L’ALTRA SCRITTRICE

Kirsten Denker

 

Il mento appoggiato sui pugni delle mani, Ada sedeva china nella luce proveniente dallo schermo del computer. Tutto in lei indicava lo sforzo mentale: il triangolo asimmetrico formato dal collo e dalle braccia sopra il tavolo, il modo in cui portava i capelli corti dietro le orecchie, l’assoluta immobilità. Eccetto gli occhi chiusi. Aveva interrotto la sua storia, scivolando in un inquietante sogno ad occhi aperti mentre i suoi pensieri sobbalzavano nel rumore sordo della strada.

Non c’era motivo che Lara si imbattesse in Gould allo Styx Club, eppure se non si incontravano casualmente, come poteva Lara sapere della dinamite?
Andava tutto storto! Il capitolo non le piaceva…non rispondeva al telefono da settimane… e, cosa peggiore, aveva lasciato morire il rosaio. Passarci davanti equivaleva a ricordare in un attimo tutti gli altri fallimenti della sua vita. Anche se il rosaio non era solo colpa sua: l’ultima volta che lo aveva ripulito dalle erbacce, aveva trovato fra i denti di leone un grosso sterco, purtroppo non di cane, e lo aveva rimosso con una paletta. Difficile pensare che fosse arrivato lì senza l’aiuto dell’uomo.
Non riusciva a credere di essere così stanca… Era anche la rosa che aveva regalato ad Adam per San Valentino – di cattivo augurio – anche se sbagliava ad essere tanto superstiziosa: la perdita o la morte di qualcosa è sempre dolorosa. Il fatto è che da quando aveva dato al rosaio un significato, non era più riuscita a vederlo come una qualsiasi pianta. Dalla sua sopravvivenza dipendeva la felicità della sua vita con Adam.
Il motore di una macchina cominciò ad andare su di giri, Ada si stiracchiò arrabbiata, poi si alzò appoggiandosi al telaio della finestra che vibrava leggermente al rombo del motore. Era uno di quei giorni in cui Londra non aveva pretese di stagione; il cielo era dello stesso bianco del lardo e, cosa strana per essere aprile, gli alberi non erano né spogli né avevano messo le foglie, ma erano assolutamente privi di vita, come arredi urbani installati dalle autorità locali. Privi di ambizione com’erano la irritavano ma nello stesso tempo erano uno stimolo ad impegnarsi di più.
Forse, in effetti, Gould era andato a trovare Lara nel suo appartamento… no, era stupido, come se Gould fosse uno che si preoccupa, e comunque… Ada si sentì profondamente avvilita. Le scoppiava la testa. Alzò la finestra ma la richiuse subito per il freddo. Nel fare questo, si accorse di una persona che lavorava nella casa di fronte. Attraverso la finestra vide il retro di un monitor e una donna più o meno della sua età, con il capo chino e gli occhi fissi sullo schermo. La stanza, come quella di Ada, era stipata di libri fino all’inverosimile.
Ada si avvicinò al vetro, addossandosi alla parete per non farsi vedere. Lavorava alla finestra ogni mattina, ma non aveva mai notato quella donna prima. Non era strano il fatto di non salutarla – nessuno fra vicini di casa lo faceva per la strada – tuttavia Ada provò uno strano senso di familiarità. Vedeva solo i libri, il computer e la scriminatura dei capelli rosso rame, ma era come se conoscesse l’intera scena. Un cestino per la carta straccia pieno a metà di fogli, polvere sugli scaffali, sul tappetino – ovunque – eccetto sulla tastiera ovale sopra la scrivania. Un leggero aroma di caffè e tanta concentrazione nell’aria. Stava scrivendo un romanzo, nessun dubbio.
La donna piegò la testa da un lato portando una mano alla bocca, come per ascoltare qualcuno. In strada si udirono le grida di un bambino; Ada guardò giù e vide una madre afferrare al volo il piccolo che sgattaiolava da ogni parte. Provò uno strano fastidio. Non era una strada dove la gente restava a casa a lavorare: durante il giorno era frequentata da madri ebree ortodosse con parrucca e sciarpa in testa, che passeggiavano parlando piano, e da professioniste trentacinquenni in maternità, capelli sottili e viso stanco, che gridavano ai loro piccoli di due anni cose come: “Scendi dalla macchina, Gabriel, mi sto bagnando!”. Con quale diritto l’altra scrittrice cambiava la struttura sociologica della strada?
La donna tossì e Ada si ammorbidì un po’ nei suoi confronti. Il modo in cui fissava lo schermo e il movimento quasi impercettibile delle braccia – stava scrivendo in fretta – era sicuramente preoccupante, altro che preoccuparsi per una pianta, come Ada, ma era anche un po’ consolante. Lì al primo piano, di punto in bianco, era nato un piccolo circolo che forse l’avrebbe aiutata. Forse, solo guardandosi e salutandosi con un cenno della testa, avrebbero potuto stimolarsi a vicenda.
Ada sbadigliò, ritornò alla scrivania e, cliccando ‘conto parole’, si accorse che quella mattina ne aveva scritte solo ventisei. Rileggendole, si rese conto che non andavano bene e spense il computer senza salvare.

Quel pomeriggio, lo studente preferito di Ada, Suleyman, raccontò in classe che in una cabina telefonica gli avevano rubato il portafoglio con la busta paga di McDonald’s dove lavorava durante la settimana.
“ Lo dimentico lì,” spiegò. “Torno, sparita, davvero.”
“ Sparito, davvero,” lo corresse Ada.
Fu nel dire questo che ebbe un improvviso prurito al capezzolo sinistro e per poco non urlò dal male. Invece di diminuire, il prurito aumentò diventando un bruciore terribile che non smise durante tutta la lezione, talmente forte che Ada dovette fare uno sforzo su se stessa per non scoppiare a piangere, mentre spiegava ai suoi ragazzi “Oggi spero”. Cosa stava succedendo? Cominciava così il cancro alla pelle? Fascite necrotizzante?
Tornando a casa, si sollevò un po’ nel vedere che il rosaio non era ancora morto: vide fra le erbacce un frutto e delle spine simili ad una mano tesa ad offrire una seconda possibilità. Il giorno dopo avrebbe fatto qualcosa. Girandosi per entrare in casa, alzò lo sguardo e si accorse che la luce dello studio della sua dirimpettaia era accesa. Erano le sette e mezza. Stava ancora scrivendo?
Sopra, nel buio della stanza, Ada premette il viso contro il vetro. C’era silenzio, eccetto un lontano rumore di traffico proveniente dalla via principale e il suo respiro, che aveva appannato la finestra. Il viso della donna era ancora piegato in avanti con gli occhi fissi sullo schermo, unica fonte di luce nella stanza. Poi cominciò a risuonare nella testa di Ada un lieve clicchete-clacchete, come dita che premono sulla tastiera. Clic-clic-clacchete-clic. Era l’altra scrittrice? Com’era possibile sentirla fino a lì? Provò a isolare il rumore; era l’eco del bollitore nell’appartamento dei vicini? No, veniva dall’altra stanza.
Il cuore di Ada batteva forte. Forse l’altra scrittrice aveva lavorato tutto il pomeriggio? Quante parole aveva scritto mentre lei era a scuola? Di che cosa parlava il suo romanzo? Doveva mettersi al computer e riprovare? Sola, al buio, si morsicò il labbro, troppo stanca, quando all’improvviso pensò alla rosa fuori che soffocava. Durante la notte sarebbe morta! La donna continuava a scrivere e Ada cercò di allontanare quel clic duro e aritmico, simile al codice di un carcerato sbattuto contro il muro della prigione.
Adam non tornò a casa prima delle due del mattino mentre Ada lo aveva aspettato davanti alla TV. Mettendosi il pigiama si era accorta di un’eruzione rosso-bluastra sul petto e aveva avuto paura di andare a letto… poteva addormentarsi e risvegliarsi senza qualche parte del corpo…
“ Scusa, piccola,” biascicò Adam inciampando, con gli occhi rossi e i capelli arruffati dopo la misteriosa sera passata a “navigare”. “Ugh!” esclamò quando lei gli mostrò l’eruzione, poi si addormentò stringendola in un abbraccio che sapeva di birra.

“Guarda.” La donna era lì dalle 7.30.
Ancora una volta, Ada sentì risuonare la strana eco di un tic-tocchete-tic.
Adam entrò nello studio in boxer. Si era appena fatto la doccia e odorava di fragola, e quando si appoggiarono al telaio della finestra, le strofinò il viso sul collo, cingendole la vita sotto il pigiama. Lei lo preferiva alla mattina quando non sembrava affatto uno studioso di matematica attuariale.
“ E’ stata lì tutto ieri,” disse Ada.
“ Ah si?”
“ Credo stia scrivendo un libro”.
“ Allora devi ucciderla.”
Ada sorrise. Pensò di chiedergli se sentiva il rumore, ma non lo fece.
“ Oppure andartene. Pensaci. Mettiamo che sia il primo libro. Che probabilità avete entrambe di trovare un editore? Di fatto zero.”
“ Non vedo perché.”
Gli girava le spalle ma sapeva che stava inarcando il sopracciglio destro a rimarcare la sua mancanza di intuito statistico; era l’espressione che preferiva in momenti come questo. Si abbottonò la camicia, trovò un paio di calzini e le parlò in termini numerici; quanti libri vengono pubblicati ogni anno? Quanti abitanti ci sono a Londra? La percentuale di coloro che scrivono il primo libro; la percentuale di coloro che scrivono il primo libro in ogni circoscrizione; le strade di Londra; la percentuale di due persone abitanti nella stessa strada – molto bassa; la percentuale di scrittori che riescono a pubblicare il primo libro – meno di uno; infine la percentuale di due neoscrittori di libri che abitano nella stessa strada – pari a zero.
“ Ti preparerò un foglio elettronico,” disse. La salutò con un bacio: “Ah, sono fuori anche stasera”.
Ada si sedette al computer e cominciò a scrivere velocemente con una mano sola. Premeva l’altra contro il seno sinistro, nel tentativo di calmare il prurito. L’eruzione si era trasformata in una specie di reticolo di piccole pustole rosse piuttosto dolorose, ma non aveva tempo per il dottore.
Svegliandosi aveva trovato la soluzione alla scena del nightclub. Sì, Lara e Gould si sarebbero incontrati lì e sì lui le avrebbe detto della dinamite, ma, ecco il bello, le AVREBBE MENTITO! Era proprio tipico di Gould, lui amava l’intrigo. In quel modo… La mano destra di Ada scattò come un uccello in trappola, seguendo il flusso delle parole. Sì! Sì! Così andava molto meglio!
Erano le otto e mezza quando, sotto i suoi piedi, si udì un rumore fortissimo, come di qualcosa che viene trascinato. Di sotto, nell’appartamento dei vicini, stava succedendo qualcosa: come se stesero spostando dei mobili. Senza farci troppo caso, Ada si alzò per prepararsi un caffè, e poi si sedette di nuovo per continuare a scrivere. A mezzogiorno cominciò a sentire l’effetto euforico della serotonina, come non succedeva da settimane. Si alzò malvolentieri per mettere la gonna per andare a scuola e quando guardò fuori dalla finestra in direzione dell’altra scrittrice, che scriveva sempre molto velocemente, lo fece con un sorriso amichevole – molto compiaciuto – un sorriso che diceva ‘siamo nella stessa barca’.
Uscendo di casa, si accorse che il rosaio era rimasto schiacciato. Una montagna di calcinacci, un fornello, attrezzi da cucina e un rivestimento per pavimenti arrotolato erano stati buttati nel giardino di fronte, proprio sopra la sua pianta. Due tizi bevevano tè appoggiati al muro.
“ Tutto bene, cara?” chiese uno.
“ Qui sotto c’è il mio rosaio…”
L’uomo sembrava gentile; i due mostrarono preoccupazione e Ada, riconoscente, cominciò a rimproverarsi.
“ Probabilmente non lo avete visto… a causa delle erbacce … avrei dovuto fare qualcosa tanto tempo fa.”
Ma colse un’occhiata fra i due e capì che fingevano, e che l’uomo che pareva gentile gigioneggiava. La stanchezza del giorno prima ritornò e in un lampo di intuizione capì che la scena del nightclub non andava bene. L’aveva inventata per spiegare la storia della dinamite ma era tutto così poco fluido.
“ Non preoccuparti, cara.” Le sorrise noncurante. “Sono forti, le rose. Una volta buttata via questa roba, rispunteranno, nessun problema.”

Suleyman stava raccontando di come la polizia lo aveva preso in giro riguardo il furto del suo portafoglio quando sentì di nuovo quel dolore lancinante. “Dio, perché non sono andata dal dottore?” pensò, barcollando.
“ Dicono che tanto per cominciare non avevo cento sterline.”
Mentre parlava, gli occhi scuri di Suleyman, belli e dalle lunghe ciglia, si riempirono di tristezza e Ada fu quasi sul punto di piangere. Il mondo che gli rubava cento sterline e poi non gli credeva, che non vedeva la bontà e l’onestà dei suoi occhi, era un luogo freddo, triste e spietato. Nessuna meraviglia se le sue rose erano morte.
Tornando a casa si fermò in farmacia per un parere.
“ Sembrerebbe fuoco di Sant’Antonio,” disse una donna in camice bianco. Su Internet, dopo 143 siti sui tetti in tegole, ecco la foto di un’eruzione identica alla sua. Herpes zoster, c’era scritto, comunemente associato a stress ed esaurimento, solo in casi rari sintomo di morbo di Hodgkin.
“ Morbo di Hodgkin?”
Spogliatasi, Ada si mise davanti all’unico specchio che aveva, quello del bagno, e cercò di osservarsi attentamente il petto, china sul lavandino e con lo zigomo premuto sul vetro. Le pustole, ora croste giallastre, sulla pelle bianca sembravano tante piccole stelle sperdute.
Nuda, entrò nello studio per spegnere il computer ma sentì ancora una volta il clicchete della tastiera, più forte. Al di là della strada l’altra scrittrice era alla scrivania, capo chino come sempre; per un momento Ada rimase in piedi davanti alla finestra, senza nascondersi dietro il muro, quasi aspettando che la sua carne sfigurata attirasse l’attenzione della donna. Non successe nulla: la donna continuò a scrivere e il rumore fantasma a risuonare nelle orecchie di Ada.
Nessuna intenzione di girarsi a guardarla.
Se muoio, pensò Ada, le probabilità di successo dell’altra cresceranno notevolmente.

Al risveglio sentì di nuovo il picchiettio. Dallo studio Adam le disse di alzarsi poiché l’altra scrittrice stava “passando in testa”.
“ E’ già al lavoro!”
Un rumore sordo di passi, risa, poi Adam le tolse il piumino e cercò di sollevarla dal letto; dopo una forte fitta di dolore al petto urtando la spalla, lo respinse ansimando.
“ Sto dormendo.”
“ Appunto. Lei no.”
“ Dove sei stato ieri sera?”
Si mise seduta sul letto, tentando di socchiudere gli occhi in segno di accusa; erano gonfi come un bruco allo stato di larva. Adam le scompigliò i capelli con tenerezza.
“ Sul serio, piccolina. Sono le otto. Ti arrabbierai con te stessa se non andrai avanti.”
Ada si fece una doccia, si vestì e per tutto il tempo sentì risuonare l’insopportabile clic della tastiera dell’altra scrittrice. Quando Adam uscì per andare a lavorare, si infilò sotto il piumino completamente vestita e si coprì la testa con due cuscini per non sentirlo. Lo sforzo fatto per alzarsi le aveva tolto ogni energia, si girò sul fianco sinistro per non sentire la terribile fitta al petto che persisteva e si addormentò di colpo.
Sognò che mentre parlavano allegri e sereni, Adam le diceva che avrebbe lasciato l’appartamento.
“ Non è per andare a vivere con un’altra, vero?” gli aveva detto scherzando, aspettandosi che lui facesse altrettanto.
“ Bè, veramente…” Aveva fatto dei cerchi con il dito della mano destra e respirato a fondo. “Sì!”
La nuova fidanzata era andata a trovare Ada. Era la donna rossa che abitava di fronte. Nell’insieme era uno schianto: pelle olivastra, sbarazzina, vestita in nero, elegante.
“ Che cosa ti aspettavi che facessi?” le aveva detto ridendo.
“ Sei un disastro! Non riesci neppure a innaffiare una rosa!”
Dopodiché Adam e la donna si erano seduti alla finestra, la testa vicina e gli occhi fissi sullo schermo. Insieme avevano alzato lo sguardo per salutare e avevano sorriso, come davanti ad una telecamera.
Ada rimase a letto tutto il giorno, il cervello martellato da quel fastidioso e prolungato clic clac. Era voluto? Voleva farla impazzire? Risentì le parole di Adam: “Devi ucciderla,” poi la risata della donna in sogno, “Sei un disastro!” e quando si girò per avvolgersi nel piumino, accaldata, vide il sorriso sprezzante della donna diventare rosso e crudele, i bellissimi denti bianchi trasformarsi in coltelli, gli occhi in ghiaccioli azzurri – una strega, un’assassina.
Nel tardo pomeriggio un mormorio coprì il rumore della tastiera. Ada si trascinò fino alla finestra e aprì uno spiraglio.
Giù, nella strada, gli operai gridavano manovrando un montacarichi che sollevava un cassonetto. Verso sera il sole si fermò per un po’ sulle case, illuminando i cornicioni bianchi delle finestre e creando dei giochi di luce tali da far risaltare le gemme sui rami degli alberi. Non c’era più una pesante e statica aria di indecisione: presto sarebbe arrivata la primavera.
Ada alzò la finestra e vide qualcosa di nuovo nella stanza di fronte. C’era qualcun altro. Un uomo panciuto, con una polo rossa piuttosto piccola e peli grigi sulle braccia. Percorrendo la stanza in su e in giù, gesticolava in direzione della donna. Lei continuava a fissare lo schermo, era diventata seria, come ignorando la lite in corso. Suo marito? Suo padre?
Un po’ alla volta capì che cosa stava succedendo. L’uomo era arrabbiato con la donna perché voleva che smettesse di lavorare: l’egoistica, assoluta, totale concentrazione della donna lo stava facendo impazzire, stava invadendo ogni angolo della casa che abitavano insieme e voleva scollarla dallo schermo, affinché lo guardasse e gli parlasse.
L’uomo si fermò dietro la sedia cominciando a gridare ma la donna non si girò. Rimase seduta, continuando a scrivere.
Di colpo, come in un gesto liberatorio, l’uomo si piegò su di lei, afferrò il video e cominciò a scuoterlo violentemente.
Ada guardò, come ipnotizzata, mentre la donna continuava a scrivere, leggermente piegata per schivare con il collo l’avambraccio dell’uomo.
Alla fine, come tra spasmi di dolore, l’uomo si allontanò e cadde contro il telaio della finestra, sconfitto. Si mise le dita fra i capelli. Ada provò vergogna per aver guardato e fece per andarsene. Fu allora che l’uomo alzò lo sguardo e si accorse di lei. Disse qualcosa inferocito e per la prima volta la donna si alzò dalla scrivania.
Venne alla finestra e guardò intensamente Ada, e per un po’ le due donne si fissarono. Non era bella e compiaciuta come nel sogno, né aveva l’aria beffarda da strega come nella visione di primo mattino ma appariva esausta e lo sforzo degli ultimi giorni era visibile nella bocca rigida e nella pelle opaca; la colpirono gli occhi grandi che, anche da lontano, emanavano una luce forte e indagatoria. Aveva un aspetto buffo; difficile. All’improvviso Ada sentì il desiderio di parlarle, di conoscerla. Di riflesso, fece un cenno. La finestra si richiuse di colpo e la donna sparì.
In strada gli operai scherzavano e ridevano fra loro; le voci risuonavano nell’aria dolce della sera. Il camion era andato via, lasciando il cassonetto al suo posto dove ora venivano buttati calcinacci dalla casa di fronte; le loro voci erano intercalate dal rumore degli oggetti che cadevano. Il picchiettio si era fermato? Ada ascoltò attentamente e pensò di sì, ma poi clic clic clicchete clacchete, eccolo di nuovo, quasi impercettibile, a fare da sottofondo al rumore della strada.
Adam comparve da dietro l’angolo. Sorpresa, dato che non lo aspettava così presto, si infilò subito la camicia e si sistemò i capelli mentre lo guardava avvicinarsi a casa. Non voleva sapesse che era rimasta a letto tutto il giorno. Si nascose dietro le tendine e sorrise teneramente quando si accorse dell’espressione del suo volto mentre percorreva l’ultimo tratto prima del cancello. Era impacciato, esitava u po’, come cercasse di nascondere vestito e cartella, prima di passare vicino agli operai, quasi temendo le loro risa.
“ Tutto bene?” li salutò con fare da ragazzo.
Lo salutarono appena e continuarono a lavorare. Invece di entrare subito, Adam si fermò un momento o due a riflettere. Uno dei due uomini, che portava un fornello, dovette scansarlo. E' strano, pensò Ada. Poi Adam si diresse verso il pezzo di terra dov’era cresciuto il rosaio, spiò fra i calcinacci rimasti, cominciò a spostare le macerie, rovistando tra frammenti di legno e vecchie tegole, finché non riuscì ad afferrare qualcosa.
Salì sorridendo timidamente e con in mano un bocciolo di rosa.
“ Buona Pasqua,” disse arrossendo. “E’ viva.”

La sera, mentre erano a letto, Ada si palpò il seno sinistro. Benché l’eruzione ci fosse ancora, non aveva più male.
Sentì le grida di un uomo in strada e spiò dalla finestra dello studio. Alla luce del lampione emerse dalla casa di fronte, goffa e con una vestaglia di flanella, l’altra donna, trasportando un oggetto solido e pesante. A piedi nudi, come sospinta da qualcosa, vacillava ad ogni passo.
Dopo uno sguardo rapido e diffidente dalla finestra del piano terra, per assicurarsi che i proprietari del cassonetto non stessero guardando, la donna cominciò a sollevare il peso. Fu allora che, sulla porta, apparve l’uomo dai peli grigi, immobile, tirandosi su la zip dei pantaloni. La donna si girò con una smorfia sarcastica e gli urlò qualcosa di sprezzante mentre, con un rumore secco e sordo, lasciava cadere il computer nel cassonetto.
Ada si infilò nel letto stringendosi il petto, con il senso di colpa di chi assiste ad una esecuzione. Rimase immobile, ad occhi aperti. Dopo alcuni minuti provò qualcosa di diverso, una sorta di eccitante liberazione. Si mise in ascolto. Il respiro di Adam fluttuava nel traffico, a bassa frequenza anche nelle prime ore del giorno, di Londra. L’alba era lontana e fino ad allora sarebbe rimasta sveglia ad ascoltare, perché sapeva, lo aveva già sentito, che se lo avesse fatto, le risposte che cercava alla fine sarebbero arrivate, in forme chiare e concrete.
“ Ascolta,” sussurrò nella notte: “Silenzio!”


(Racconto tratto dalla raccolta Riti di primavera, Centroscuola edizioni, Mantova, 2000, tradotto da Alberta Ancetti)


Kirsten Denker è nata in California ma è vissuta a Londra fin dalla prima infanzia. Dopo essersi laureata a Cambridge, ha lavorato con Greenpeace per sei anni. Ora lavora come scrittrice e redattrice indipendente, specializzata in questioni ambientali.



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