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  KAFKA IN MANHATTAN   
 
  Enrique Vila-Matas
 Il 
                mondo non cambia? O accade il contrario, come dimostrerebbe la 
                vertiginosa successione di immagini che restituiscono la tragedia 
                di New York. E cosa avrebbe pensato di tutto ciò qualcuno 
                che, come Franz Kafka, ha immaginato una trasformazione radicale? 
                Una risposta approssimativa a tale domanda, come una coincidenza 
                geniale, si trova nel diario dell'autore della metamorfosi, 
                quando, nell'undici settembre del 1911, racconta di aver assistito 
                alla collisione di un triciclo contro una macchina. E, ancor meglio, 
                dice di averlo sognato un anno più tardi.
 Mancava pochissimo perché scoprissimo che Manahttan era 
                stata attaccata. Eravamo in un tranquillo ristorante a Rua das 
                Janelas Verds, a Lisbona. All'improvviso abbiamo visto entrare 
                nel piacevole ristorante, uno sgradevole gruppo di gente rumorosa 
                e confusionaria. Noi siamo rimasti in silenzio per più 
                di un minuto. Fino a che un amico portoghese ci ha detto: "Il 
                mondo cambia".
 Credevo di aver capito a cosa facesse riferimento: il mondo non 
                ha rimedio. Il mondo non cambia. Il mondo è così, 
                direbbe Baroja. O forse succede proprio il contrario e il mondo, 
                con la sua vertiginosa successione di immagini sta cambiando? 
                Credevo di aver capito il suo messaggio, ma non ho avuto tempo 
                di confermarglielo perché, in quell'esatto momento, ha 
                suonato un cellulare e da Barcellona hanno trovato strano che 
                fino a quel momento non sapessimo cosa stesse succedendo. La voce 
                apocalittica ha annunciato, prima di congedarsi, che era cominciata 
                la Terza Guerra Mondiale. Quando poco dopo siamo usciti sulla 
                serena e bellissima Rua de Janelas Verds, è stato molto 
                strano pensare di essere in guerra. Nel biancore della brezza 
                e nella luce di Lisbona, i grigi erano verdi e il mondo, immerso 
                nel corso del tempo, sembrava perfetto.
 La radio di una macchina, ha interrotto la calma della strada 
                e ha parlato di immagini spettacolari capaci di superare qualsiasi 
                fiction di Hollywood. Ho pensato a Franz Kafka. Lui aveva immaginato 
                una metamorfosi, la trasformazione di un impiegato in uno scarabeo. 
                Cosa avrebbe pensato se avesse visto questo spettacolo di fuoco 
                a Manhattan? Kafka era un essere così enormemente visivo 
                che non poteva nemmeno sopportare il cinema, perché la 
                rapidità dei movimenti e la vertiginosa successione di 
                immagini lo condannavano ad una visione superficiale in forma 
                continua. Diceva che nel cinema non è mai lo sguardo che 
                sceglie l'immagine, sono esse che scelgono lo sguardo.
 Cosa avrebbe pensato allora dell'attacco a Manattan? Quando nella 
                sera di quello stesso giorno ho telefonato a Barcellona, ho aperto 
                il diario di Kafka nel giorno 11 settembre 1911 e cioè 
                giusto novant'anni prima di un attacco che forse ha cambiato il 
                mondo. In questo giorno del passato Kafka ha descritto con grande 
                ricchezza di dettagli una collisione tra una automobile e un triciclo 
                che aveva appena intravisto in una strada di Parigi. L'incidente, 
                così rilevante, ha avuto come conseguenza che la ruota 
                anteriore del triciclo rimanesse ripiegata. Scrive Kafka: "L'impiegato 
                della panetteria che fino a quel momento stava pedalando con massima 
                spensieratezza, con quella oscillazione caratteristica dei tricicli, 
                un veicolo di proprietà della ditta, si ferma, si dirige 
                verso questo automobilista, che si ferma, e comincia ad avanzare 
                recriminazioni, attenuate dal rispetto dovuto ad un automobilista, 
                ma ravvivate, d'altro canto, dal timore del suo capo".
 Mentre discutono e anche non essendoci ancora la "società 
                dello spettacolo" che molti anni dopo avrebbe denunciato 
                Guy Debord, comincia a riunirsi gente attorno all'autista e all'impiegato 
                della panetteria, ansiosa di assistere alle conseguenze dello 
                scontro: molti si dirigono verso il triciclo per contemplare più 
                tranquillamente il danno di cui tanto si parla. L'automobilista, 
                ci racconta Kafka, non considera un grave danno la ruota anteriore 
                deformata, ma nonostante ciò non si accontenta di guardare 
                superficialmente e gira attorno al veicolo per osservare con attenzione 
                sopra e sotto di esso. "Compare una buona quantità 
                di nuovi spettatori" segue raccontando Kafka, "gente 
                che ha l'enorme e conveniente piacere di contemplare la notizia 
                dal vivo". Se lo spettacolo continua a crescere è 
                perché ha fatto irruzione sulla scena la polizia che annota 
                i nomi degli implicati e il nome e l'indirizzo della panetteria. 
                Nella folla che si accalca attorno allo spettacolo, Kafka legge 
                "la speranza incosciente e candida di tutti i presenti che 
                la polizia risolva il caso subito e in modo imparziale".
 Si direbbe che in questa speranza inconscia e candida viva oggi 
                gran parte di noi, desiderosi che si chiarisca chi è il 
                nemico, che la polizia risolva il caso con imparzialità, 
                ma abbiamo anche l'impressione di vivere dentro quella caserma 
                di Il deserto dei tartari, il romanzo di Dino Buzzati, 
                in cui un reggimento militare passa tutta la vita domandandosi 
                chi sia il nemico, quel romanzo che tante volte ho sentito dire 
                sia stato scritto sotto l'influenza di Kafka. Non sarà 
                mica, per caso, che siamo stanchi di sentire il Pentagono ripetere 
                che "il conflitto sarà lungo"? E' cambiato il 
                mondo o in fondo proseguiamo come sempre? Sembra indiscutibile 
                che il livello dello spettacolo si sia alzato, però, forse, 
                questo è tutto. Chi sa, tutto questo è destino- 
                ciò su cui cantava Amalia Rodriguez - tutto questo è 
                fado. Uno scarafaggio gigante potrebbe precipitarsi contro 
                la Casa Bianca e noi proseguiremmo senza cambiare, vivendo nella 
                speranza inconscia che il caso si risolva con imparzialità, 
                vivendo nel deserto dei Talebani.
 Mi sono fermato a pensare tutto questo dopo aver letto ciò 
                che Kafka aveva scritto quell'undici Settembre del 1911. Quella 
                dettagliata descrizione dell'irrilevante incidente parigino, quella 
                specie di cronaca romanzata che ha incluso nel suo diario, finì 
                per diventare narrativa, la qual cosa, secondo il professore Jordy 
                Llovet, avrebbe dimostrato "la fragilità di un confine 
                chiaro tra realtà e finzione nell'opera di Kafka in generale".
 Al lettore spetta decidere dove inizia e dove finisce la realtà 
                o, se preferisce, la finzione di quanto stiamo vivendo in questo 
                mondo che non cambia, o forse cambia in una vertiginosa successione 
                di immagini.
 Per curiosità, ho finito per guardare ciò che sarebbe 
                successo a Kafka un anno dopo, l'undici Settembre 1912. Questo 
                giorno lo scrittore ha sognato. Si incontrava su una lingua di 
                terra costruita con pietre che si addentrava profondamente dentro 
                al mare. In principio, il sognatore non sa veramente dove si trova, 
                solo quando casualmente si alza una volta, vede, alla sinistra 
                di fronte a lui, e alla destra, dietro di lui, il vasto mare chiaramente 
                circoscritto da molte navi da guerra allineate e fermamente ancorate. 
                E dice lo scrittore che sta sognando, afferma Kafka: "Alla 
                destra si vedeva New York, eravamo nel porto di New York".
 
 
 
 Enrique 
                Vila-Matas è uno degli scrittori più importanti 
                della scena letteraria spagnola di oggi.
 
 
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