L'INAUDITA GUERRA DI VIALE GAGO COUTINHO

Mário de Carvalho

 

Il grande Omero a volte sonnecchiava, racconta Orazio. Altri poeti, spesso e volentieri, si concedono una siesta, con grave danno per la melodia e per l’eloquenza del discorso. Ma, sfortunatamente, non sono solo i poeti a concedersi qualche sonnellino. Anche gli dei.
Così accadde una volta a Clio, musa della Storia che, stufa dell'immenso arazzo millenario che doveva comporre, pieno di colori cenerini e ricoperto di disegni ridondanti e monotoni, reclinò la bionda chioma e si addormentò per qualche istante, mentre le dita, per inerzia, proseguivano la trama. Immediatamente due fili s’ingarbugliarono e dal disegno spuntò un nodo, estraneo alla levigatezza del tessuto. Si mischiarono allora le date del 4 giugno 1148 e del 29 settembre 1984.
Gli automobilisti che quella mattina di settembre entravano a Lisbona attraverso viale Gago Coutinho, in direzione Areeiro, furono colti immediatamente da grande panico e, per un attimo, tutta la zona fu invasa dal moltiplicarsi di uno stridente frastuono di motori, freni pigiati fino in fondo ed una sarabanda di clacson assordanti. Il tutto completato da un tintinnare di metalli, nitriti di cavalli ed imprecazioni gutturali a squarciagola.
Era accaduto che, proprio in quel momento, la truppa dell'almoada1 Ibn-el-Muftar, formata da berberi, azeneghi2 e arabi in numero superiore ai diecimila, era giunta sorniona dalla recinzione accanto al braccio di fiume che allora vi sfociava, con l'intento di mettere sotto assedio le mura di Lixbuna, un anno prima assediata e presa da orde di nazareni odiosi.
L’esercito all’improvviso si vede accerchiato da migliaia di automobili di metallo dai colori sfavillanti, nel mezzo di un baccano fragoroso - che cominciò a sostituire il soave cinguettio degli uccelli e il dolce ronzio dei mosconi - e fiancheggiato da pareti smisurate coperte di finestre luccicanti, che si ergevano dappertutto. I beduini spaventati governavano i cavalli impauriti nello stretto spazio di manovra che era loro concesso e Ali-ben-Yussuf, luogotenente di Muftar, uomo pio e timoroso di Dio, decise allora di smontare da cavallo per mettersi a pregare proprio in quel punto, dopo avere alzato le mani al cielo ed aver esclamato che Allah era grande.
Che Allah fosse grande ne era convinto anche il capo dell’esercito, ma non gli sembrò il momento opportuno per le preghiere, dato che la situazione richiedeva prima di tutto soluzioni pratiche e molto tatto. Frenò le pretese del luogotenente con un gesto secco, levò ben alto lo stendardo verde e sbraitò un ordine che riecheggiò, di squadrone in squadrone, fino ad arrivare all'ultima retroguardia, ormai molto vicina alla Rotonda dell'Incarnazione:
- Che nessuno si muova!
Ed el-Muftar, accarezzando la barbetta affilata e sistemandosi il turbante, valutava con aria perspicace il pandemonio attorno: - Erano sprofondati tutti nell'inferno coranico? Avevano fatto qualche torto ad Allah? O erano, piuttosto, vittime di un incantesimo di stregoneria cristiana?
Mentre l'arabo rifletteva dall'alto del suo purosangue, l'agente in seconda della PSP3 Manuel Reis Tobias, in servizio all'entrata di viale Gago Coutinho, mezzo nascosto dietro le colonne di un palazzo, con l'intento saggio e lodevole di sorprendere trasgressori ai semafori, cominciò ad intuire che qualcosa non andava e che doveva intervenire.
Vedendosi troppo isolato per potere occuparsi di quella situazione, attraverso il telefono della motocicletta trasmise al posto di comando un complicato messaggio, pieno di numeri e di cifre, che si potrebbe riassumere in questo modo:
Una moltitudine indeterminata di individui di sesso maschile, la maggior parte dei quali fornita di armi bianche ed altri oggetti contundenti, taglienti e perforanti, con bandiere e costumi di carnevale, a cavallo di solipedi, ha invaso viale Gago Coutinho e parte dell'Areeiro in una manifestazione non autorizzata. Poiché gli sembrava esserci insicurezza per la circolazione di persone e beni sulla strada pubblica, attendeva ordini e passava all'ascolto.
Dall'altra parte gli comunicarono che avrebbero provveduto, che nel frattempo si limitasse a presenziare la situazione e che non intervenisse affatto.
Un'immediata telefonata al governatore civile, e di questo al ministro, confermò che non erano stati previsti cortei, così che la macchina poliziesca si vide costretta ad intervenire in quella situazione. Suonarono le sirene nel quartiere di Belém e, pochi minuti dopo, alcuni plotoni della Polizia di Intervento si misero in cammino, con gran dispiegamento di sirene e frecce direzionali multicolori.
Nel frattempo, Ibn-el-Muftar si ritrovava di fronte ad una gran moltitudine di pedoni che apostrofava i suoi soldati. Erano gli automobilisti scesi dalle auto e che, tra l'irritato e il divertito, s'impegnavano in un rumoroso baccano. Doveva essere qualche réclame, dicevano alcuni; si trattava di un film, sostenevano altri.
Al moro, tutta quella gente a piedi non sembrò particolarmente minacciosa, tanto più che la folla circostante, di strani abiti vestita, non sembrava esibire armi di alcun tipo. Così che Ibn-el-Muftar decise di eseguire prudenti manovre nel breve spazio a disposizione.
Con alcuni segni della scimitarra si formarono con difficoltà uno o due squadroni nel parcheggio dell'Areeiro e una falange di fanti si posizionò nel piazzale della stazione di servizio sul lato opposto, mentre il grosso della truppa occupava la parte centrale erbosa. Decise di non lasciarsi impressionare dai gesti poco amichevoli che gli giungevano dall'interno degli oggetti metallici con ruote che vedeva dappertutto, né dai volti che lo fissavano da dietro uno strano materiale trasparente. Se si trattava di stregoneria, era meglio lasciare che passasse - bisbigliò a ben-Yussuf, il quale gli rispose, sconfortato e molto pallido: - inch Allah!
Manuel da Silva Lopes che conduceva uno di quegli irritanti camion carichi di griglie di birra che la Provvidenza si era incaricata di collocare nel traffico di Lisbona, decise, davvero in un brutto momento, di abbandonare il volante, scendere e, sicuramente invidioso della concorrenza, lanciare un sassolino che finì per echeggiare sull'armatura del beduino Mamud Beshewer il quale, per non essersi ancora ripreso da quello strano trambusto, era uno dei più tranquilli della schiera.
Con sprezzo del pericolo, Ibn-Muftar impartì un ordine e subito venti arcieri drizzarono gli archi, puntarono il cielo ed inviarono, con un intenso ronzio, una gragnola di frecce che obbligò tutti ad entrare nelle automobili e a cercare riparo nei portoni dei palazzi o dietro ai camion. Giunse dall'Areeiro una grande schiamazzo, questa volta più deciso, all'unisono.
Ora, fu questo clamore che il commissario Nunes, appena arrivato in viale D. Afonso Heriques, di fronte ai suoi plotoni di combattimento, interpretò erroneamente. C'erano dei tumulti, del baccano, considerò il commissario. Era, ancora una volta, la plebaglia che sfidava la polizia.
- Fai sgomberare tutto fino all'Areeiro - disse. Dopodiché, soffiando nel fischietto, mise la squadra in azione, manganellando qua e là ininterrottamente.
Non si trattava di poche persone che si potessero spazzar via senza più né meno, tanto che i plotoni della Polizia di Intervento avanzavano con difficoltà, riuscendo ad arrivare all'Areeiro solo qualche tempo dopo, in seguito a molte teste rotte e due perdite nelle sue fila di agenti, che erano stati saggiamente attratti verso vani di scale da cittadini più svelti.
Espulsa parte della moltitudine verso il Quartiere degli Attori, in mezzo ad un tremenda gazzarra, il commissario Nunes, affannato, raggruppò i suoi uomini in Piazza dell'Areeiro, sullo spiazzo erboso, con grave danno per dalie e ortensie lì alloggiate.
Tuttavia Ibn-el-Muftar cominciava ad apparire oltremodo irritato per i continui rumori e per la confusione attorno e specialmente per la secchiata d'acqua che qualcuno aveva lasciato cadere da una delle finestre e che gli aveva inzuppato il mantello e la cotta di maglia.
Quando vide di fronte a sé quello schieramento di fanti con scudo e visiera, pensò si trattasse, finalmente, dell'avanzare della guardia di Ibn-Arrik, la canaglia che voleva prendere Lixbuna, e che era giunto lì per frenargli il passo, al riparo di un magico incantesimo.
All’improvviso, irruppe una carica di cavalieri berberi al grido di guerra, scimitarra in resta, fiancheggiando automobili, ammaccando capots e avvicinandosi inesorabilmente ai ragazzi del commissario Nunes.
Questi, in coscienza, non si sentivano preparati ad affrontare cariche di cavalleria moresca: lo schieramento vacillò, roteò, si disfece e, quando le prime scimitarre apparvero di fianco ad un autobus della Carris, ormai gli uomini d'onore della Polizia d'Intervento correvano a perdifiato fino alla Birreria Munique, dove si rifugiarono dietro al bancone, lasciando spadroneggiare tutti quei mori nel piazzale centrale di Piazza dell'Areeiro.
In quel momento, la truppa del Ralis e della Scuola Pratica di Amministrazione Militare di Lumiar aveva già ricevuto l’ordine d’intervenire. E alla buon ora, perché il commissario Nunes e i suoi, acquattati da Munique, vedendo passare arabi a cavallo con aria minacciosa e ardimentosa, cominciavano a sentirsi sempre più insicuri.
I blindati del Ralis non riuscirono ad andare oltre il quartiere dell'Incarnazione. Occuparono la zona a sinistra per giungere più rapidamente e finirono per trovarsi coinvolti in uno spaventoso ingorgo con dei tir.
Più fortuna ebbe il capitano Aurelio Soares, di fronte alla sua compagnia di intendenti. Lasciarono le vetture di fronte al Vavá, in corso degli Stati Uniti, e fuggirono a ritmo di corsa verso la parte bassa, sulla zona erbosa, fino a stabilire un contatto con la truppa di Ibn-el-Muftar all'incrocio con la Gago Coutinho.
Il capitano Aurelio recava istruzioni per procedere ad un riconoscimento, valutare la situazione e agire di conseguenza, ma sempre con moderazione. Cosicché dispose i suoi tiratori, dopo aver allontanato i civili con urli energici ed esaminato ciò che gli stava davanti: c'erano migliaia di mori, la maggior parte dei quali a cavallo, che si stringevano nella Gago Coutinho tra le automobili e il traffico dell'ora di punta.
- Queste cose succedono solo a me! - si lamentava il capitano tra sé, dimentico delle molte migliaia di lisbonesi che si trovavano in quel momento di fronte al medesimo fenomeno.
- Va bene, vediamo un po'… - Ed ordinò ad alta voce, di lato:
- Vieni tu con me, alfiere, e porta un gruppo di sicurezza!
Con molta cautela, i sette uomini, dito sul grilletto, si avvicinarono ai mori.
In quel momento, Ibn-el-Muftar e il suo stato-maggiore percorrevano il viale per osservare lo stato generale dell'esercito, e si trovarono faccia a faccia con l'ambasciata del capitano Soares che, prudentemente, faceva cenni con un cencio bianco, prestato dagli inquilini di un pianterreno delle vicinanze. L'arabo, per istinto, pensò che quelli fossero uomini dell’esercito e, benché non comprendesse bene il significato della bandiera bianca che il capitano sventolava, non gli sembrò che le intenzioni fossero sospette. Le circostanze, d'altra parte, con tutta quella strana confusione attorno, consigliavano di temporeggiare. Dunque, si dispose da subito a parlamentare.
Al trotto, irruppe di fronte ad un picchetto della Compagnia dei Telefoni, che osservava il tutto con aria spaventata, si diresse verso il capitano e salutò, mano sul petto:
- Salam aleikum.
E il capitano Soares, che aveva svolto incarichi in Guinea, a contatto con gente musulmana, rispose automaticamente, curvandosi un po':
- Aleikum salam.
In quel momento, la dea Clio si svegliò di soprassalto dal suo sonno e all'istante si accorse dell'errore commesso. In un attimo, disfece il garbuglio dei fili e riportò ogni personaggio nel suo tempo.
Tanto che, come erano arrivati, così gli arabi se ne andarono da viale Gago Coutinho, lasciando il capitano Soares e tutti gli altri a grattarsi la testa, istupiditi.
Ibn-el-Muftar, a sua volta, appena vide vuotarsi il campo di tutta quella gente, di quegli oggetti e di quei palazzi, emise un sospiro di sollievo e decise di riprendere il cammino, rinunciando ad attaccare Lixbuna dove, tra l'altro, e al contrario di ciò che immaginava, Ibn-Arrik lo attendeva già, con macchine da guerra e fuochi accesi sulle muraglie. L'arabo considerò tutte quelle apparizioni di malaugurio poco propiziatrici di un assalto vittorioso contro Lisbona, e rinunciò alla città.
La musa Clio non ebbe il potere di far sì che gli eventi già verificati tornassero al punto zero. Non ne era in grado nemmeno il padre degli dei. Ma poté obnubilare la memoria degli uomini con spruzzate d'acqua del fiume Lete, in modo che, pochi secondi dopo gli avvenimenti narrati, né la truppa dei mori di Ibn-el-Muftar si ricordava dell'incantesimo che gli era capitato lungo il cammino, né il commissario Nunes sapeva cosa stesse facendo nascosto dietro il bancone del Munique, né il capitano Soares sapeva per quale motivo si trovasse in quel luogo a gironzolare con la truppa in fondo a viale degli Stati Uniti, né la guardia in seconda classe della PSP, Manuel Tobias, sapeva perché fosse avvenuto quell'ingorgo, né il colonnello Vaz Rolão, del Ralis, sapeva come fosse finito a bloccare la strada e come avesse lasciato che un auto-mitragliatrice si affastellasse contro un tir.
Per Ibn-Muftar l'avvenimento non risultò molto gravoso, poiché approfittò del viaggio di ritorno per distruggere i campi di Chantarim, sulle rive del Tejo, con grande vantaggio di bottini e saccheggi.
Più grave fu per il commissario Nunes, il capitano Soares e il colonnello Rolão spiegare al tribunale marziale cosa stessero facendo in quelle zone di fronte a distaccamenti armati. In quei giorni si parlò molto d’insurrezione e i giornali seguirono con passione lo svolgersi dei processi.
Quanto alla dea Clio, fu privata di ambrosia per quattrocento anni il che, ne conveniamo, non è certamente un castigo tale da poter dissuadere da nuove distrazioni.



1 Membro della setta religiosa e politica degli Almoadas (fine XII secolo).
2 Lingua parlata dai Berberi o tribù moresca del Sahara occidentale e del Nord Est dell'Africa.
3 Polizia di Sicurezza Pubblica.




(Traduzione dal Portoghese di Daniela Di Pasquale)



(Tratto da A Inaudita Guerra da Avenida Gago Coutinho, Lisboa, Editorial Caminho, 1992, 7 a ed., pp. 27-35)


Mário de Carvalho è nato nel 1944 a Lisbona, laureato in Diritto, pubblica le sue prime opere negli anni ’80. Ribelle al canone dei generi letterari e definito scrittore dalla narrazione lineare che non disdegna metalessi e intrusioni della voce narrante, l’autore coniuga il racconto delle atmosfere pittoresche della sua Lisbona con la narrazione di eventi dai contorni surreali. Nel 1981 escono i Contos da Sétima Esfera, scritti secondo tecniche molto personali e al limite del non trasmissibile. La narrazione di Mário de Carvalho si compiace di un certo virtuosismo nella costruzione sintattica e di un procedere caleidoscopico, dai contorni sfumati e stilisticamente impalpabili. Da un lato, troviamo la narrazione del fantastico e dell’assurdo calati in una contemporanea quotidianità in cui storia e mito s’intrecciano fino a confondersi, dall’atro, una narrazione realista, il romanzo di riflessione, la ricerca morale sulla condizione dell’uomo come animale politico. In O Livro Grande de Tebas Navio e Mariana (1982), un racconto di viaggio di continente in continente e di epoca in epoca sullo sfondo di una caos primigenio tra scenari babelici e leggende apocalittiche, troviamo una storia in movimento, una dislocazione perenne verso l’altro, dalle macerie del passato alla più sfrenata fantasia del futuribile. Se Tebe è il passato, metafora di una Storia che non ci appartiene più, Lisbela rappresenta il futuro, città visibile ma irraggiungibile, inconoscibile come l’avvenire. Da un altro punto di vista, la metafora della nostalgia rivoluzionaria che seguì alla Revolução dos Cravos, tema affrontato anche in Os Alferes (1989) e in O Sentido da Epopeia (1996). Nel 1983 l’autore pubblica A inaudita guerra da Avenida Gago Coutinho, realismo fantastico e ironico che riunisce testi trasgressivi e teoclasti concernenti la coscienza dell’irrazionalità tanto del divino quanto dell’umano. A Paixão do Conde de Fróis (1986) racconta le stravaganti vicissitudini di un giovane aristocratico, utilizzando l’immaginazione nel combinare e confondere riflessioni moderne e giocose, ma il processo di ri-scrittura postmodernista dell’autore è particolarmente evidente in Um Deus passeando pela brisa da tarde (1995), storia di un magistrato dell’Impero di Marco Aurelio e di una patrizia cristiana, in cui l’aspetto ludico e parodistico rivela un realismo del disincanto sincero e razionale di fronte all’evolversi dei tempi e al mutare delle stagioni della Storia. L’ultimo titolo del 2003 è Fantasia para dois Coronéis e uma Piscina.

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