LA MACCHINA SMARRITA


José J. Veiga

Tu mi domandi sempre novità di questo sertão e, finalmente, posso raccontartene una importante. Sappi, compare, che ora abbiamo una macchina imponente che sta entusiasmando tutti. Da quando è arrivata non ricordo quando, non sono molto bravo a ricordare le date, non si parla quasi d'altro. E da come qui la gente se la prende persino per dei nonnulla, c'è da stupirsi come nessuno abbia ancora attaccato briga per causa sua, all'infuori dei politici.
La macchina arrivò una sera, quando le famiglie stavano cenando o finendo di cenare e venne scaricata di fronte al Municipio. A causa del vociare degli autisti e dei loro aiutanti (la macchina era arrivata con due o tre camion), molti saltarono il dolce o il caffè e andarono a vedere che gazzarra era quella. Come di solito succede in queste occasioni, gli uomini erano di cattivo umore e non volevano dare spiegazioni, urtavano di proposito i curiosi, pestavano loro i piedi e non chiedevano scusa, lanciavano sopra le loro teste delle funi con la punta unta di grasso, e chi non voleva sporcarsi o farsi del male, che si togliesse dai piedi.

Scaricate le varie parti della macchina, esse vennero coperte con dei teloni e gli uomini entrarono in un piccolo bar della piazzetta per mangiare e bere. Molti si accalcarono alla porta ma nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi agli stranieri perché uno di loro, intuendo l'intenzione dei curiosi, ogni tanto si riempiva la bocca di birra e la spruzzava in direzione della porta. Attribuimmo questo rifiuto alla stanchezza e alla fame e rimandammo i tentativi d'approccio per il giorno dopo ma, quando li cercammo la mattina presto nella pensione, venimmo a sapere che, durante la notte, avevano montato alla bene meglio la macchina ed erano partiti prima dell'alba.
La macchina rimase all'aperto senza che nessuno sapesse chi l'avesse ordinata né a cosa servisse. Chiaro che ognuno dava la sua versione, e una versione valeva l'altra.
I bambini che, come si sa, non sono per rispettare i misteri, cercarono di approfittare della novità. Senza chiedere il permesso a nessuno (e a chi avrebbero dovuto chiederlo?), tolsero il telone e presero a salire tutti insieme su per la macchina, e ancor oggi ci salgono, giocano a nascondino fra cilindri e stantuffi, rimangono impigliati nei denti degli ingranaggi e fanno un piangere del diavolo finché arriva qualcuno a liberarli. Non servono sgridate, castighi, botte: i ragazzini si sono semplicemente innamorati di quella macchina.
Contrariamente all'opinione di certe persone che non hanno voluto entusiasmarsi sicure che in pochi giorni la novità sarebbe passata e la ruggine avrebbe preso il posto del metallo, l'interesse della gente non è ancora venuto meno. Nessuno passa per la piazzetta senza fermarsi davanti alla macchina, e ogni volta c'è un dettaglio nuovo da notare. Persino le vecchine di chiesa, che passano all'alba e al vespero, tossendo e pregando, si voltano verso la macchina e accennano a una piccola genuflessione, manca solo che si segnino. Degli uomini forzuti, come quel Clodoaldo che tu conosci, che si esibisce nella piazza del mercato atterrando i tori prendendoli per le corna, trattano la macchina con rispetto e, se uno di loro afferra una leva e la scuote con forza, o tira un calcio agli stantuffi, si vede subito che è una bravata fatta per tenere alto l'onore della ditta, per mantenere la fama di coraggioso.
Nessuno sa veramente chi ha ordinato la macchina. Il sindaco giura che non è stato lui, e dice di aver consultato l'archivio e di non aver trovato nessun documento che autorizzasse la transazione. Nonostante ciò non ha voluto lavarsene le mani e in un certo senso si è accollato l'acquisto quando ha incaricato un impiegato di badare alla macchina.

Dobbiamo riconoscere - d'altra parte tutti lo riconoscono - che questo impiegato ha fatto bene il suo dovere. In qualsiasi ora del giorno, e a volte anche della sera, lo si può vedere arrampicato lassù in alto a spolverare ogni angolo, ogni ingranaggio, sparendo qua per ricomparire là, fischiando o cantando, attivo e instancabile. Due volte la settimana, lucida le parti metalliche dorate, sfrega, suda, riposa, sfrega di nuovo, e la macchina diventa brillante come un gioiello.
Siamo così abituati alla presenza della macchina lì nella piazzetta che, se un giorno si sfasciasse, o se qualcuno da un'altra città venisse a cercarla provando con documenti che ne ha diritto, non so cosa succederebbe, né ci voglio pensare. Lei è il nostro orgoglio, e non pensare che esageri. Non sappiamo ancora a cosa serva, ma ormai questo non ha più tanta importanza. Sappi che abbiamo ricevuto delle delegazioni da altre città, dallo stato e dall'estero, che vengono qui per vedere se riescono a comperarla. Arrivano facendo finta che non gli importi, fanno visita al sindaco, elogiano la città, girano intorno, fanno i preziosi, scoprono le carte: a quanto venderebbero la macchina? Per fortuna il sindaco è di fiducia ed è furbo, non abbocca.
In tutte le feste nazionali, la macchina è ora una parte importante delle celebrazioni. Ti ricordi che un tempo le feste venivano commemorate nel palchetto o nel campo di calcio, ma oggi tutto si svolge ai piedi della macchina. In tempo di elezioni tutti i candidati vogliono fare i comizi all'ombra di lei, e siccome questo non è possibile, qualcuno rimane escluso. Non tutti si rassegnano e si verificano sempre degli scontri. Ma per fortuna la macchina non è stata ancora danneggiata da queste baruffe e spero non lo sia mai.
L'unica persona che non ha ancora reso omaggio alla macchina è il parroco, ma tu sai com'è brontolone, e oggi ancora di più con l'età. Tuttavia non ha ancora cercato di fare niente contro di lei, e guai a lui. Finché si limita a velate censure, tolleriamo, è un suo diritto. So che è andato parlando di castigo, ma nessuno si è lasciato impressionare.
Finora l'unico incidente di una certa gravità che abbiamo avuto, è stato quando un commesso del negozio del vecchio Adudes (quel vecchietto pimpante che mette la brillantina sui baffi, ricordi?) è rimasto impigliato con una gamba negli ingranaggi della macchina, e questo per colpa sua. Il ragazzo, avendo bevuto durante una serenata, invece di andare a casa ha pensato bene di dormire in cima alla macchina. Non si sa come, è salito sulla piattaforma più alta, a notte fonda è rotolato giù cadendo su un ingranaggio e con il peso ha messo in moto le ruote. Le urla hanno svegliato la città, la gente è accorsa per vedere che cosa era successo, è stato necessario procurare delle tenaglie e altri ferri per far tornare indietro le ruote che mordevano la gamba del ragazzo. Per fortuna anche questa volta la macchina non ne ha sofferto. Senza gamba e senza lavoro, l'imprudente ragazzo oggi aiuta nella manutenzione della macchina, prendendosi cura delle parti più basse.
Si è già formato un movimento per dichiarare la macchina monumento cittadino, per ora. Il parroco, come al solito, è contrario. Vuole sapere a cosa sarebbe dedicato il monumento. Hai mai visto un uomo più acido?
Dicono che la macchina ha già fatto persino un miracolo, ma questo - detto fra noi - penso che sia un'esagerazione di gente superstiziosa, e preferisco non parlarne. Io, e credo anche la maggior parte dei cittadini, non mi aspetto niente di particolare da lei. Per me basta che rimanga dov'è, ci faccia felici, ispirandoci, consolandoci.
Il mio timore è che, quando meno ce lo aspettiamo, arrivi qui un giovanotto da fuori, di quelli intraprendenti, che capiscono tutto, guardi la macchina fuori, dentro, rifletta un attimo e cominci a spiegare le funzioni della macchina e, per mostrare che se ne intende (loro sempre se ne intendono), chieda all'officina una serie di chiavi e, senza badare alle nostre proteste, si metta sotto la macchina e si butti a stringere, aprire, martellare, ingranare e la macchina cominci a funzionare. Se ciò accadrà, si romperà l'incanto e non ci sarà più macchina.

 


(Traduzione di Julio Monteiro Martins insieme a Mirella Abriani e ai suoi studenti dell'Università di Pisa Chiara Zucconi, Francesca Renda, Simona Giannace, Marco Merlini, Lorenzo Tamburini, Alessandra Pescaglini, Gabriele Ceriani)


José J. Veiga, (José Jacintho Pereira Veiga; 1915-1999) era goiano di Corumbá de Goiás (Brasile), una cittadina a 150 chilometri da Goiânia, e diceva di dovere la scelta del suo nome letterario a Guimarães Rosa che, in base a elementi numerologici e stilistici, suggerì José J. Veiga al momento della pubblicazione del suo primo libro "Os Cavalinhos de Platiplanto", nel 1959.
Il suo romanzo "A Hora dos Ruminantes" è stato pubblicato nel 1966.
I suoi libri sono: "Sombras de Reis Barbudos", A Estranha Máquina Extraviada", "Objetos Turbolentos", "De Jogos e Festas", "A Usina Atrás do Morro", "Aquele Mundo de Vasabarros" e "Os Pecados da Tribo", "Torvelinho dia e noite", "Diálogos de relativa grandeza", fra gli altri.
Ha tradotto varie opere di autori stranieri.
I suoi libri sono stati pubblicati negli Stati Uniti, in Inghilterra, Messico, Spagna, Danimarca, Svezia, Norvegia e Portogallo. Nel 1997 ha ricevuto il Premio Machado de Assis, autorizzato dall'Academia Brasileira de Letras, per il complesso della sua opera.
È morto a Rio de Janeiro dove aveva vissuto per 49 anni.
Il racconto di cui sopra è tratto da "Objetos Turbulentos", Ed. Bertrand Brasil - Rio de Janeiro, 1997.



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