pare bello: 
                  deriva dai tentativi della cimiciona dei boschi di diventare 
                  un animale domestico nei tuguri in riva al fiume, dove ci sono, 
                  anch'essi complici, compari della pentatome, armadilli di cinque 
                  specie, più o meno. E un gozzetto così modesto, 
                  incapace di allettare i bisturi di un chirurgo, non imbruttiva 
                  il suo proprietario: Turíbio Todo era perfino simpatico: 
                  costretto a usare colletto e cravatta, a volte sembrava proprio 
                  elegante.
                  Non riponeva però molta fiducia in questi doti, e quindi 
                  era abbastanza misantropo: per questo aveva pensato di fare 
                  il sellaio per poter lavorare in casa ed essere visto di meno. 
                  Ora con la ferrovia e poi quando avevano aperto le due strade 
                  asfaltate, le ordinazioni di briglie e ceste da soma si erano 
                  fatte molto più rare, e Turíbio Todo si ritrovò 
                  di necessità a stare spesso senza fare niente.
                  Ora, per quel che riguarda le vibrisse e il fatto di piangere 
                  senza fare smorfie, può anche darsi che fossero indici 
                  di un certo gusto vendicativo e malvagio, ma con moderazione, 
                  solo quando fosse necessario, senza esagerare. E poi, lo sappiamo 
                  tutti, alla gente di campagna piacciono molto i rapporti di 
                  causa ed effetto, inferiti in modo sconsiderato e dogmatico: 
                  Manuel Timborna, per esempio, da tre o quattr'anni non fa che 
                  discutere con un canottiere del Rio das Velhas, il quale sostiene 
                  che l'alligatore dal gozzo giallo ha il collo color zolfo perché 
                  è più cattivo degli altri alligatori, al che Timborna 
                  oppone che è più feroce solo perché ha 
                  la base del mento color limone maturo e zafferano. E la gente 
                  assennata fa un sacco di fatica a dar ragione a entrambi quando 
                  stanno insieme.
                  Così, dunque: sia come sia in questa storia, almeno all'inizio 
                  - e l'inizio è tutto - Turíbio Todo aveva ragione.
                   Per 
                  lui era stata una giornata storta: era uscito presto per andare 
                  a pesca, e sulla riva del fiume s'era reso conto di aver dimenticato 
                  la sua treccia di tabacco, per cui era stato spolpato vivo dalle 
                  zanzare; aveva dato un calcio a un ceppo, schiacciandosi le 
                  dita del piede destro; aveva perso l'amo grande, impigliato 
                  nel frascame galleggiante; e, ora, se ne veniva sconsolato verso 
                  casa, portando nel cestino appena due tinche. È chiaro 
                  che tutto questo, svoltosi così, in serie, esigeva una 
                  disgrazia maggiore, che non mancò.
Per 
                  lui era stata una giornata storta: era uscito presto per andare 
                  a pesca, e sulla riva del fiume s'era reso conto di aver dimenticato 
                  la sua treccia di tabacco, per cui era stato spolpato vivo dalle 
                  zanzare; aveva dato un calcio a un ceppo, schiacciandosi le 
                  dita del piede destro; aveva perso l'amo grande, impigliato 
                  nel frascame galleggiante; e, ora, se ne veniva sconsolato verso 
                  casa, portando nel cestino appena due tinche. È chiaro 
                  che tutto questo, svoltosi così, in serie, esigeva una 
                  disgrazia maggiore, che non mancò.
                  Ma a questo punto Turíbio Todo doveva lamentarsi solo 
                  del suo non saper vivere; perché aveva avvertito la moglie 
                  che non sarebbe tornato a dormire a casa, poiché aveva 
                  intenzione d'arrivare fino al vivaio delle Quattordici Croci 
                  e dormire a casa del cugino Lucrécio, a Decamão. 
                  Aveva cambiato idea, senza riavvertire la moglie; ben fatto! 
                  La trovò in pieno (scusando la parola, ma la narrazione 
                  è veritiera) in pieno adulterio, nel più dolce, 
                  dedicato, disattento degli idilli fraudolenti.
                  Fortunatamente i colpevoli non si accorsero della sua presenza. 
                  Turíbio normalmente arrivava in casa quasi senza far 
                  rumore; sentì delle voci e sbirciò attraverso 
                  una fessura della porta; con l'aiuto della luce del lumino là 
                  dentro, vide. Ma non fece nulla. E non fece nulla perché 
                  l'altro era Cassiano Gomes, ex caporalmaggiore del 1° plotone 
                  della 2a compagnia del 5° Battaglione di Fanteria delle 
                  Forze Armate, in cui imparavano a maneggiare a suon di musica 
                  lo ZB cecoslovacco e perfino le mitragliatrici pesanti Hotchkiss; 
                  aveva pertanto tutti i requisiti per centrargli una pallottolona 
                  in fronte, anche se vestito in modo succintissimo e fosse pure 
                  a distanza di ducento metri e con il bersaglio in movimento.
                  Turíbio Todo lo sapeva benissimo, così come sapeva 
                  che Cassiano Gomes non si separava mai dalla sua Parabellum, 
                  e pure che lui, Turíbio, al momento non disponeva d'altro 
                  che del suo onore imbrattato e di un coltellino buono per tagliare 
                  il tabacco e scalzare le pulci penetranti.
                  Tuttavia, poiché il buono e autentico bifolco ragiona 
                  tanto meglio e con più calma quanto maggiore è 
                  la sua rabbia, Turíbio Todo si allontanò da lì 
                  in modo ancor più vellutato di come s'era avvicinato, 
                  e andò a sbollire il suo odio al calore bianco di una 
                  pentola d'acqua fredda.
                  E fece bene, perché allora gli successe ciò che 
                  in tali circostanze accade alle creature umane a 19° di 
                  latitudine sud e a 44° di longitudine ovest: mezza dozzina 
                  di passi e tutto il malumore si dissolveva in uno stato di sollievo, 
                  perfino di soddisfazione. Respirava a fondo e la testa gli lavorava 
                  di gusto, tremando accurati piani di vendetta.
                  Così il giorno dopo tornò a casa, fu gentilissimo 
                  con la moglie, fece ferrare il cavallo, pulì le armi, 
                  preparò la sacca, parlò vagamente di una partita 
                  di caccia ai paca, rise molto, si agitò molto e andò 
                  a dormire molto prima del solito. E questo fu il mercoledì. 
                  Il giovedì mattina...
                  ... Alte sono le montagne di Transmantiqueira, belli i suoi 
                  fiumi, calme le sue valli; e buona la sua gente... Ma gli uomini 
                  sono uomini; e la pazienza conduce a girare a vuoto, a metà 
                  maggio come a fine agosto. Ci sono pistole che sparano da sole. 
                  Ed è molto facile rimediare una croce per una sepoltura 
                  lungo la strada, perché il banano selvatico ha rami orizzontali, 
                  ed angolo retto con il tronco, simmetrici, da parte a parte, 
                  e basta tagliarli tutti meno due. E... che? L'armadillo sdentato 
                  non disseppellisce i morti? Certo che no. Chi svuota le tombe 
                  è l'armadillo dalla coda morbida. L'altro che se ne farebbe, 
                  visto che sta già sottoterra in belle sinuose gallerie? 
                  Mangia tutto là e poi trascina lontano gli scheletri, 
                  mentre prolunga i suoi cunicole storti da accurato zappatore.
                  Bene, il giovedì mattina Turíbio Todo decise che 
                  i preparativi erano sufficienti e andò a fare un'imboscata 
                  a casa di Cassiano Gomes. Lo vide alla finestra, che dava le 
                  spalle alla strada. Turíbio non era un cattivo tiratore: 
                  lo colpì giusto alla nuca. E corse a casa, dove il cavallo 
                  lo aspettava al palo, sellato, pasciuto e bello riposato.
                  Neppure per un momento gli passò per la testa l'idea 
                  di massacrare la moglie (donna Silivana aveva begli occhi grandi, 
                  di capra attonita) perché era un cavaliere, incapace 
                  di maltrattare una signora, e perché basta e avanza il 
                  sangue di una creatura per lavare, sciacquare e asciugare l'onore 
                  più esigente.
                  Ora doveva andarsene e passare un po' di tempo lontano, e così 
                  tutto si sarebbe rimesso a posto, logico e sicuro, condotto 
                  in modo pulito proprio come tanti altri casi locali.
                  Ma... Ci fu un piccolo sbaglio, un contrattempo dell'ultima 
                  ora, che coinvolse due brave persone pacatissime e pacifiche 
                  in un gioco demoniaco, in una complicazione senza fine: Turíbio 
                  Todo ingannato da una grande somiglianza e mirando a un avversario 
                  di schiena, aveva eliminato non Cassiano Gomes, bensì 
                  Levindo Gomes, fratello dell'altro, che non era mitragliatore, 
                  né ex soldato né niente, e che, è bene 
                  dirlo, odiava andare a sfruculiare le mogli altrui. Turíbio 
                  Todo seppe dell'errore mentre infilava il piede nella staffa... 
                  - Uhi!... Al galoppo sfrenato, invece che al passo!... - pensò. 
                  E batté di speroni e sfrecciò via, scagliando 
                  di lato la ghiaia e sollevando un polverone.
                  Cassiano Gomes seguì al cimitero il corpo del fratello, 
                  sparse il primo pugno di terra e ricevette con molta compostezza, 
                  triste e grato, le condoglianze del caso. Poi tornò a 
                  casa, sbarrò molto bene porte e finestre - per fortuna 
                  era scapolo - e uscì, con la sua mantellina verde dell'esercito, 
                  il Winchester, il parabellum e altre cosucce necessarie, per 
                  cercare dietro alla chiesa Exaltino, che vendeva animali di 
                  sella.
                  Comprò una mula melata; ma prima esaminò bene 
                  la dentatura, per vederne l'età; ci fece un giretto, 
                  ebbe a ridire sul passo e chiese uno sconto sul prezzo. Concluso 
                  l'affare, con i finimenti e tutto il resto, Cassiano fece dare 
                  mais e sale alla mula; la strigliarono, la lavarono e me misero 
                  i ferri nuovi.
                  Quando era già pronto e stava legando la mantellina alle 
                  cinghie della sella, riuscì a sentire Exaltino che diceva 
                  piano a Clodino Preto:
                  - È morto, Turíbio Todo è morto e sepolto!... 
                  Questo è l'ultimo pasticcio che quel gozzuto ci combina...
                  Cassiano pensò, fumò, immaginò, trottò, 
                  meditò e, solo a due leghe dal paese, sulla grande strada 
                  che conduce a nord, giunse a una conclusione: Turíbio 
                  Todo aveva dei parenti a Piedade do Bagre, o poco lontano... 
                  Era corso là, senza esitare, ancora atterrito per il 
                  qui pro quo commesso. Non era possibile che fosse andato in 
                  un'altra direzione e certamente era partito a rotta di collo, 
                  galoppando come un'anima dannata. Quando fosse arrivato a Piedade 
                  - più in là non c'erano terre che un cristiano 
                  potesse prendere in considerazione - riposato, con i suoi, gli 
                  si sarebbe rinvigorita la furia e sarebbe tornato indietro.
                  Ne era molto sicuro:
                  - Va come un cervo inseguito, ma torna come un giaguaro... A 
                  metà strada c'imbattiamo l'uno nell'altro, e chi è 
                  più forte avrà ragione...
                  Quindi non c'era bisogno di fare in fretta, poteva andare al 
                  trotto, senza sfiancare la mula. E, solo per non lasciare che 
                  si esaurisse la sua scorta d'odio, si metteva a pensare a cose 
                  piacevoli, e si rilassava per cacciare jaó nei boschi 
                  e, nella campagna, quaglie e colombi domenicani.
                  Comunque, poiché sapeva che le notizie arrivano sempre 
                  prima della gente perbene, gli sembrava ragionevole dare una 
                  mano alle cose: bastava che s'incrociasse con un manipolo di 
                  mulattieri che menavano una mandria, o raggiungesse uno zappatore 
                  che andava al potere, marra in spalla, che Cassiano si fermava 
                  attaccando discorso e parlando del nemico con i peggiori improperi:
                  - Conosce Turíbio Todo, il sellaio, quello col gozzo?... 
                  Perché è un... (Qui, supposte condizioni di bastardigia 
                  e indecorosi riferimenti alla genitrice.)
                  Ma becco chiusissimo quanto ai suoi piani: nessuna minaccia, 
                  solo insulti.
                  E Cassiano Gomes aveva colto nel segno, almeno in parte. Turíbio 
                  Todo era davvero andato a Piedade do Bagre, proprio come un 
                  cervo inseguito dal latrato di dieci cani da caccia, più 
                  la buccina del battitore; e gli era bastato un giorno di riposo 
                  per capire che si era infilato in un vicolo cieco, perché 
                  quel villaggio era la porta del sertão.
                  Ma non tornò sui suoi passi come un giaguaro in agonia: 
                  trasbordò dal ronzino sfiancato - più giumento 
                  che cavallo - su un sauro balzano a quattro, con gli occhiali, 
                  e fece la mossa di venire e non venne, come una volpe. Inclinò 
                  la sua rotta verso nord-nordest, dirigendosi verso le alture 
                  del Morro do Guará e del Morro da Garça, e allora 
                  successe quello che Cassiano non aveva saputo prevedere, rovinando 
                  il suo piano e mandando a monte quella partita.
                  - C'è tempo... - disse. E continuò la sua battuta 
                  di caccia, confidando a quel punto solo nell'ispirazione del 
                  momento, perché il mazzo era stato mescolato e ora entrambi 
                  avevano altre carte da giocare.
                  Però, considerando che la situazione s'era complicata, 
                  l'essenziale era vagolare nell'ombra, per cogliere l'altro alla 
                  sprovvista, di sorpresa; e per far questo agguattarsi, perché: 
                  - Non lo vedi? Chi sta alla luce è visto per primo e 
                  si becca la pallottola che gli spara chi sta al buio!...
                  Fuggendo, Turíbio Todo apparentemente si trovava in svantaggio. 
                  Ma Cassiano si fidava poco, perché in qualsiasi momento 
                  la preda avrebbe potuto rivoltarsi, furiosa; e deriva da questo 
                  il fatto che a volte è gioco far da presa, e chi dice 
                  il contrario non ha ragione.
                  E così, pensandola in questo modo lodevole, cominciò 
                  a viaggiare prevalentemente di notte, attraversando boschi, 
                  evitando la strada maestra, facendo grandi giri e dormendo di 
                  giorno in luoghi impossibili. Bastava che abbassasse un poco 
                  la guardia o che corresse qualche minimo rischio, che smettesse 
                  di andare a grandi cerchi e di passare per sentieri impervi, 
                  che decidesse di dormire con entrambi gli occhi chiusi o di 
                  preannunciare l'itinerario che avrebbe seguito, perché 
                  da un momento all'altro - nessuno tende agguati bene come un 
                  gozzuto, lo dicono tutti - Cassiano Gomes fosse risvegliato 
                  da un proiettile o da una coltellata, e questo ammettendo che 
                  l'altro avesse la bontà di svegliarlo.
                  Ora, quando s'imbatteva in qualche contadino o viandante, sondava 
                  il terreno con chiacchiere astute, senza fargli sapere chi fosse; 
                  sì, perché era già passato il momento di 
                  seminare voci, e bisognava aprire bene le orecchie e raccogliere 
                  notizie sul gozzuto, che doveva tornare indietro per potergli 
                  sparare.
                  E così, visto che Turíbio Todo era forse ancor 
                  più schivo e inafferrabile, per due mesi le informazioni 
                  furono indefinite e incerte, e non si seppe mai bene per dove 
                  passarono i due nemici o quali posti evitarono.
                  Ma un giorno Cassiano, arrivando a Traíras, sentì 
                  dire che l'altro stava a Vista Alegre, dov'era andato per nostalgia 
                  della moglie, a cui era molto affezionato. Cassiano Gomes trasse 
                  le sue deduzioni e proseguì lungo il fiume Guaicuí, 
                  sempre costeggiandolo per lasciarlo solo in un bel posto - con 
                  gallinelle d'acqua che covavano nelle aie e una laguna al centro 
                  del villaggio - chiamato Jequitibá; e nel frattempo 
                  Turíbio Todo, un po' più a nord, irrompeva trionfalmente 
                  a Santo Antonio da Canoa, dove, tronfio e pieno di sé, 
                  osò perfino assistere alle feste del Rosario, con teatrino 
                  e asta pubblica.
                  Sputando bili, Cassiano cambiò direzione, rovistando 
                  l'intrico del sottobosco, battendo sentieri erbosi, aprendosi 
                  un passaggio nel filo spinato delle recinzioni dei pascoli, 
                  per cadere senza preavviso in mezzo a villaggi tranquilli incuneati 
                  fra le montagne. Ma i volontari del servizio informazioni erano 
                  pessimi e, vicino al Saco dos Cochos, loro due s'incrociarono, 
                  passando a meno di un chilometro l'uno dell'altro, pronti alla 
                  guerra e assetati di vendetta.
                  Cassiano Gomes, che aveva appena ventotto anni e dunque era 
                  più fine stratega, avanzava a salterello, ora con ritirate 
                  stravaganti, ora in attese bizzarre, sempre ricamando spirali 
                  attorno all'asse della strada maestra. Ma Turíbio Todo, 
                  che era più vecchio, sfruttava ovviamente la tattica 
                  migliore, e avanzava e indietreggiava a zig zag, come il volo 
                  di una farfalla, o meglio di una falena, perché anche 
                  lui era diventato nottambulo; e inoltre aveva un magnifico vantaggio, 
                  perché era inseguito su un terreno che conosceva come 
                  il palmo della mano.
                  E così continuarono, tracciando linee frettolose in tutte 
                  le direzioni per un raggio di dieci leghe nella Mesopotamia 
                  che va dalla valle del Rio das Velhas - lento, vago, mutevole, 
                  nostalgico, sempre fresco, ora stretto, ora largo, di acqua 
                  rossa, con banchi di sabbia, isole frondose di bosco, fiume 
                  quasi umano, fino al Paraopeba, ampio, armonioso, impassibile, 
                  sugoso, senza argini, senza sponde, con spiagge lucide di mica 
                  e acque profonde che non offrono mai un grado.
                  E nessuno dei due era capace di passare per gallerie sotterranee 
                  e di dormire due notti consecutive nello stesso rifugio, né 
                  di attraversare una pianura aperta sotto la vista delle colline; 
                  e se si fossero fermati e avessero pensato a come era cominciata 
                  la storia, forse ciascuno di loro avrebbe pagato molto per tirarsi 
                  fuori da quel ginepraio, ma questo non era più credibile 
                  né tanto meno possibile.
                  Quando Cassiano oltrepassò i monti del Ginete, scendendo 
                  verso il Cuba, s'imbatté in un mendicante giramondo, 
                  con gambe enormi per l'elefantiasi, che portava per voto sulle 
                  spalle la pesante immagine di un santo ormai non più 
                  identificabile; e quel vagabondo bizzarro gli fornì una 
                  pista: anche il gozzuto aveva cambiato rotta e stava seguendo 
                  il percorso del sole. Gli andò dietro. Ma arrivato a 
                  São Sebastião pianse d'odio: incrociò un 
                  ladro di cavalli che risaliva con l'ultimo branco, perché 
                  aveva già guadagnato molto e tornava al suo paese per 
                  rifarsi una vita onesta, il quale annunciò che Turíbio 
                  Todo era lontano, un'altra volta oltre il Rio das Velhas, a 
                  Moroso o a Baldim.
                  Allora Cassiano cambiò cavalcatura per la seconda volta 
                  e comprò un roano della criniera nerastra, perché 
                  il suo baio balzano aveva sei ferite sulla groppa e le sue gavigne 
                  erano infiammate a sangue, quel baio che aveva scambiato con 
                  la mula melata, a cui a sua volta si erano consumati tutti e 
                  quattro gli zoccoli.
                  Anche Turíbio Todo a questo punto era alla quarta o quinta 
                  cavalcatura, e fu allora che ebbe l'audacia di passare per il 
                  suo paese, perché aveva nostalgia della moglie, donna 
                  Silivana - proprio quella che aveva begli occhi grandi di capra 
                  attonita - con cui stette una notte e al momento di separarsi 
                  rivelò, sotto giuramento, il suo stratagemma finale.
                  La donna gli aveva suggerito:
                  - Perché non te ne vai lontano, molto lontano, aspettando 
                  che a quello gli passi la rabbia?... (Donna Silivana aveva saggi 
                  disegni nella testolina...)
                  - Macché!... Se ti dico una cosa, mi giuri che non la 
                  racconti a nessuno?...
                  - Sui miei occhi, lo giuro!... Non ti fidi più neanche 
                  di me?!
                  - Allora, senti: io, se si eccettua il gozzo, ho molta salute, 
                  grazie a Dio... Ma quello lì... Correndo così 
                  per queste macchie, voglio proprio vedere come va a finire! 
                  Cambia il cavallo, cambia, cambia, peggio d'uno zingaro, ma 
                  non può cambiarsi il cuore, che non ce la fa! Basta aspettare 
                  un pochino e agitare un panno rosso sotto il naso del toro... 
                  Eh, che bue selvaggio!... Non ho il cane, ma caccio appostato, 
                  e sto aspettando un cornuto!...
                  Ascoltandolo, donna Silivana cominciò a star male, sentì 
                  un brivido dentro, perché Cassiano Gomes non s'era dimesso 
                  dalla polizia senza motivo, ma era stato congedato dalla commissione 
                  medica; e nonostante il suo aspetto aitante, il cuore non gli 
                  funzionava molto bene.
                  Turíbio Todo sferrò il cavallo e comprò 
                  degli altri ferri, con cui fece finta di far ferrare la bestia 
                  - manovra questa per far sì che l'altro, se fosse stato 
                  il caso, informato male, perdesse le sue tracce; montò 
                  e si diresse verso Lages, dove un fazendeiro gli esibì, 
                  già grasso e ristabilito dalle marce forzate, quel baio 
                  balzano che era stato il secondo animale usato da Cassiano. 
                  Lì non seppe resistere: lo comprò, pagando senza 
                  battere ciglio una volta e mezzo il suo prezzo; e partì 
                  verso Tabocas, giubilante, torcendosi dalle risa:
                  - Un buon cavallino, il cavallino di un defunto... Ricevo l'eredità 
                  in anticipo, ma il bello verrà dopo!...
                  E girandosi sulla sella, insultò l'invisibile simulacro 
                  del nemico:
                  - Tienti l'anima con i denti, maledetto!
                  Cassiano presto conobbe le intenzioni del sellaio, che donna 
                  Silivana gli trasmise nel modo in cui, in campagna, una bocca 
                  ben disposta fa le veci delle radiocomunicazioni.
                  In una bella pianura fra Maquiné e Riacho Fundo, fuori 
                  dalla rotta di chi va a cavallo, un mandriano che conduceva 
                  dei buoi che erano fuggiti fu il primo ad annunciargliele:
                  - ... e Turíbio vuol farvi morire di mal di cuore, don 
                  Cassiano. Non vale la pena di dargli questa soddisfazione, no 
                  davvero!
                  Cassiano Gomes si accigliò, e ci pensò, ma rispose:
                  - Sciocchezze! Se era così, non faceva la stupidaggine 
                  di andarlo a raccontare in giro... Lui spera, questo sì, 
                  che io abbandoni per paura di ammalarmi...
                  E sorrise di un sorriso bilioso, di rabbia congelata, riposandosi 
                  su una delle staffe, girandosi con le redini sciolte, mentre 
                  scrutava la linea lontana delle montagne per vedere se veniva 
                  a piovere.
                  Ma poiché Turíbio Todo aveva detto la verità 
                  in modo che l'altro pensasse a una trappola, Cassiano Gomes 
                  s'ingannò una volta di più.
                  Continuò il lungo duello, e così erano già 
                  cinque mesi, o cinque e mezzo, che quell'inseguimento andava 
                  avanti, monotono, senza giungere a una conclusione.
                  Finché a un certo punto cambiarono tattica, e a poca 
                  distanza l'uno dall'altro - Turíbio Todo in testa - partirono 
                  dal Rio das Velhas verso ovest. Forse senza nessun motivo, o 
                  perché al sellaio sembrò opportuno imitare ancor 
                  di più l'altro, o perché l'altro, che aveva smesso 
                  di bere per avere le idee più chiare, in quel periodo 
                  aveva ricominciato a farlo.
                  E quando Turíbio Todo disegnò un arco da Aruá 
                  a Cedro, Cassiano Gomes stava giusto arrivando in linea retta, 
                  a tutta velocità, e il giorno dopo e il giorno prima 
                  gli toccò la traiettoria in tangente in ritardo e quella 
                  in secante in anticipo. Dopo viaggiarono quasi di conserva, 
                  perfettamente paralleli, e sentirono entrambi che stava arrivando 
                  il momento della verità e la fine di tante scocciature.
                  Finché all'improvviso le due parallele vennero a convergere 
                  sul ponte della chiatta su cui un traghettatore trasportava 
                  animali e persone a quattrocento réis a capo, e nel punto 
                  in cui ruzzolava, sporco e senza ombre, mugghiando nel deserto, 
                  il Paraopeba - il fiume giallo dall'acqua tranquilla.
                  Cassiano, che aveva raccolto notizie ben retribuite, e ora sapeva 
                  che stava alitando sul collo di Turíbio, arrivò 
                  sulla riva del fiume alla fine del pomeriggio.
                  - E se quel dannato bastardo ha già attraversato il fiume?
                  Andrò dritto alla tettoia, dove c'erano solamente, una 
                  accanto all'altra a formare un paravento, due dozzine di pelli 
                  di bue. Pistola in pugno, le sollevò una a una. Si voltò 
                  all'improvviso, violento, pronto a sparare.
                  Ma era solo un ragazzetto magrolino, che succhiava un pezzo 
                  di canna da zucchero lungo come un bambù.
                  - Hai visto se è passato di qui un tizio, bianco, col 
                  gozzo, su un cavallo leardo colle zampe nere? Sai se è 
                  andato sull'altra sponda?
                  - Gnornò. Questo tipo io non l'ho visto, no.
                  - Che fine ha fatto il barcaiolo, allora?
                  - È mio padre, sì, signore... È andato 
                  a prendere lo zucchero a Coanxa... Domattina presto sarà 
                  di nuovo qui...
                  - Be', allora vattene e stai bene attento a quello che succede 
                  sulla riva del fiume... Ma non dire a nessuno che mi hai visto, 
                  capito!?... Se quel tale arriva, corri a dirmelo, che ti do 
                  dei soldi, quello che vuoi...
                  E Cassiano tolse i finimenti al cavallo e lo lasciò al 
                  pascolo, con una lunga fune, dietro alla fitta macchia di ortica 
                  dove c'era un praticello di erba bassa e tenera. Poi si nascose 
                  sotto una delle pelli, perché Turíbio Todo doveva 
                  per forza passare di lì, forse per traversare il fiume, 
                  ed era stata una gran fortuna, d'essere arrivato per primo.
                  Quando fu completamente buio, uscì quatto quatto dal 
                  suo nascondiglio con la pistola in mano. Grilli cantavano, civette 
                  ridevano e, in fondo alla notte freschissima, un cane abbaiò.
                  Cassiano scorse un falò a meno di trecento metri a valle. 
                  Si gettò a terra, come ai tempi in cui era soldato - 
                  aspettando che la sagoma del gozzuto si delineasse alla luce 
                  delle fiamme per poter schiacciare il grilletto. Ma fu dall'altro 
                  lato, dietro a lui, che scoppiettarono spari, dal canneto; e 
                  le pallottole gli fischiarono rasente alla testa.
                  - Ti dimentichi le precauzioni! - pensò con rabbia Cassiano, 
                  spegnendo la sigaretta, perché era stata la piccola brace 
                  rossa a trasformarlo in bersaglio.
                  A quel punto però anche dalla parte della strada, dove 
                  la chioma del tiglio nereggiava come un tapiro accovacciato, 
                  partirono altri spari.
                  Cassiano strisciò rinculando e in tre mosse successive 
                  oltrepassò la spianata fra la festuca e l'altea, fra 
                  l'altea e la tettoia, e fra la tettoia e la grassa palma di 
                  cocco della quaresima. Si accovacciò, coperto dalle foglie, 
                  e scrutò nel buio cercando di cogliere una figura o un 
                  volto in movimento.
                  Ma che succedeva?... Il tiratore da oltre il fiume, dal canetto, 
                  e l'altro, dalla strada, da dietro al tiglio, ora si sparavano 
                  fra loro? Ciascuno ora se la doveva vedere contro due?
                  Poco dopo, comunque, la sparatoria finì.
                  Ma Cassiano non dormì neppure un momenti per tutta la 
                  notte. Galli cantarono, esattamente all'ora in cui canta il 
                  gallo. Per il resto la vegetazione dormiva, taciturna e senza 
                  allarmi. Il fiume era un lungo lamento. Dalle stelle cadeva 
                  un freddo che schiacciava la schiena. E con il passare delle 
                  ore aumentava il profumo di foglie bagnate. Poi arrivò 
                  il mattino, insieme agli uccellini. L'alba stava irrompendo. 
                  E un tizio dalle spalle larghe apparve in piedi davanti al bivacco. 
                  Era armato di una falce, e ringhiò:
                  - Che fine ha fatto il tuo amico, quello col gozzo?
                  - Sono solo, come potete ben vedere...
                  - Non vedo proprio nulla!
                  E l'omone si appoggiò a uno dei pali della tettoia, proteggendosi 
                  contro una possibile aggressione alle spalle. Ritrasse il braccio 
                  con la falce, e insistette:
                  - Quanto vi ha pagato Elias il rosso, a voi due, per farla finita 
                  con me? Eh?!
                  - Non t'avvicinare, amico, così va bene!
                  Guardandolo negli occhi, Cassiano contrasse i muscoli della 
                  pancia; e il corpo gli oscillava di un nonnulla, leggerissimo, 
                  come legato a un filo, ondeggiando al soffio del vento. Allora 
                  gli giunse, da lì davanti, il lieve rumore, il tenue 
                  e costante gemito delle pelli di bue.
                  Nessuno dei due osava distogliere lo sguardo, fisso negli occhi 
                  dell'altro, entrambi aspettando lo slancio dell'assalto per 
                  il selvaggio corpo a corpo. Ma subito Cassiano comprese l'equivoco 
                  e gridò:
                  - Facciamola finita con queste scemenze! Sta sognando? Non c'entro 
                  nulla con questa storia, non conosco questo Elias il rosso, 
                  non ho niente a che vedere con lei!... Io sto inseguendo quel 
                  tipo col gozzo, a causa di una questione nostra, e lei mi sta 
                  facendo perdere tempo...
                  Il gigante, senza abbandonare la posizione di guardia, avvicinò 
                  le sopracciglia per pensare e abbassò la falce.
                  - Non so... Non so... E se non è vero?
                  Al che Cassiano si rese conto che lo doveva convincere rapidamente, 
                  altrimenti ci sarebbe stata la lotta bestiale, dando a Turíbio, 
                  che di certo stava ronzando attorno alla tettoia, l'opportunità 
                  di arrivare bello fresco come ultimo ospite. Disse perciò, 
                  furioso:
                  - Sono il soldato Cassiano Gomes, di Vista Alegre, capito?
                  - Hum hm! mmmm!... - fece l'uomo, lasciando cadere la mascella 
                  e agitando la testa come a dire di sì. E per lui s'era 
                  tutto chiarito:... aveva sentito parlare di quella lite, come 
                  no... Anzi, chiedeva sempre ai viandanti diretti a ovest se 
                  uno dei due aveva già fatto scopa... Che stupido! Li 
                  aveva presi per pistoleri di Elias il rosso, di São Sebastião, 
                  nemico suo... Ma erano apparsi così di soppiatto, nascondendosi... 
                  Ed Elias il rosso diceva sempre che avrebbe benedetto l'acqua 
                  del fiume con il suo sangue...
                  Si avvicinò subito a Cassiano, gli occhi che sprizzavano 
                  un'avida curiosità. Era il traghettatore. Gli si accovacciò 
                  tranquillamente davanti, mise per terra la falce e prese dalla 
                  tasca il tabacco e tutto il necessario per fumare. Cassiano 
                  dovette raccontargli la storia fin dall'inizio, mentre il barcaiolo 
                  accennava con la testa in segno d'approvazione e faceva altre 
                  domande, sbuffando gloriosi cirri di fumo.
                  Ma Cassiano aveva smania di acchiappare l'assassino, che sicuramente 
                  non era lontano. E il traghettatore, sapendo che doveva mantenersi 
                  neutrale, lo lasciò perlustrare inutilmente fino all'ora 
                  di pranzo. Turíbio Todo non comparve.
                  - Di certo ha avuto paura, per via degli spari... Ho sprecato 
                  molto piombo...
                  - Sì... Continuando così non combino un fico secco, 
                  e mi distruggo per nulla. È meglio che me ne torni a 
                  casa e lasci passare un po' di tempo, finché non si sente 
                  tranquillo e comincia ad abbassare la guardia...
                  Cassiano Gomes stava ingannando se stesso, perché in 
                  realtà all'improvviso si sentiva stanco, perché 
                  un uomo è un uomo e non è di ferro, e il suo difetto 
                  cardiaco cominciava a farsi sentire.
                  Chico il barcaiolo lo vide montare e partire a un ambio che 
                  il roano raspava mollemente, da quadrupede giramondo che da 
                  molto aveva perso ogni illusione.
                  Chico il barcaiolo non aveva espresso alcuna opinione e andò 
                  a pescare. Ma aveva appena fermato la canoa e gettato l'amo, 
                  in mezzo al fiume, quando dalla riva qualcuno si mise a gridare 
                  gesticolando. Non c'erano dubbi - era il gozzuto.
                  Chico il barcaiolo tirò su la lenza, diede qualche robusto 
                  colpo di pagaia e si diresse lemme lemme verso la riva.
                  Turíbio Todo, moderatamente ansioso, volle cominciare 
                  a dare spiegazioni sulla storia degli spari e il resto. Ma Chico, 
                  guardandolo in malo modo, gli fece cenno di salire sulla chiatta 
                  e spinse dentro il baio, che resisteva a zampe unite, pronto 
                  a impennarsi. Poi il traghettatore sciolse la catena, diede 
                  uno strappo con la pertica e la chiatta - quattro canoe dalla 
                  prua squadrata legate insieme, coperte da assi di legno e fornite 
                  di un basso parapetto senza cancelletto - ondeggiò e 
                  avanzò.
                  Turíbio Todo si sedette e rimase a controllare i movimenti 
                  dell'altro con la coda dell'occhio, sospettosissimo. Nessuno 
                  dei due parlò. Fiotti d'acqua colpivano delicatamente 
                  la carena della chiatta; l'anello là sopra strideva lungo 
                  il cavo; e la corrente sbatacchiava a monte.
                  I due uomini e il cavallo rimasero tranquilli. Ma proprio a 
                  metà del fiume il barcaiolo accigliato cominciò 
                  a fissarlo insistentemente. Turíbio, di profilo, abbassava 
                  gli occhi. E allora l'altro non ce la fece più a trattenersi:
                  - Siete una persona che non vale nulla, senza spina dorsale, 
                  senza carattere! Un vero uomo tornerebbe indietro...
                  - Io?... Sono un uomo pacifico, padre di famiglia, signor mio!... 
                  Vi sbagliate...
                  - Lo so... Scappate, vi nascondete... Mi fa schifo vedere uno 
                  svergognato come voi che m'insudicia la chiatta!
                  E sputò nell'acqua, scatarrando fragorosamente.
                  Turíbio Todo si accigliò, strinse i denti, con 
                  gli occhi che lampeggiavano di rabbia. Il barcaiolo però 
                  impugnava la lunga pertica. Anche su terra ferma sarebbe stato 
                  pericoloso affrontarlo, ma lì - e senza saper nuotare 
                  bene - no, no , assolutamente! Protestò solo:
                  - Io non vi ho offeso, signor canottiere! Ognuno sa gli affari 
                  suoi!... Vi state mettendo contro di me, eh?!
                  - Va bene, va bene... Ah, Dio me ne scampi. Se fosse... - Chico 
                  il barcaiolo dovette rispondere lentamente.
                  E gettò la testa all'indietro per grattarsi il pomo d'Adamo; 
                  si aggiustò il colletto della camicia; controllò 
                  rapidamente il cavo; spinse con il piede un rotolo di corda; 
                  e poi rimase a sbirciare Turíbio, senza sapere cos'altro 
                  aggiustare. Finché non passò un'anatra muta, volando 
                  in viaggio: collo proteso, zampe unite, planando ora su un'ala, 
                  ora sull'altra; deviò dalla rotta della chiatta con una 
                  manovra della coda, scese ancora, si allontanò, batté 
                  tre volte le ali e si posò sulle tavole della sponda 
                  sinistra.
                  - Guardate lì! Questa viene da lontano... È qui 
                  di passaggio. Quelle che vengono da vicino si fermano quando 
                  arrivano sul lato paludoso del fiume. Ma l'anatra muta migratrice, 
                  questa non si ferma: sorvola l'intero fiume e scende e si riposa 
                  solo sull'altra riva... È curioso! Fanno così, 
                  credo, per poter capire meglio dove sono...
                  Tranquillo. Ma Turíbio Todo non gli rispose. E il traghettatore 
                  continuò:
                  - Conosco le loro abitudini. Conosco queste piccole mandrie 
                  volanti! Vivono qua e là, come zingari, viaggiano sempre... 
                  A volte passano a stormi, tutti ordinati in fila per cinque... 
                  come per non farsi disperdere dal vento... E arrivano in certi 
                  periodi, è tutto già organizzato...
                  Turíbio fingeva di non vedere il sorriso di buona volontà 
                  che l'altro gli offriva. La corrente crepitava, cercando di 
                  farsi onda, e batteva contro le sponde. Il fiume aperto profumava 
                  di pioggia recente. E la chiatta odorava di catrame e olio buono.
                  - Ci sono i paturí... Ci sono le anitre dalla gola rossa... 
                  C'è il germano reale con il suo becco grande, e quell'altro 
                  azzurro, e uno dai mille colori... C'è l'alzavola, che 
                  fischia... Ci sono le marzaiole... Ci sono gli aironi. Tanti!... 
                  Ma non sono tutti i tipi di pennuti che volano sul fiume, nossignore: 
                  di sparvieri, ne passano solo di quelli grandi, con il ciuffo, 
                  sembrano aquile e vengono sempre dal sertão... E non 
                  tornano mai, sembra che gli altri li ammazzino, là... 
                  Io qui non ammazzo nessun uccello, mai. Passano anche i nibbi, 
                  ma solo quando stanno inseguendo qualche uccellino...
                  ...A volte fanno pena quando c'è la siccità e 
                  arrivano certi anatroccoli stanchi, che senz'altro vengono da 
                  troppo lontano... Così per sbaglio pensano che questo 
                  sia il São Francisco, che ha lagune sulle sponde... Pensano 
                  di fermarsi sulle canne di bambù... Si vede che non ce 
                  la fanno più, ma che non possono fermarsi: continuano 
                  a sbattere le ali, sembra che qualcuno glielo ordini, chiamandoli, 
                  svuotandoli, da lontano, senza riposo... Secondo me molti cadono 
                  morti... Non vi sembrano cose strane, eh, amico?
                  - Sì.
                  Il cavallo diede una zampata al parapetto. Chico il barcaiolo 
                  insistette:
                  - Bell'animale, il vostro. È di carriera? Tiene un buon 
                  passo?
                  - Sì... Sì... - borbottò Turíbio.
                  E rimase ancor più serio, a braccia conserte, occhi quasi 
                  chiusi, godendosi la superiorità ottenuta così 
                  facilmente, così assoluta e pomposa che non alzava la 
                  testa solo perché a chi ha il gozzo non piace farlo; 
                  ma si sentiva con la coscienza in pace, perfettamente tranquilla.
                  La terraferma si avvicinava. Si affiancarono alla banchina. 
                  Turíbio pagò.
                  - Va con Dio!... - gli augurò ancora il traghettatore.
                  - Amen!... - rispose Turíbio, già di schiena, 
                  montando a cavallo. E partì.
                  Poco dopo stava risalendo la strada in vista dell'altopiano 
                  aperto, dove stormi di gru dalle lunghe gambe correvano gridando. 
                  Ma da lì Turíbio Todo cominciò a vedere 
                  posti che non conosceva. Pianure scure, senza alberi... Burití 
                  da Estrada... Terra rossa, "Carne di vacca"... Pompeu... 
                  Indaiá nane, quasi senza fusto, che aprivano le foglie 
                  verdi... Papagaio... E andava avanti sempre dritto, sempre verso 
                  sud.
                  Allora, in questi posti nuovi, gli vennero in mente cose nuove, 
                  e gli venne anche una gran voglia di riposarsi. Che bello, potersi 
                  liberare da tanti affanni... "Tutti giù per terra!"... 
                  Turíbio Todo era saltato fuori dal girotondo, e non volle 
                  più giocare.
                  Risalì. Salì fino a dove le recinzioni di filo 
                  spinato lasciavano il posto a palizzate di pertiche e argilla 
                  - magri pali neri che s'inchinavano gli uni agli altri. Salì 
                  ancora. Ora avvistava muraglie di pietre nere, costruite dagli 
                  schiavi neri. Le piccole fazende non avevano più verande, 
                  ma solo scalette fatte con lastre di pietra sovrapposte. E la 
                  gente mangiava fagioli neri, invece che fagioli marroni. Erano 
                  brave persone, ma ancora più sospettose dei suoi compaesani. 
                  E allora vide che aveva bruciato un altro bel po' di leghe, 
                  e che s'era lasciato indietro un altro po' di mondo.
                  Cosicché si trovava all'inizio della zona che chiamano 
                  Ovest di Minas.
                  Ora s'imbatté in un fiume verde e nascosto, un fiume 
                  che si trova sempre così all'improvviso, fiume vivo che 
                  corre attraverso i boschi come un animale.
                  - Questo fiume così bello, come si chiama, eh, amico?
                  - È il Parà... Che poteva essere?!... Ma passiamo 
                  sull'altra sponda, che qui la malaria è terribile!...
                  - Ah, questo no! Non posso passare, ho già traversato 
                  due fiumi e non voglio passarne altri, perché chi passa 
                  tre fiumi grandi dimentica il suo amore... Ma qual è 
                  la città più grande qui attorno?
                  - È Sant'Ana do São João Acima...
                  - Vado là e vedo se riesco a mandare una letterina a 
                  mia moglie!
                  Poi un gruppo di gente allegra lo chiamò. Andavano a 
                  sud, a lavorare nelle piantagioni di caffè. Baiani diretti 
                  a São Paulo. E uno di loro:
                  - Ehi, fratello! Andiamo a São Paulo, su!... A guadagnare 
                  un fracco di soldi... Davvero! Là i soldi piovono!...
                  Sentì nostalgia della moglie. Ma era solo per un po' 
                  di tempo. Poi sarebbe andato a prenderla. Andò anche 
                  lui.
                
                
                  Cassiano Gomes, tornando al paese, dichiarò:
                  - Queste storie di vendetta, no, non ne vale la pena. Non ne 
                  voglio più sapere. È meglio mettere tutto nelle 
                  mani di Dio...
                  Ma mentre parlava tranquillamente, la sua mano, senza che lui 
                  se ne accorgesse, accarezzava il manico del coltello, e per 
                  questo non gli credette nessuno.
                  In seguito Cassiano continuò a vedersi con la donna fatale 
                  della storia, proprio quella che aveva gli occhi sempre più 
                  grandi, più neri e più di capra attonita. E donna 
                  Silivana gli aveva mostrato la lettera spedita da Sant'Anna 
                  do São João Acima, e poi un'altra, anch'essa su 
                  carta a quadretti, piena di nostalgia, che veniva da Guaxupé 
                  e conteneva una fogliolina di malva con il disegno di un cuore 
                  trafitto da una freccia.
                  - È andato a São Paulo.
                  - Davvero?... Che sciocchezza" Non ce n'era bisogno... 
                  Non ce l'ho più con lui... Se torna, non gli faccio nulla... 
                  Se gli scrivi, puoi dirglielo...
                  Ma donna Silivana, con uno sguardo molto languido, concluse:
                  - Lascia perdere... Non è meglio così?...
                  Era vero, e le donne hanno sempre ragione.
                  Tuttavia un gentiluomo, congedato dall'esercito a causa delle 
                  valvole e dei ventricoli malfunzionanti, non si estenua senza 
                  risentirne in raid così faticosi per i sentieri della 
                  guerra senza pietà.
                  Cassiano si accorse che ora al minimo sforzo si sentiva stanco. 
                  E a partire da mezzogiorno non poteva più portare gli 
                  stivali, perché le caviglie gli si gonfiavano.
                  Andò dallo speziale e gli chiese di essere sincero.
                  - Sincero davvero, don Cassiano? Davvero? Voi... Be', se vi 
                  gonfiate di pomeriggio, e non si gonfiano gli occhi, ma solo 
                  le gambe, è cattivo segno...
                  - Morirò presto?
                  - Be', non così presto... Verso san Giovanni dell'anno 
                  prossimo... Ma se peggiorate un po', intorno a Natale.
                  - Deve andare così. La salute è di Dio, don Raimundo...
                  - Per tutti noi, don Cassiano, se Dio vuole aiutarci!...
                  Cassiano Gomes pensò: vendo tutto quel che ho, metto 
                  insieme i soldi, vado a Paredão do Urucuia a dire addio 
                  a mia madre... E poi allora vado giù e acchiappo Turíbio 
                  Todo a São Paulo, o dove s'è ficcato.
                  E disse addio a tutti, sapendo che non sarebbe tornato mai più.
                
                
                  Ma in cammino via via peggiorò e dovette fermarsi a Mosquito 
                  - villaggio sperduto incuneato fra le montagne, lontano da tutto 
                  - dove tre dozzine di stamberghe occupavano la valle amena, 
                  che profumava di borragine, miosotide e mirto, le mucche leccavano 
                  le mura delle case, gli alberi di casuarina risuonavano al vento 
                  e grandi fusti di jatobá facevano ombra davanti 
                  alle porte. Un posto, insomma, dove non si ha voglia di fermarsi 
                  foss'anche solo per la paura di doverci restare a vivere per 
                  sempre.
                  E fu là che Cassiano Gomes si sentì male e la 
                  sua insufficienza mitrale peggiorò molto. Lo tirarono 
                  giù dal cavallo e gli diedero ospitalità. Si sistemò 
                  su un pagliericcio, con la sua pancia da idropico e la respirazione 
                  difficile di un segugio che torna dalla caccia.
                  Migliorò. E digrignava i denti al pensiero di Turíbio 
                  Todo. Ma grazie a Dio aveva soldi. Chiese in giro se c'era lì 
                  un uomo che avesse del fegato, capace d'incaricarsi di risolvere 
                  una storia così e così... Dava un milione di réis... 
                  Non c'era nessuno. Cassiano aveva scelto male il posto dove 
                  cadere sfiancato: a Mosquito erano tutti piccoletti, giallastri 
                  o malarici, stracciati, schivi, non conoscevano il treno, molto 
                  pacati e senza iniziativa. Non si ricordavano di crimini violenti, 
                  non avevano morti sulla coscienza: - Scusate, eh ma vedete, 
                  qui nessuno vuole rovinarsi...
                  - E non c'è modo di far venire un uomo in gamba da qualche 
                  parte qui vicino?
                  - Nei posti più vicini, anche lì gente così 
                  per questo lavoro non ce n'è...
                  - Allora me ne vado! Subito!...
                  Ma non poté fare più di tre passi: barcollò 
                  e si dovette sedere sulla porta della bicocca; e lì seduto 
                  cominciò a passare tutto il suo tempo, un giorno dopo 
                  l'altro, con il petto sulle ginocchia e, per via dell'abitudine, 
                  con il Winchester in braccio e il parabellum a portata di mano.
                  Il paesaggio era triste e le cicale tristissime, di pomeriggio. 
                  Passavano porci con la testa presa da una specie di forcella, 
                  per impedire loro di attraversare i recinti dei poteri. Passavano 
                  galline chiocciando e spingendo i pulcini sotto il cotogno. 
                  E cuculi rossi, che volavano sui rami scarlatti dell'albero 
                  di ibisco.
                  E passavano anche i valligiani - donne con la gonna rimboccata, 
                  con l'orcio sulla testa, che venivano dalla fonte; bambini panciuti 
                  che giocavano a tirare pietre agli animali o a mangiare terra; 
                  e braccianti con la zappa o con la falce, ma molto soddisfatti 
                  e sereni, a un'andatura irregolare, strascicando le scarpe di 
                  tela o dondolandosi, come per inginocchiarsi, o ancora con il 
                  passo del papero - così, storto, con il piede piatto, 
                  come se stessero per inciampare.
                  E passò un fratello di Timpim che lo picchiava. Considerando 
                  la sproporzione fisica, era una gran vigliaccheria, e Cassiano 
                  lo chiamò:
                  - Ehi! Vieni qui!...
                  Il fratello di Timpim si avvicinò, pensando che ce l'avesse 
                  con lui, ma Cassiano gridò rabbioso:
                  - Vattene, diavolaccio! Sei troppo in gamba! Un vero ammazzasette! 
                  Vattene, che non t'ho fatto chiamare... Quando ti faccio un 
                  fischio, puoi venire.
                  Allora Timpim si avvicinò, molto esitante e con un'espressione 
                  sciocca.
                  - Vieni più vicino, ragazzo... Come ti chiami?
                  - Lei riderà di me... Ma se mi chiamate col mio nome 
                  di battesimo, Antonio, nessuno mi conosce... Timpim è 
                  un soprannome che non mi piace... Preferisco che mi chiamate 
                  Ventuno.
                  Cassiano cominciò a ridere, ma smise subito perché 
                  tossì e sputò sangue.
                  - Ventuno! Che buffo!... Ma perché ti chiamano Ventuno?
                  - È un altro soprannome che mi hanno dato. È che 
                  mia madre ha avuto ventuno figli, e io sono l'ultimo... E così 
                  mi sono ritrovato questo nome.
                  - E chi è quello spilungone? Quell'omone che te le stava 
                  suonando?
                  - È mio fratello Izé, signore.
                  - E perché ti stava picchiando?
                  - Perché voleva prendersi questo po' di manioca ammollita... 
                  Ma io non gliela do, perché la sto portando a mia moglie, 
                  che ha avuto un figlio ieri l'altro e in casa non c'è 
                  niente, e lei deve mangiare!...
                  - Oh, Ventuno! Ma allora sei sposato?... E questo è il 
                  tuo primo figlio?
                  - Gnornò, con questo fanno tre... Il primo è morto 
                  a un anno, e l'altro, che era una femmina, è nato morto.
                  - E perché tu, che hai questa testona piena di capelli, 
                  da uomo che non si fa calpestare, e queste sopracciglia che 
                  si uniscono sul naso, perché non hai reagito e non l'hai 
                  picchiato anche tu?...
                  - Sapete, mia madre mi diceva sempre che non devo alzare le 
                  mani sui fratelli maggiori... E dato che sono tutti maggiori, 
                  per questo tutti me le suonano.
                  Cassiano scrutava quel bifolco e lo guardava dall'alto in basso 
                  e poi dal basso in alto.
                  - Oh, diavolo! E dimmi, sei sempre così duro come l'acciaio? 
                  Non t'incurvi mai, non pieghi mai le spalle in avanti?
                  - Gnornò... Penso di no... Non so.
                  - Be', allora, tieni questi soldi e compra qualche gallina a 
                  tua moglie, e domani torna qui.
                  Ma il giorno dopo Timpim fece una sorpresa a Cassiano: gli portò 
                  il bebè per farglielo benedire, tutto fasciato con panni 
                  di lana, troppi, e con la boccuccia tappata da uno straccio 
                  di panno imbevuto di miele, a mo' di ciuccio. Timpim, tutto 
                  orgoglioso, esibiva il suo frugoletto, e quando qualcuno gli 
                  elogiava la bellezza del figlio, gli chiedeva ansioso d'aggiungere 
                  "Dio lo benedica" per scongiurare il malocchio.
                  E il bambino, che era grazioso e sveglio, aprì gli occhi 
                  in braccio a Cassiano, che, di fronte a tanta fragilità, 
                  si commosse:
                  - Non potrò neppure rivedere mia madre, prima di morire?!... 
                  - balbettò singhiozzando.
                  Chiese che lo mettessero a letto, ma era già un altro 
                  uomo, perché piangere sul serio fa bene.
                  Sul pagliericcio, appoggiandosi a un mucchio di stracci, cuscini 
                  e addirittura a un vecchio sellino che donne pietose gli aggiustavano 
                  dietro la testa, ansimando a fatica e cambiando posizione per 
                  tentare di incamerare un po' d'aria, si dimenticò delle 
                  armi da fuoco e aspettò l'ora di morire. La calma e la 
                  tristezza del paesino erano immutabili, con il canto di tortore 
                  e di cardinali e i lugubri muggiti del bestiame. E la placidità 
                  dell'ambiente a poco a poco gli addolcì lo spirito, mentre 
                  il volto gli si gonfiava sempre più, attorno alle labbra 
                  gli veniva un alone bluastro e la malattia gli sfilacciava il 
                  cuore.
                  Cominciò a chiedere alle vecchie di andare a pregare 
                  accanto al suo pagliericcio. Voleva che i bambini, bambinetti 
                  magri, giocassero lì vicino; e dava loro soldi. E se 
                  ne stava zitto, contando e ricontando le assi del tetto, nere 
                  di fuliggine, e seguendo i movimenti dei ragni, che gettavano 
                  fili a piombo per salire e scendere. E per la prima volta dopo 
                  tanti mesi si ricordò del fratello assassinato, rendendosi 
                  conto che era a causa della sua morte che era andato dietro 
                  a Turíbio Todo. Pensò anche al cielo, mentre fino 
                  ad allora non gli era mai avanzato tempo per farlo.
                  E dunque fu un giorno, quando stava peggio e aveva fatto aprire 
                  le finestre per far entrare un sole impietoso e bruciante, che 
                  gli piombò nella stanza, con gli occhi rossi e moccioso, 
                  piagnucolante, anche Timpim.
                  - Che cosa è successo, Ventuno?
                  Era suo figlio, il lattante, che era malato, stava molto male 
                  davvero, e per mancanza di mezzi, stava per morire. E Timpim 
                  cominciò a singhiozzare; ma le lacrime scorrevano e lui 
                  non si piegava.
                  Cassiano gli domandò:
                  - Ma dimmi, Ventuno: ad Abóboras non c'è un dottore?
                  - Sì, ma sarebbe meglio che non ci fosse, Dio mio! Io, 
                  che non ho nulla di nulla, come faccio a pagare il dottor medico, 
                  a trentamila réis ogni lega, per farlo venire qui?!... 
                  Ho mandato a prendere una ricetta, e il resto di quei soldi 
                  che mi hai dato l'ho speso tutto dallo speziale, in medicine...
                  - Be', ecco qui i soldi. Fa' venire il dottore. Compra le medicine 
                  e tutto il resto. Se te ne servono degli altri, ce ne sono ancora.
                  Timpim strabuzzò gli occhi, senza riuscire a credere 
                  a quello che stava sentendo. All'improvviso cominciò 
                  a piangere ancora più forte e s'inginocchiò ai 
                  piedi del benefattore, cercandogli la mano per baciargliela 
                  e profondendosi in ringraziamenti e benedizioni, quasi soffocato 
                  dai singhiozzi.
                  - Non è nulla... Non ci pensare... - si schermì 
                  Cassiano. - Voglio che il medico venga a vedere anche me... 
                  E già che ci sei, fa' venire anche il prete, che voglio 
                  confessarmi...
                  Ma Timpim ora insisteva per baciargli i piedi e, sempre grondando 
                  lacrime, esclamò:
                  - Dio la ricompenserà, don Cassiano Gomes! Io non posso, 
                  perché non ho nulla... Il bambino è già 
                  stato battezzato, subito appena nato, sennò sareste voi 
                  il suo padrino!... Ma anche così se mi permettete io 
                  sono il vostro compare e voi siete il mio più di tutti, 
                  perché non mi dimenticherò mai di tanta carità!...
                  Allora Cassiano, a sua volta molto commosso, perché è 
                  meglio essere buono che malvagio, lo strinse in un abbraccio, 
                  dicendo:
                  - Ricompense meglio di questa non ce n'è, compare Ventuno...
                  E Cassiano Gomes non poté nascondere il conforto che 
                  tutto ciò gli portava.
                  Venne il medico, venne il prete: Cassiano si confessò, 
                  si comunicò, ricevette l'estrema unzione, pregò, 
                  pregò. Mandava i soldi alla madre? No. Fece chiamare 
                  Timpim, per rivedere in lui la sua buona azione. Parlarono. 
                  Poi il moribondo disse:
                  - Questi soldi sono tutti per te, compare Ventuno...
                  Allora, con un'espressione felice, parlò della madre, 
                  strinse in mano la medagliera della Madonna dei Dolori, morì 
                  e andò in cielo.
                
                
                  A Turíbio Todo la buona notizia arrivò in una 
                  lettera della moglie, che, ora affettuosa, l'implorava di tornare 
                  a casa. Aveva già guadagnato un sacco di soldi e la lettera 
                  lo convinse definitivamente: comprò una valigia, comprò 
                  molti regali, mise al collo un fazzoletto verde per coprire 
                  il gozzo; calzò un paio di stivali rossi di vernice; 
                  e venne.
                  Scese dal treno anche con un bocchino, un orologio da polso, 
                  bei vestiti e una nuova concezione dell'universo. Ma doveva 
                  passare ancora una giornata a cavallo e aveva fretta, perché 
                  donna Silivana aveva begli occhi, occhi sempre grandi da capra 
                  attonita. Perciò non ebbe nemmeno il tempo di comprare 
                  un cavallo, ma ne rimediò uno imprestato, pranzò 
                  senza fame e partì.
                  Superò la prima lega. L'allegria larga della libertà 
                  non gli faceva sentire gli scrosci che ogni tanto venivano giù, 
                  perché era una giornata incerta, da matrimonio della 
                  volpe o della vedova, con una pioggerella diafana, obliqua e 
                  frettolosa, che correva qua e là per bisticciare con 
                  il sole.
                  All'improvviso sentì lo scalpitio di un galoppo sfrenato 
                  che gli veniva dietro. Fermò il cavallo sul ciglio della 
                  strada, davanti a un albero di sucupira, e scrutò 
                  e aspettò. Era un pony o una cavalla, un animale pezzato, 
                  magro, ben trattato, dagli stinchi scandalosamente robusti e 
                  pelosi, con un tizio allampanato in groppa. Il cavaliere tirò 
                  le redini quasi a lato di Turíbio, così che, a 
                  uno sbuffo del ronzino, un fiocco di schiuma bianca gli volò 
                  sul braccio.
                  - Il tuo cavallo ha la rabbia, amico?
                  E Turíbio Todo indicò con il frustino le nari 
                  dell'animale, che pulsavano ricoperte da un bianco d'uovo montato 
                  a neve.
                  - Gnornò... È stato molto tempo fermo... Per questo 
                  ora si stanca così.
                  Il bifolco, con un sorriso timido che rivelava molti denti spezzati, 
                  rimase a fissare Turíbio, che l'esaminava con una pazza 
                  voglia di ridere.
                  Perché l'altro, a guisa di mantello, vestiva un sacco 
                  di iuta a cui aveva scucito i lati facendo passare la testa 
                  per un buco sul fondo; e quell'abbigliamento bizzarro gli ricadeva 
                  davanti e sulla schiena come la pianeta di un prete durante 
                  la messa. Era scalzo ma portava sui calcagni degli enormi speroni 
                  e usava un ramoscello come frustino.
                  Il cavallino pezzato - era davvero un cavallo - con la coda 
                  legata e la criniera tagliata corta, sbuffante, magrolino, si 
                  distingueva per la stessa aria miserabile del padrone: le briglie 
                  si riducevano a una cavezza; al sellino da bestia da soma mancava 
                  una staffa; non aveva sottocoda né sottopancia.
                  Il tipo magrolino prese il coltello e il tabacco a treccia il 
                  che, nella convenzione delle strade del sertão, indica 
                  il desiderio di fare quattro chiacchiere. Ma Turíbio 
                  Todo aveva fretta:
                  - Se vai da questa parte, andiamo...
                  - Gnorsì...
                  E appaiarono le bestie.
                  Il piccolo bifolco lasciò cadere le redini sul collo 
                  del cavallino, che si sforzava di tener dietro all'andatura 
                  dell'altro cavallo; e tagliuzzava minuziosamente il tabacco, 
                  riunendolo nel palmo della mano.
                  Turíbio non gli toglieva gli occhi di dosso, e gli sembrava 
                  buffissimo, in faccia, in tutto, con quel cavallo, con quei 
                  cernecchi pidocchiosi e quella palandrana. Ma quel tipetto gli 
                  stava simpatico. E gli offrì una sigaretta.
                  Il giovane fece per prenderla, ma ritrasse bruscamente la mano.
                  - Molte grazie... Fumo solo queste, colla cartina di paglia 
                  di mais... Qui non siamo abituati a cose fine...
                  Che tipo! - pensò Turíbio Todo.
                  L'altro fece scattare il suo acciarino e aspirò una lunga 
                  boccata, al che sembrò farsi coraggio:
                  - Se posso permettermi, siete proprio Turíbio Todo, sellaio 
                  di Vista Alegre, che arriva dall'estero?...
                  - Sì. Vengo da São Paulo... Come lo sai? Sono 
                  arrivato oggi...
                  - Me l'hanno raccontato là al negozio.
                  Turíbio scoppiò a ridere. Quel piccolo buzzurro 
                  gli piaceva sempre di più.
                  - Perché gente come te non va a lavorare là? Potreste 
                  far soldi, imparare a vivere. Questa qui non è vita, 
                  è una miseria nera, da far piangere i sassi!... Se vuoi 
                  andare, ti spiego tutto per benino, ti aiuto, ti do dei soldi, 
                  se ti servono...
                  - Macché!... Qui si nasce, qui si resta...
                  E confuso, come se volesse cambiar discorso, il bifolco gli 
                  indicò:
                  - Guardate, lassù!
                  Sui rami più alti del cacciadiavoli, un apale, spettinato 
                  e smorfioso, gesticolava stridendo e saltellando. I cavalieri 
                  si fermarono. Turíbio Todo prese il revolver e lo puntò. 
                  ma la scimietta si nascondeva dietro al tronco e tirava fuori 
                  solo il musetto, ogni tanto, per guardarli. Turíbio s'intenerì, 
                  e rimise a posto l'arma.
                  Nel frattempo l'apale scivolava giù a spirale per il 
                  tronco e saltava sul tamarindo, e dal tamarindo sul mirto e 
                  dal mirto al jequitibá; scese scivolando per la 
                  corda angolosa della bignonia, risalì per la pista di 
                  fiori solari dell'acacia, si elevò all'altezza di una 
                  robinia; scomparve fra i rami più alti e da lì 
                  fischiò.
                  - Poveraccio, lasciamolo in pace! Perché maltrattare 
                  queste creaturine del bosco?... Anche loro si meritano di vivere... 
                  Là a São Paulo, un giorno...
                  - Quanto l'avete pagato, questo vostro cavallo?
                  Turíbio Todo si girò sorpreso, inquieto, perché 
                  era già la seconda volta che quel compagno così 
                  umile e mite l'interrompeva.
                  - Me l'hanno prestato... Andiamo avanti. Là c'è 
                  Restinga?
                  - Gnornò, è Quilombo.
                  Qui e là una capanna di paglia, sul ciglio della strada, 
                  in mezzo ai banani.
                  - Più in fretta, ragazzo, che non vedo l'ora di arrivare!
                  Arrivarono al guado di un torrente. Un vecchio con un sacco 
                  sulle spalle veniva dall'altra sponda, attraversando il torrente 
                  su una trave; volle salutarli e quasi cadde, e si rimise in 
                  equilibrio con difficoltà. Sul fango liscio della riva 
                  farfalle gialle atterravano per restare immobili come petali 
                  al suolo in una festa paesana.
                  I cavalli, immersi nella corrente fino agli stinchi, piegavano 
                  il collo ad angolo ottuso per bere. Sciami di pesciolini, cozzando 
                  in corsa o oscillando da fermi con palpitazioni da atleta, scodinzolavano 
                  nella trasparenza dell'acqua che le bestie sorbivano in getti 
                  copiosi.
                  L'aria era fresca. Dalla collina giungeva un buon profumo di 
                  muschio, di licheni e verdura vecchia. E la sella era così 
                  morbida, e le onde lo cullavano così dolcemente, che 
                  Turíbio tolse un piede dalla staffa e rimase a guardare 
                  con affetto una libellula che svolazzava scintillando e finì 
                  per posarsi sulla sua cavezza.
                  Anche l'altro se ne stava zitto e ruminava fra sé e sé, 
                  osservando il fango che a ogni movimento dei cavalli risaliva 
                  alla superficie dell'acqua e l'intorbidiva. Furono gli animali 
                  che, placata la sete, decisero di riprendere il cammino.
                  - Mi sento proprio allegro!... Vado da mia moglie, che non vedo 
                  da molto tempo... Penso di arrivare al casolare di sua madre 
                  domani pomeriggio. Se vuole partire con me, torniamo a São 
                  Paulo... Voglio riposarmi un po' e godermi la vita... - disse 
                  Turíbio Todo con un sospiro di soddisfazione.
                  - Ma don Turíbio Todo... Scusate la parola, ma questo 
                  mondo è una montagna di sterco! Non vale la pena di stare 
                  allegri... No, non ne vale la pena.
                  - Che discorsi, ti piace pensare alle cose tristi?... Che dici?...
                  - Si vive per soffrire... Tutti non fanno altro che soffrire... 
                  Non ne vale la pena!... E prima o poi tocca sempre morire...
                  - Sai una cosa? Devi occuparti della tua salute, per non farti 
                  venire queste idee... - consigliò Turíbio.
                  L'altro si ammutolì. Molto abbattuto, lugubre, sembrava 
                  che stesse portando il peso del mondo sulle spalle.
                  Salirono per una collina, scesero giù per la collina; 
                  e il sentiero entrò in un bosco fitto, in cui tutto era 
                  silenzio e ombra. Uno dei cavalli sbuffò e addentò 
                  il morso. Gocce di pioggia rimaste sulle foglie cadevano sui 
                  cavalieri, mentre i rami schiaffeggiavano loro il viso. E all'improvviso 
                  Turíbio Todo gelò sentendo venire dal contadino, 
                  un'altra voce ferma e adulta, ancora sconosciuta:
                  - Don Turíbio! Smontate e pregate, perché io ora 
                  vi ammazzo!
                  - Come? Cosa?... Sei ammattito?...
                  Ma il bifolco era serio e pallido, e nella destra teneva un 
                  vecchio pistolone a due canne parallele e sinistre.
                  - Smontate, presto, don Turíbio!...
                  E l'omino parlava tranquillamente ma tenendo tutto sotto controllo.
                  Allora Turíbio Todo, affrontandolo, si tirò su 
                  e fece la voce grossa.
                  - Smettila, bastardo, che ti faccio a fettine!...
                  - Non urlate, don Turíbio, non serve a nulla... Che Dio 
                  mi perdoni, e pure voi, ma non posso fare altrimenti, perché 
                  l'ho promesso al mio compare Cassiano, là a Mosquito, 
                  proprio nel momento in cui chiudeva gli occhi...
                  Sentendo il nome del nemico, Turíbio Todo si spaventò 
                  ancor di più. La mano del bifolco che reggeva il pistolone 
                  tremava. Anche Turíbio cominciò a tremare tutto 
                  come una canna.
                  - Ah, e quanto ti ha pagato? Posso darti il doppio, ti do tutto 
                  quel che ho!
                  - Non serve, non è possibile, don Turíbio
 
                  Dio mi ha dato mio figlio, e lui me l'ha salvato
 E gliel'ho 
                  promesso quando aveva già la candela in mano
 È 
                  triste! Ma non c'è altro modo
 Non c'è soluzione
                  Attonito, Turíbio spalancava gli occhi e sentiva com'è 
                  terribile non avere tempo per poter pensare.
                  - Ascoltami
 Anch'io ho famiglia
 Ho
                  - Smontate, don Turíbio
                  - Per l'amore della Vergine santíssima! Per l'amore di 
                  tuo figlio! Non farlo! Dio ti punirà!
 Non m'ammazzare
                  - Pregate, don Turíbio, perché non voglio la vostra 
                  perdizione!
                  Allora Turíbio Todo fu stravolto dal terrore, e stese 
                  le braccia.
                  - Aspetta! Aspetta! Non sparare ora
                  E portò la mano alla fronte, facendosi il segno della 
                  croce, gridando e cominciando a singhiozzare:
                  - In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, amen!
 
                  Padre nostro
                  Ma no! Non così come una pecora! Si gettò di lato 
                  e impugnò il revolver e diede uno strappo alle redini 
                  e un colpo di speroni, facendo impennare il cavallo.
                  Ma il pistolone non fallì. Turíbio Todo vacillò 
                  e ricadde sulla sella con una pallottola nella guancia sinistra 
                  e l'altra nella fronte. Il cavallo corse via; il piede del morto 
                  uscì dalla staffa. Il corpo piombò di lato, contorto, 
                  e restò a terra.
                  Allora il piccolo Timpim Ventuno si fece anche lui il segno 
                  della croce e aprì le ginocchia, dando un colpo di speroni. 
                  E il cavallino pezzato prese al galoppo un sentiero fra i grandi 
                  alberi di itapicurú e le piante di cassia, correndo via 
                  dalla strada maestra.
                  
                  
                  (Racconto 
                  tratto dal libro "Sagarana", Casa Editrice Feltrinelli, 
                  1984, traduzione di Silvia La Regina)