QUATTRO POESIE

Charles Wright




GUIDANDO IN TENNESSEE

Strano quel che riporta il passato.
I genitori, ad esempio, come si profilano fervidi
nei brevi e istantanei
lampi di memoria, un piede davanti all'altro
perfino a ritroso, e così inaccusabili.

E le città in cui vivemmo
e chi eravamo allora, le vie percorse in su e in giù
ritornano davanti a noi come brina
su cui batte la luce della luna, e ritorna Gesù, Stefano Martire
e San Paolo della Spada...

- Io sono la loro musica,
madri e padri e luoghi dove corremmo affannati nella notte:
accosto la bocca alla polvere e canto la loro canzone.
Ricordati di noi, Galeotto, e fischietta il nostro motivo quando verrà l'ora,
per amore di carità.

(da: La croce del sud, 1981)


DIARIO DELLA NOTTE

- Penso a Issa, uomo di poche parole:
il mondo di rugiada
è il mondo di rugiada.
Eppure...
Eppure...

- Tre parole contengono
        tutto il certo che sappiamo della vita ventura,
o dell'ultima: Chiudi gli occhi.
Tutto il resto è diceria,
        finti specchi, finestre cieche
abbaglianti come vetro istoriato
nell'irriducibile sole.

- Io scrivo con inchiostro visibile,
parole nere che scompaiono se sollevate nella luce -
io scrivo
        per dimenticare, non per ricordare,
parole come migliaia di frammenti di pellicola
        esposti al sole.
Non vedo mai nient'altro che il fondo.

- Tutti vogliono raccontare la loro storia.
Dicono i cinesi che viviamo nel mondo delle diecimila cose,
Ognuna delle diecimila cose
        ci urla
precisamente nulla,
la melodia d'un silenzio ormai compreso,
parole come contrassegni,
        tramonti embolici che s'essiccano dietro la lingua.
Se fossimo così eloquenti,
se il nostro dire potesse come la passiflora spargere la buona novella,
le sue candele votive
        fosforescenti e articolate nell'alone verde
di primavera, di certo qualcosa sentirebbe la nostra voce.

- Anche una scheggia di bellezza
        è bellezza ostica alla mente,
parole color del vento
in movimento là sui campi
        confuse dal vento e dal vento sbalzate,
astratte come luccichìi d'acqua,
i campi color del leone e color della corda
come in un dipinto del Paradiso,
        i corpi che languono sopra il cielo
trascinando le loro buie identità,
vanno alla deriva e colano nel nulla
dietro di loro
       in movimento là sui campi
come si muovono le parole, lentamente, trascinando le loro buie identità.

- Le nostre parole, come baci soffiati, sono inghiottite da fantasmi
lungo il cammino,
        le loro mete smarrite
in un tocco di splendore infinito:
com' è sempre distante ogni cosa,
        e tuttavia vicina,
musica che comincia a salire come fumo sotto gli alberi.

- Gli uccelli attaccano un chiasso atonale
        non sincopato
da un albero all'altro,
        canti di rugiada
le cui canzoni non hanno parole
        da un albero all'altro
quando la notte si mette le sue lenti scure,
una su questa fronda, altre due là dietro.

- Le parole, come tutte le cose, còlte nella loro finitudine.
Qui iniziano, qui finiscono
per quanto in alto si sollevino -
        io lo so, e questo è il mio castigo,
e non amo mai nulla così tanto
da imprimere in me un marchio
        e calarmi di colpo nella beatitudine.

(da Zone Journals, 1988)


VENEXIA II

Acqua alta, acqua alta,
        gabbiano ancorato come il battello di Rimbaud
fra i detriti, sacchi di plastica rigonfi sobbalzano come sugheri
sotto il granitico sguardo austero di Nostra Signora,
         Venezia, Serenissima...
Il colpo della marea rode la punta delle scarpe, poi le urta sotto.


Queste sono le acque oscure, musica oscura
che ci terge, che ci svuota
        solo per riempirci di gocce
di dolce invisibile pienezza,
note di stupore, note nere per lasciare la vita.


L'Angelo della Morte, corno d'oro e manto dorato,
si culla sulla prua della gondola,
        scintillante di pioggia, quieto nella sferza.
Sotto la fatidica data della tempesta,
rifulge nella sua solitudine marina, scivola in splendore.


Oltre la finestra, Rio San Polo s'agita e fa burrasca.
La luce del traghetto
brucia come un'anima del Catar che fa ritorno
        sulla stanca marea
che scende gli scalini inverditi della Salute.


Questa è l'ora terminale, la sua campana
rotola da Santa Maria Gloriosa dei Frari,
ultimo anello nella catena della Speculazione,
        tirandoci sotto.
Dall'acqua viene, all'acqua va.

(da Chickamauga, 1995)


VITE DI SANTI, I

Nodo allentato su una corda corta,
la vita continua a sgusciar via sotto di me, intatta ma
calante,
        il suo schema perde schema,
l'abisso blu dell'aria d'ogni giorno
l'inala e l'esala
        in nuvolette come di fumo,
in piccole filze e fili di vento.

Tutto quello che il lapis dice è cancellabile,
ma non le nostre voci, parole nere e permanenti,
che imbrattano la vita come fuliggine,
        ma non le nostre memorie,
incise come sagome nella mente,
ma non le nostre irrecuperabili azioni...
Il lapis tutto sparge e poi tutto riprende.

Per esempio, eccomi qui fra Hollywood Boulevard e Vine,
a quasi 60 anni, la vigilia di Natale, carni in mostra e mezzani
e incessante su Walk of Fame
        lo spengersi di canne
sperando che qualcosa di non-troppo-terribile accada sulla strada.
La raffica di pioggia si è bloccata di schianto,
le fronde della palma ciondolano seducenti.
        La vita, come si dice, è bella.

(da Black Zodiac, 1997)


(Traduzioni di Antonella Francini)




CHARLES WRIGHT, premio Pulitzer per la poesia nel 1998, è nato nel 1935 a Pickwick Dam, in Tennessee. Dopo aver risieduto per lunghi periodi in Italia e in California, nel 1983 è ritornato a vivere nel sud-est statunitense come professore d'inglese all'Università della Virginia, a Charlottesville, dove tuttora abita e lavora, titolare dal 1988 della Souder Family Chair. Autore di undici volumi di poesia e di due raccolte di saggi, traduttore di Montale, Campana e Dante, membro dell'American Academy of Poets, titolare del Premio Antico Fattore assegnatogli a Firenze nel 1998, Wright spicca nel panorama della poesia Usa contemporanea per l'originalità dei suoi versi e della sua lingua che sviluppano tematiche metafisiche entro precisi disegni geometrici. La sua opera, ora risistemata in tre macrotesti che il poeta chiama triplice trilogia e che raccolgono quasi integralmente i tre volumi pubblicati in ogni decennio dal 1970 ad oggi, ha trovato un'originale ispirazione nell'incontro giovanile con il paesaggio e la cultura italiana e si è via via strutturata come il viaggio spirituale di un moderno autobiografico pellegrino. Nella sua poesia, Wright affronta il tema dell'ineffabilità dell'assoluto che si manifesta nei paesaggi americani e italiani che tenta di penetrare per svelare la realtà trascendente che sembrano nascondere; il tema della morte come figura estrema di un invisibile mondo segreto oltre il visibile; il tema della lingua come il mezzo attraverso cui il dramma dell'io poetico continuamente respinto entro i suoi limiti conoscitivi viene esplicato.
Nell'aprile del 2001 è uscita per Jaca Book l'antologia in della poesia di Wright, in lingua italiana con testo a fronte, Crepuscolo americano e altre poesie a cura di Antonella Francini, dalla quale queste quattro poesie sono state tratte.


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