IL VECCHIO MONDO NUOVO

Un'intervista a Michael Hardt, coautore insieme ad Antonio Negri del saggio Impero


Come spiega il fatto che un libro sulla globalizzazione, con un approccio così marcatamente marxista come Impero, sia diventato un successo editoriale?

Non so dirlo esattamente, ma credo che questo possa essere successo perché il libro è utopico. Non dico utopico nel senso di qualcosa che non potrà essere, ma nel senso di credere che il mondo possa diventare migliore. Ritengo che nella sinistra di oggi ci sia una mancanza di pensieri utopici.

E le persone sentono la mancanza di questa utopia?

Se non la sentissero, sarebbe anche comprensibile. I media degli Stati Uniti hanno difficoltà a capire il libro. Le persone mi domandavano se la globalizzazione è buona o cattiva. La risposta è: nessuna delle due e tutte e due. Questo è difficile da capire. La maggior parte delle persone a cui il libro è piaciuto è contraria al neoliberalismo. Ma non esiste soltanto la scelta tra neoliberalismo e il modello che lo precedeva. Molti degli aspetti della globalizzazione, quali l'economico, il culturale o il politico, sono cattivi, sono forme di sfruttamento. Allo stesso tempo, però, il medesimo processo porta in sé un grande potenziale di liberazione.

Cosa si può dire oggi, dopo tanti mesi, sugli attentati dell'11 settembre 2001?

Credo che ci siano state molte esagerazioni riguardo a quanto le cose siano cambiate dopo quel giorno. Senz'altro qualcosa è cambiato, non si può negarlo, ma è diventato troppo facile per la gente dire che tutto è cambiato, che il mondo ora è un altro. Queste stesse persone, tuttavia, continuano a dire le stesse cose che dicevano prima dell'11 settembre.

Cosa è cambiato allora?

Dopo quello che è accaduto, sembra che gli Stati Uniti abbiano cominciato ad agire nuovamente secondo il vecchio stile imperialista, nello stesso modo in cui le potenze imperialiste europee agivano cent'anni fa. Questo è vero, ma non è la cosa più importante. Ciò che è più importante non è cambiato. Negli ultimi dieci anni, l'ideologia militare e diplomatica degli Stati Uniti ha avuto due dimensioni diverse. Una è quella del movimento imperialista, con le azioni militari nel Golfo, in Bosnia, eccetera. Ma l'altra è ideologica e imperiale. Ossia, agisce per interessi globali, con una nuova logica di potere che non è quella dello Stato-Nazione.

E come funziona?

Quando abbiamo parlato sull'argomento dei diritti umani nel Kosovo, qualcuno ha detto che il discorso dell'esercito americano di promuovere l'interesse umanitario universale è una mistificazione ideologica, e che in verità loro sarebbero soltanto una potenza imperialista. Io credo invece che ci sia un'ambivalenza, una contraddizione, nell'ideologia dell'esercito e nella diplomazia degli Stati Uniti: i due principi intervengono insieme. Per quello che riguarda gli episodi dell'11 settembre, la dimensione imperialista è più chiara perché gli Stati Uniti fanno la voce più grossa, la voce dello Stato-Nazione che protegge il proprio territorio. Ma io e Antonio Negri pensiamo che, nel lungo termine, la logica imperiale sarà più efficace e la logica imperialista non avrà più successo. Lo scenario dell'antico imperialismo è impotente per combattere contro questo nuovo nemico che si è rivelato negli attentati. È per questo che gli americani sono così perplessi. C'è molta discussione nelle forze armate americane su cosa sia un nemico che opera in rete e su come poterlo attaccare. Al Qaeda e gli altri gruppi terroristici sono una rete. La vecchia forma di controllo militare e politico non è in grado di attaccare una struttura come questa. La forma imperiale è più efficace.

Ma gli Stati Uniti non sono sempre più forti rispetto agli altri stati?

È vero. Ma quando diciamo che gli stati-nazione, anche i più potenti come gli Stati Uniti, sono in declino, non significa che non sono più importanti. Significa che il tipo di dominio che loro esercitano si sta sgretolando. Questo potere sta assumendo nuove forme. La sociologa olandese Saskia Sassen dice che i ministri dell'economia eseguono dei compiti locali, ma collegati ad una visione mondiale. Lei usa Davos (cittadina svizzera dove ogni anno si tiene l'incontro con le leadership capitaliste) come esempio di una specie di campo di allenamento, dove questi ministri incontrano altri economisti e dopo tornano a casa per proseguire con le loro vecchie funzioni che riguardano i loro propri paesi. Ma loro non lo fanno in uno scenario nazionale. I funzionari del governo americano amministrano in verità un capitale globale.

Lei crede che dopo l'11 settembre la sinistra sia diventata vittima di un sentimento di rivalsa contro tutto ciò che è antiamericano?

Subito dopo quell'evento, la stampa di destra degli USA ha cominciato a dire che i movimenti antiglobalizzazione erano tanto negativi quanto il terrorismo. Quattro articoli usciti su settimanali di destra hanno detto che io, Antonio Negri e il nostro libro Impero eravamo responsabili per l'11 settembre.

Con quali argomenti?

Prima è stata la National Review, e poi la New Republic, la New Criterium, e la Weekly Standard . Quest'ultima non parla solo di noi, ma dice addirittura che il filosofo tedesco Martin Heidegger è il mentore intellettuale della sinistra (negli articoli The imperial - Why american academics love Hardt and Negri's "Empire" e Postmodern jiahd - What Osama bin Laden learned from the left). È ovvio che Heidegger non è mai stato un intellettuale di sinistra. Tutto questo è il risultato di una mancata comprensione di ciò che abbiamo scritto, ed è ideologico nel senso peggiore. La destra ideologica ha visto un'opportunità di usare tutto quel patriottismo per attaccare i suoi nemici. Ma credo che a questo punto abbiamo già superato questo problema.


(Questa intervista è stata concessa a Alexandre Werneck per il
Jornal do Brasil del 29/01/02)



Michael Hardt




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