LA SOPPRESSIONE DI UNA VITA


Jeremy Rifkin


Se vogliamo davvero capire quanto profonda sia la spaccatura filosofica fra la percezione americana e quella europea sulla gestione della politica estera, il punto di partenza più adatto è l'analisi del modo diverso in cui nelle due società viene affrontata la questione della pena di morte. È su questo terreno che si misura, faccia a faccia, il divario nelle idee: è legittimo che lo Stato si prenda la vita di un essere umano? E dato che la guerra è prendersi vite e sacrificare vite, la posizione europea sulla pena di morte può offrire una valida interpretazione del suo approccio alla politica estera e alla sicurezza internazionale.
Non c'è questione che veda gli europei più solidali nelle loro opinioni di quella della pena di morte: per gli europei, l'opposizione alla pena capitale è tanto sentita quanto lo fu quella alla schiavitù per gli abolizionisti americani. Anzi, per essere una società così mutevole nelle proprie passioni, quella europea esprime un disgusto immediato e genuino per la pena di morte che non trova riscontro in alcun altro angolo del mondo. Negli Stati Uniti l'esecuzione di un prigioniero nel braccio della morte trova scarsa eco, in Europa genera veementi proteste. Non c'è da sbagliarsi: gli europei sono gli abolizionisti del ventunesimo secolo, sono ben determinati a evangelizzare il mondo e a non fermarsi finché la pena capitale non sarà abolita in tutto il mondo.
Agli americani potrebbe sembrare incredibile che i paesi candidati all'ingresso nell'Unione europea debbano abolire la pena di morte come prima e necessaria condizione: provate a immaginare gli Stati Uniti che pongono l'opposizione alla pena di morte come prerequisito per l'ottenimento della cittadinanza.
Perché tanto fervore? Nel corso del Novecento gli europei hanno vissuto in prima persona tali e tante stragi e distruzioni per mano dei governi che il solo pensiero di uno Stato in possesso del potere formale di porre fine all'esistenza di un essere umano li inorridisce: nel secolo appena terminato sono stati 187 milioni gli uomini uccisi per mano dello Stato e molti di loro erano europei. La pena di morte, per gli europei, è un minaccioso ricordo del lato oscuro del loro passato, di un periodo in cui lo Stato poteva ordinare la morte di milioni di individui nei campi di battaglia o in quelli di concentramento, da Auschwitz al Gulag.
Nel 1983 il Consiglio d'Europa ha adottato il Protocollo n. 6 per la Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali (ECHR), che metteva al bando la pena di morte, con la sola eccezione dei casi di atti commessi in tempo di guerra onell'imminenza della guerra. Nel 2002 il Consiglio d'Europa ha emendato il protocollo, vietando completamente e incondizionatamente la pena di morte, anche per i crimini commessi in tempo di guerra o nell'imminenza della guerra.
L'emendamento del protocollo è stato oggetto di dure controversie. Dopo gli attacchi terroristici al Pentagono e al World Trade Center, il confronto fra Usa ed Europa si è fatto acceso quando Francia, Spagna, Gran Bretagna e Finlandia hanno dichiarato che non avrebbero estradato negli Stati Uniti eventuali sospetti terroristi di Al Qaeda, se questi fossero stati sottoposti a processo in corti militari ed esposti a una condanna a morte. La Casa Bianca e il dipartimento di Stato, oltre a molti cittadini americani, si sentirono offesi dalla prospettiva che un sospetto terrorista, potenzialmente responsabile della morte di migliaia di persone, potesse ottenere protezione legale in un paese europeo.
Anche se commette il crimine più efferato e ripugnante contro altri esseri umani, incluso il genocidio, un individuo ha - secondo le parole ufficiali dell'Unione europea - "una intrinseca e inalienabile dignità". La condanna capitale, secondo 1'UE, è "una negazione della dignità umana, che è la base fondamentale di un patrimonio comune dell'Unione europea, fatto di valori e principi condivisi". Questo significa che se, per esempio, Adolf Eichmann - uno dei responsabili del piano di sterminio degli ebrei e di altre minoranze nella Germania nazista - fosse processato oggi in Europa, e riconosciuto colpevole, non sarebbe condannato a morte. (Processato nel 1961 per crimini contro l'umanità da un tribunale israeliano, Eichmann fu condannato e impiccato nel 1962.)
Sono molti gli americani che si oppongono alla pena di morte e che lottano per la sua abolizione come gli europei, mentre la stragrande maggioranza degli americani - due su tre - non solo è favorevole alla pena capitale, ma probabilmente è anche convinta che il responsabile di una strage, con il proprio gesto, rinuncia volontariamente al diritto di essere considerato un membro del genere umano.
La posizione degli europei rispetto alla pena di morte tocca il cuore del loro nuovo sogno e per questo sperano di convincere il mondo della bontà della propria causa. Ecco cosa dice un memorandum dell'Unione europea sulla pena di morte:
Molto tempo fa i paesi europei, nella prassi o nella legge, hanno compiuto una scelta umanitaria, abolendo la pena di morte e promuovendo così il rispetto per la dignità umana. Questo è un principio fondamentale che l'UE desidera condividere con tutti i paesi, così come condivide valori e principi come la libertà, la democrazia, la giustizia e la salvaguardia dei diritti umani. Se avrà successo in questo suo progetto, l'UE, insieme a quei paesi, avrà difeso la causa dell'umanità.

Il documento continua invitando "gli Stati Uniti d'America ad abbracciare la medesima causa".
Per colmo di ironia va sottolineato come proprio l'Unione europea, i cui popoli hanno, per la maggior parte, da tempo abbandonato la devozione cristiana, sembri voler raccogliere l'eredità della dottrina cristiana riguardo all'inviolabilità di ogni vita umana.
Molti europei sarebbero riluttanti a riconoscere il proprio debito nei confronti della cristianità, ma è un dato di fatto che l'opposizione alla pena di morte è radicata nelle scritture del Nuovo Testamento. Nel discorso della Montagna Cristo rivolge ai suoi discepoli queste parole: "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra".
Cristo va anche oltre, affermando: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori".
Confrontiamo l'opposizione degli europei alla pena di morte con l'opinione degli americani in materia. La maggioranza del popolo più cristianamente devoto del mondo preferisce un approccio alla punizione da Vecchio Testamento. Il 37% di coloro che sono favorevoli alla pena di morte afferma di esserlo sulla base delle Scritture e, in particolare, della cosiddetta "legge del taglione".
Nonostante il fatto che Cristo, morendo sulla croce, abbia pregato Dio di perdonare i suoi aguzzini "perché non sanno quello che fanno", gli americani sono assai meno disposti al perdono e il loro atteggiamento nei confronti del crimine è per sua natura molto più retributivo: i sondaggi rivelano quanti americani siano convinti che un individuo condannato a morte meriti questa pena. Alcuni osservatori della mentalità americana, fra i quali Richard Nisbett della University of Michigan e Dov Cohen della University of Illinois, ritengono che la preferenza degli americani per la retribuzione derivi, almeno in parte, dalla necessità di difendere i propri possedimenti sulla frontiera, dove i diritti di proprietà erano meno tutelati: ogni ragazzo americano cresce guardando western hollywoodiani, in cui i ladri di bestiame vengono inseguiti dalle squadre dello sceriffo o da vigilantes, e impiccati al primo albero.
Gli europei, al contrario, si oppongono drasticamente all'idea di una giustizia retributiva e l'Unione europea chiarisce che "la pena disporte non deve essere considerata un modo idoneo a compensare la sofferenza delle vittime di un crimine, dato che una visione del genere ridurrebbe la giustizia a uno strumento di illegittima vendetta personale".
Al centro della dottrina cristiana c'è la fede nella redenzione: anche il peggiore fra i peccatori può essere salvato. Promuovendo la riabilitazione, l'Unione europea abbraccia questo fondamentale convincimento cristiano, quando afferma che "il mantenimento della pena di morte non sarebbe compatibile con la filosofia della riabilitazione perseguita dai sistemi di giustizia penale di tutti i paesi membri dell'UE, secondo cui uno degli obiettivi della pena è la riabilitazione o il reinserimento nella società del colpevole".
Per essere equi bisogna chiarire che la riabilitazione continua a essere uno degli obiettivi dichiarati del sistema giudiziario anche in America, e sono molti gli americani che appoggiano questo indirizzo. Ma i sondaggi rivelano che molti altri loro concittadini cominciano ad allontanarsi da tale dottrina, radicalizzando la propria posizione riguardo al ruolo del sistema giudiziario. Sono bastati pochi decenni per invertire in maniera stupefacente l'atteggiamento dell'opinione pubblica rispetto al dilemma fra riabilitazione e retribuzione, questione fondamentale rispetto a come la gente definisce se stessa come popolo e il proprio codice morale. Mentre l'Europa - e quasi tutto il resto del mondo industrializzato - ha abolito la pena di morte, negli ultimi trent'anni l'America è andata nella direzione opposta: 38 Stati ora ammettono la condanna capitale e, negli ultimi 39 anni, sono stati giustiziati oltre 800 esseri umani. Più dell'85% delle esecuzioni hanno avuto luogo negli ultimi dieci anni.
Il sostegno dato dagli americani alla pena di morte non è solo il riflesso della vecchia tradizione della frontiera, che interpretava la giustizia in chiave veterotestamentaria, ma anche di una visione apocalittica del mondo, oggetto di contesa tra forze del bene e forze del male: alla fine il bene trionfa, ma solo se appoggiato dalla forza legittima dello Stato. Anche gli europei sanno che ci sono personaggi poco raccomandabili in giro per il mondo, e che a volte è necessario ricorrete alla forza dello Stato per assicurare la pace e il benessere generali, ma partono dal presupposto che l'impiego della violenza da parte dello Stato sia l'extrema ratio, qualcosa a cui ricorrere solo in circostanze straordinarie.
Si dovrebbe riconoscere che non tutti gli europei sono contrari alla pena di morte e che un considerevole numero di persone, in alcuni paesi, ha sentimenti analoghi a quelli della maggioranza degli americani. Tuttavia l'élite politica, gli opinion leader, le classi medie e professionali hanno da tempo preso le parti dell'abolizione delle sentenze di morte emesse in nome dello Stato.
Così, gli americani accusano gli europei di vezzeggiare i criminali o, peggio ancora, di compiacersi dei loro comportamenti malvagi, mentre gli europei accusano gli americani di essere spregiudicati e incivili, per l'appoggio che danno alle esecuzioni capitali: dietro tutto questo c'è una differenza molto palpabile fra le due superpotenze nella visione del mondo in cui vivono e del futuro che promuovono,
Lo zelo dell'Europa nell'abolizione della pena di morte è inestricabilmente legato al sogno dei diritti umani universali: se il vecchio sogno illuminista imponeva di stabilire norme di comportamento civile, il nuovo sogno cosmopolita parla di codici di condotta basati sull'empatia. Se gli europei accettassero l'idea che lo Stato abbia il diritto legittimo di prendere la vita di qualunque essere umano, metterebbero a repentaglio l'idea stessa di diritti umani universali superiori alle prerogative dello Stato.
Il problema con cui si sta confrontando l'Europa è quello di convivere simultaneamente con due mondi: il mondo quotidiano della realpolitik e il sogno di un mondo a venire migliore. Mantenere il proprio impegno per il futuro senza perdere di vista i pericoli molto concreti che si manifestano nel presente è un compito ingrato, e lo è particolarmente nella definizione di un programma di politica estera: in che modo rendere coerente la guerra contro un nemico con una posizione filosofica che considera immorale prendersi la vita di un criminale?
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(Brano tratto dal saggio Il sogno europeo, Oscar Mondadori edizioni, Milano, 2004. Traduzione di Paolo Canton.)




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