Commozione & Il patto

 

Juan José Millás

 

Commozione

Avevi ragione, madre, se rimani fuori dal coro alla fine resti solo come un cane. Non lo farò mai più. Ecco, per dimostrare tutto il mio pentimento, queste righe profondamente sentite sul Papa: è morto un campione di libertà, un uomo che ha portato la Chiesa a incredibili livelli di democrazia interna e che ha riconosciuto i diritti dei gruppi tradizionalmente più deboli o dimenticati, fossero uomini, donne, omosessuali o filatelici (nel caso in cui la filatelia sia un'opzione venerea, ora non ricordo). Il suo odio nei confronti delle tirannie è stato tale che ha somministrato l'eucaristia a Pinochet, conosciuto anche come il Libertador del Cono Sur, con il quale la Chiesa di Giovanni Paolo II ha collaborato attivamente e senza complessi. Parliamo di Pinochet per non citare altri eroi minori come Videla, che ha portato avanti la sua missione redentrice grazie al valido aiuto dei vescovi argentini.
Speriamo che la Chiesa non approfitti della sua morte per tornare a ridurre la donna nella condizione servile dalla quale Wojtyla l'ha liberata. Speriamo che il Vaticano continui a scommettere sulle comunità di base, sui diseredati della Terra, come ha fatto Giovanni Paolo II quando decise di appoggiare i teologi più attivi nella diffusione del messaggio di Cristo tra i poveri. Prego Dio di illuminare i cardinali affinché scelgano un successore capace di continuare la rivoluzione che quest'uomo ha portato avanti in un'istituzione già di per sé progredita. O gli spagnoli potrebbero forse dimenticare la complicità, intesa nel senso buono della parola, delle gerarchie ecclesiastiche con Franco, di cui applaudì le torture fino a consumarsi le mani? Perché Franco, come ha dimostrato la storia, è stato un altro campione di libertà. A quando la sua beatificazione?
Non rimarrò più solo. In futuro farò solo ciò che la televisione mi ordinerà, anche se in contrasto con la mia esperienza. Scrivo queste righe seduto al tavolino di un bar, immerso nel sole di aprile. Nessuno, intorno a me, mostra di avere subito una grande perdita, ma dev'essere un effetto ottico, perché tutti i telegiornali parlano di un dolore universale, che colpisce ogni abitante del pianeta. Mi arrendo, mamma, e a partire da questo momento ripudio l'uso del preservativo e mi allineo con il pensiero unico.





Il patto

Ai cavalli, esseri umani quali sono, piacerebbe essere montati da anime sensibili e non da individui in uniforme che brandiscono una spada. È ingiusto (per i cavalli) che non esistano statue equestri di musicisti, poeti o filosofi… A chi piacerebbe apparire sempre con una persona indesiderata in groppa? Immaginate l'umiliazione provata dalla famiglia del quadrupede utilizzato come modello per la statua di Franco in tutti questi anni di esposizione pubblica di fronte ai Nuevos Ministerios. Se fossimo un po' giusti cercheremmo il modo di risarcire quella specie animale nei cui occhi è scritta tutta la storia dell'orrore, perché non si sono persi neanche una battaglia, una conquista o una corrida. Ecco il prezzo della nobiltà.
Sicuramente Pinochet avrà diverse statue equestri in Cile, alcune in veste di dittatore e altre in veste di generale. Speriamo che non gliene erigano un'altra in veste di ladro, visto che, mentre i suoi subordinati si dedicavano a strappare eroicamente le unghie ai detenuti, il valoroso militare svuotava le casse dello Stato a suo beneficio. A oggi si sono scoperti milioni di dollari depositati in USA su centoventicinque conti correnti segreti. Fategli una statua, se volete, ma per favore non coinvolgete i cavalli in questa fuga di capitali. Sistemate il dittatore in groppa a una cimice o a un pidocchio, animali parassiti ai quali risulta più affine e che non ci fanno pena, da sempre compagni di viaggio fastidiosi e molto poco solidali delle classi sociali più svantaggiate. Non si è ancora vista una cimice che nidifichi tra le lenzuola di seta di un banchiere.
Chi non ha mandato giù il fatto che venisse rimossa la statua di Franco è Rajoy. Ha detto che in quel modo era stato infranto il patto della transizione, che oltre all'indulto per i monumenti equestri del Caudillo includeva il perdono per i collaboratori della sua banda armata. Ma questo non è esatto, signor Rajoy. Se allora nessuno venne giudicato, fu perché abbiamo subito quella transizione con una pistola alla tempia. Perché, adesso che è definitivamente scomparso quell'esercito golpista, non si può bonificare il paesaggio? Se le dà fastidio, signor Rajoy, è perché lei sta dove sta, e non è nemmeno strano, visto che si ritrova come presidente onorario uno dei capoccia di quella banda.




(Testi tratti dal giornale spagnolo El Pais del 8/4/05 e del 25/3/05. Traduzione di Massimo Sottini)




Juan José Millás nasce nel 1946 a Valencia, quarto di nove fratelli. Nel 1952 si trasferisce con la famiglia a Madrid, nel quartiere periferico di Prosperidad che, successivamente, si convertirà nello scenario privilegiato dall'autore in tutta la sua opera. Nel 1967 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia, frequentando i corsi serali e alternando gli studi a diversi lavori, senza però riuscire a ottenere la laurea. I suoi modelli principali sono Dostoyevski e Kafka, ma esplora anche lo sperimentalismo, sull'onda delle opere di Cortázar. Nel 1990, giunto ormai al suo ottavo romanzo, vince il premio Nadal con La soledad era esto, aprendogli le porte del successo editoriale. In quello stesso anno comincia la sua collaborazione con El País che, ancora oggi, a distanza di 15 anni, ogni settimana pubblica una sua colonna in ultima pagina. Scrittore affermato ma anche giornalista critico e pungente, la sua prosa combina il gelido ritratto del paesaggio urbano (tramutandolo in un ambiente semifantastico) con una visione quasi angosciante dell'essere umano, sempre in balia del caso e di forze che costantemente lo sovrastano. In Italia sono stati tradotti e pubblicati Il disordine del tuo nome (1994), L'ordine alfabetico (2001), Non guardare sotto il letto (2002) e Racconti di adulteri disorientati (2004).




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