CASA STRANIERA

 

Silvia Persicone

 

 

E così, all’improvviso sono diventato un estraneo, uno straniero, addirittura un abusivo. Torno a casa e non ci sei. Tutto è in ordine, perfettamente in ordine, come da sempre, ma al tuo posto mi accolgono boxer e calzettoni, messi bene in fila sul tavolo, una pila di magliette, stirate con la tua solita cura maniacale, i pantaloni sportivi, come tanti impiccati sulle grucce, e per fino il giubbotto imbottito che abbiamo comprato insieme per l’ultima settimana bianca. Vado in cucina e sul tavolo non trovo nulla di familiare. Dov’è finita la nostra tovaglia a quadri? E il servito viola che ti sei voluta far regalare lo scorso natale? Guardo meglio e vedo solo tre righe blu scarabocchiate di fretta sul blocchetto attaccato al frigo: Stasera dormo fuori, porta via tutte le tue cose. Ieri non mi hai voluta ascoltare, “non sai quello che dici”, ripetevi, ma stavolta ho deciso: è finita. Da lunedì la casa è in vendita. Se vuoi cenare arrangiati.
Per un attimo sento franare il terreno. Cosa cazzo significa che dormi fuori? Resto sveglio e ti aspetto. Eh sì che ti aspetto! Nel frigo trovo solo vasetti avviati di maionese, capperi e marmellate di tutti i tipi, rigorosamente bio. Naturalmente il pane non c’è e così mi rassegno a mangiare capperi e Mayò, mentre lo stomaco diventa di muriatico. Un caffè, poi un altro, poi sento l’ascensore. Niente: è il vicino di casa che torna da chissà dove. Le tre. Dopo quattro mesi di sacrifici, cerco nella ventiquattrore il pacchetto di Malboro e riprendo a fumare. Ancora un caffè. Comincio a sentirmi a disagio, i muri mi guardano in modo sospetto come se non mi avessero mai visto. Eppure li ho imbiancati io, solamente due anni fa. Che cosa hai fatto a questa casa?
Discovery Channel sta mandando un documentario sulle tartarughe delle Barbados, ma non lo vedo, non mi sarebbe di nessun aiuto. Non è un modo vincente di vivere, quello di andare piano aggrappati alle proprie sicurezze, serve dinamismo per Dio! E’ per questo che quelle pesanti testuggini devono morire, estinte nel caldo del loro guscio.
Tu, invece, adesso sei diventata una donna emancipata, finalmente lavori e magari in ufficio hai trovato anche qualcuno per farti scopare. Meglio di come lo faccio io? Scusa so che è infantile ma mi è venuto spontaneo. Così di punto in bianco credi di poter cambiare tutto e io divento l’uomo nero, il cattivo di ogni situazione. Improvvisamente sono lo sconosciuto che fa paura.
Dei cinque anni passati insieme rimane poco più che un giubbotto imbottito e una televisione che dobbiamo ancora finire di pagare. Le tue cose si rintanano nei cassetti per non toccare le mie e tu cerchi qualcuno per la notte, per avere la forza di non vedermi rientrare.
Ho chiamato Eleonora, lo so che sono quasi le quattro, non m’interessa se dormiva. Non sa assolutamente dove sei. Non le credo, ma non importa. Allora ho telefonato a Giulio, ha risposto dopo non so quanti squilli e, con la voce di chi non ha sonno, mi ha detto che i nostri problemi devono restare fra noi. I nostri problemi. E quali sono, scusa, i nostri problemi?
Stamattina sono uscito lasciandoti a letto come faccio di solito, dopo aver fatto colazione con il succo di frutta alla pera ed i biscotti che compri da anni nel negozietto all’angolo. Adesso fra questi quattro muri non c’è traccia del nostro passato. Dimmelo, hai fatto sparire anche il negozio all’angolo?
Non dovrei ammetterlo, ma mi sono affacciato alla finestra. La piccola bottega è ancora lì. E allora cosa è successo? Come sei riuscita in due soli giorni a bruciare tutto il mio mondo? Nessuno mi conosce, non ho più una storia, fra cinque giorni questa casa potrebbe essere di qualcun altro…perché poi? C’era bisogno di un gesto tanto estremo o tutto era programmato da chissà quanto tempo?
Continuo a fumare caffè e a bere sigarette e posso dirti, adesso che sono le sei, quante persone, che saluto appena, escono per andare al lavoro quando di solito io non mi sono ancora alzato per andare a pisciare. Cartoon Network sta proiettando vecchi film della Disney e le mie mutande sono state buttate infondo al borsone blu. Ho trovato dei vecchi biscotti nella credenza, dietro le tisane depurative e sto facendo colazione mischiando con sadismo le tue preziose marmellate.
Appena ti avrò rivista e riparlato me ne andrò. Dovrai tornare prima o poi e io ti aspetto, tanto ho ancora maionese a sufficienza per tirarci fuori il pranzo. Non ho bisogno di aiuto per fare una valigia, non resto dove non mi vogliono e non mi fa paura cercarmi un altro appartamento. Quello che mi fa rabbia è essere diventato un estraneo senza la possibilità di un appello.
Ma sai perché di questa lunga notte, che già sta arrendendosi al mattino, ti lascio queste pagine? Perché in tutto questo una cosa è veramente drammatica. Ieri mi hai detto, senza una ragione apparente, senza averne mai fatto cenno prima, che non eri felice, che volevi una vita diversa, che io non ti capivo, che ti facevo paura, che non mi amavi, che il nostro rapporto non poteva continuare…Ti ascoltavo, giuro, ho sentito tutte le tue parole. E ti guardavo anche: al posto dei tuoi occhi c’erano due biglie colorate e la bocca era diventata l’astuccio rosso di coltelli affilati. Eppure non capivo. I suoni che mi raggiungevano non erano molto diversi dalla mia lingua ma sicuramente non appartenevano a un linguaggio che potevo comprendere. Adesso sono naufragato fra mobili che non mi riconoscono e pareti che forse mi hanno solo dimenticato ma mi chiedo: se questo è il tuo mondo, fino a l’altro ieri, chi era lo straniero di cui si doveva avere paura?

 







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