INTERVISTA AL DIAVOLO SENZA VELO D'ALLEGORIA

(liberamente ispirato alla realtà)


Alberto Chicayban


Giornalista: (impugna il microfono) - Sono Paolo Caruso in diretta dal Penitenziario della città di Sao Paolo. Sono qui con il pericoloso criminale Marcola, indiscusso capo della delinquenza e del traffico di droghe nella capitale paulista. Marcola si dice sia il responsabile dell'ordine di guerra a tutto spiano lanciato contro le forze dell'ordine. In questo momento le strade sono coperte di autobus incendiati e corpi di persone innocenti morte nelle sparatorie. Diverse fonti parlano di qualcosa di simile a quanto accaduto alla periferia di Parigi...

Giornalista: (si gira verso l'intervistato) - Allora Marcola... è vero che sei il capo del cosiddetto Primo Comando della Capitale - il PCC - che promuove una guerra contro la cittadinanza di Sao Paolo?

Marcola: (sorride in maniera di dimostrare un'amara ironia) - Sono di più.

Forse sono un segno dei nuovi tempi. Non mi avete guardato per molte decadi. Quando c'era tempo per risolvere il problema della miseria vi siete occupati dei pettegolezzi delle puttane del calcio. La diagnosi era ovvia: il latifondo, le migrazioni di massa dalla campagna, la creazione dei ghetti, l'alta concentrazione di reddito in mano a pochi. Le favelas erano poche, le periferie timide. Tutto era ancora facile a quei tempi ma eravamo importanti soltanto come vittime nelle frane per fare crescere l'audience. Ogni tanto un cantautore parlava della bellezza delle favelas all'alba. Cose di questo tipo. Adesso siamo diventati potenti con la multinazionale della cocaina e siete morti di paura. Siamo il tardivo inizio della vostra coscienza sociale?

Giornalista: - Secondo lei c'è una soluzione?

Marcola: - Soluzione? Non c'è nessuna soluzione. Lo stesso concetto di soluzione è inadeguato in casi come il vostro. Hai mai guardato la misura delle cinquecentosessanta favelas a Rio de Janeiro? Sai cos'è una favela con quattrocentomila persone? Hai mai sorvolato le periferie di Sao Paolo? Come sarebbe un soluzione? Tanti miliardi di dollari spesi in maniera organizzata da un governo di alto livello, una enorme volontà politica, crescita economica controllata, una rivoluzione nel campo della pubblica istruzione, un'altra rivoluzione all'urbanistica. Tutto sotto una sorta di tirannia illuminata per scavalcare un Parlamento di mafiosi. O lei pensa veramente alla possibilità di vedere una soluzione democratica tramite quelle sanguisughe di deputati e senatori? La loro banda riesce a superarci nel crimine organizzato perché tutte le loro differenze spariscono quando si tratta da mettere qualcosa in tasca. Niente. Continueranno a rubare come topi. Non hanno limiti perché l'immunità creata da loro stessi blocca le possibili punizioni! Ci sarebbe bisogno di una riforma radicale di tutte le strutture governative e del Potere Giudiziario. Ci sarebbe bisogno di una vera comunicazione di tutte le polizie, dalla comunale alla federale. Impossibile. Siete bloccati anche nell'aspetto della comunicazione. Non parlate la stessa lingua fra di voi! In cambio noi riusciamo a fare delle teleconferenze fra i penitenziari. Sveglia ragazzo! La tua soluzione costerebbe miliardi e miliardi di dollari e richiederebbe un cambiamento profondo nella struttura politica del Paese. Non c'è soluzione!

Giornalista: - Hai paura della morte?

Marcola: - Siete voi che avete paura di morire. Io sono al penitenziario e non mi potete uccidere perché sono dentro. Io invece posso ordinare la vostra uccisione perché siete fuori ( ride )! La verità è un'altra. Siamo dei kamikaze. Nelle favelas possiedo più di centomila uomini bomba. Siamo al centro dell'Insolubile. Voi siete dalla parte del cosiddetto Bene ed io dalla parte del Male. Al centro il confine della Morte. L'unico confine. Siamo un'altra specie, esseri diversi da voi. La Morte per voi è un dramma cristiano nel palcoscenico di un letto, un attacco di cuore, un ictus. La morte per noi è il corpo buttato in una discarica. Gli intellettuali del Sessantotto parlavano di guerra di classi, ci dicevano di ribellarci. Eccoci qua! Quello che non aspettavate erano i guerrieri della cocaina! Dentro di me, giornalista, c'è vita intelligente! Ho letto tremila libri circa. Lego Dante ma i miei soldati no. Loro sono degli organismi strani formati nelle anomalie dello storto sviluppo di questo paese. L'ottava economia del mondo ( ironico )! Non ci sono più proletari, gente infelice o sfruttata. Quel che esiste è una terza cosa che spunta nel fango. Gente educata nell'analfabetismo, diplomati nelle galere. Come degli “Alien” nascosti nelle fessure delle città ( ride ). È arrivato un nuovo linguaggio. Non avete ascoltato le intercettazioni realizzate con il consenso della Giustizia ? È così! Un'altra lingua. Siamo arrivati alla post miseria! Ecco! La post miseria genera una nuova cultura assassina aiutata dalla tecnologia, satellite, cellulari, Internet, armi moderne. La solita merda con chips e megabytes! I miei uomini sono dei mutanti della specie sociale. Sono funghi che spuntano da un grande errore sporco...

Giornalista: - Marcola, cosa è cambiato nelle favelas di Rio e nelle periferie miserabili di Sao Paolo?

Marcola: - C'è denaro. Chi dispone di quaranta milioni di dollari, come il mio collega Fernando Beira-Mar, comanda. Con quaranta milioni di dollari la prigione è un albergo, un ufficio! A quale polizia piacerebbe uccidere la gallina dalle uova d'oro? Siamo un'azienda moderna, ricca! Ci sono poche differenze rispetto le normali aziende. Per esempio, una delle differenze è che se un dipendente sbaglia viene licenziato e buttato in un forno a microonde ( risata ). Dai, facciamo un'analisi comparativa. Voi rappresentate uno stato fallito con le tasche bucate e dominato da incompetenti. Voi siete lenti, dipendenti della burocrazia. Noi abbiamo un'agile metodologia di lavoro. Noi lottiamo nel nostro territorio e voi in terra straniera. Non abbiamo paura della morte, voi siete morti dalla paura. Siamo bene armati con la tecnologia di oggi. Voi siete equipaggiati con pistole a tamburo calibro trentotto da cowboy. Siamo all'attacco e voi alla difesa. Avete la mania dell'Umanesimo Cristiano. Noi siamo crudeli e senza pietà. Voi ci trasformate nei super eroi del crimine. Noi vi trasformiamo in pagliacci. Voi siete odiati. Noi, per amore o paura, siamo aiutati dalla popolazione delle favelas e periferie. Siete provinciali. Noi siamo globali, le nostre armi e i nostri prodotti vengono dall'estero. Voi ci dimenticate quando la violenza decresce. Noi non vi dimentichiamo, siete i nostri clienti ( ride )!

Giornalista : - Cosa dobbiamo fare, Marcola? Cosa possiamo fare per raggiungere un compromesso o un accordo di pace?

Marcola: - Ti dirò qualcosa anche contro i miei interessi. Arrestate i baroni della cocaina! Ci sono persone dell'alta borghesia brasiliana, senatori, ministri, generali, anche ex presidenti del Paraguay nel business della cocaina e del supporto a quel business. Questo non è una novità, tutti lo sanno. Ma il problema è chi lo farà! L'Esercito Brasiliano? Con quale finanziamento? Non hanno denaro neanche per dare da mangiare alle reclute! Il paese ha le tasche vuote e deve provvedere il sostegno di uno Stato morto pagando interessi del venti percento all'anno! Ogni presidente che arriva aumenta il numero di sanguisughe ad almeno quarantamila unità! L'Esercito non può lottare contro di noi. Ti dirò una cosa. Sto leggendo Clausewitz, un classico della strategia militare! Non avete nessuna possibilità concreta. Abbiamo anche missili anticarro. Possiamo prendere quanti missili Stinger vogliamo. Per sconfiggerci dovete bombardare le favelas con delle bombe atomiche. Ma anche noi possiamo trovare una di quelle cosiddette bombe sporche a buon mercato. Hai già pensato, per esempio, in una Ipanema radioattiva?

Giornalista: - Dunque, non c'è veramente soluzione?

Marcola: - Potete arrivare a un discreto successo a patto di lasciar perdere la normalità. Non esiste nessuna normalità. Avete bisogno di fare un'autocritica della vostra incompetenza. Il sistema Mondo è identico al Sistema Brasile. Esistono due uscite per i miserabili: la delinquenza o il terrorismo. Abbiamo scelto la prima, ma non è detto che la seconda opzione sia da buttare. Sarò sincero, ragazzo. Siamo tutti al centro dell'Insolubile. Per noi è routine. Per voi non c'è l'uscita, soltanto la merda! Però anche quella è nostro territorio di lavoro! Ascolta, fratello: non c'è nessuna soluzione! Sai perché? Perché voi non potete capire l'estensione del problema. Come ha scritto il Divino Dante: “Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate"!

Giornalista: - Grazie Marcola. Con una citazione di un poeta romano in puro latino abbiamo finito quest'intervista. Restituisco la linea alla regia.

(Sipario veloce)

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 

Una nota:

Cari Amici,
La lettura drammatica di cui avete appena letto la trascrizione fa veramente parte di un'intervista pubblicata dal giornale brasiliano “ O Globo ”. Non ci è voluto molto lavoro per rendere il testo comprensibile in italiano.
Di sicuro conoscete qualcosa su quel “grande errore sporco” segnalato dal trafficante Marcola: l'integrazione negata a milioni di esseri umani mantenuti in condizioni di esistenza disumane. L'esclusione ha una storia universale e all'interno di essa l'istituzione del ghetto rappresenta un modello di gestione dei rapporti fra gruppi umani diversi che, tramite l'isolamento fisico forzato, cerca di evitare conflitti immediati lasciando alle generazioni future una vera bomba ad orologeria.

La parola ghetto utilizzata in tutto il mondo per indicare un luogo di segregazione è una parola di origine veneta utilizzata per indicare il quartiere istituito nel 1516 per gli Ebrei di Venezia. Secondo questa teoria la parola potrebbe derivare dal nome di una fonderia accanto alla zona del rione ebraico. Un'altra spiegazione portata avanti da Wertheimer, gran rabbino e professore di linguistica a Ginevra, propone l'origine di ghetto nell'idioma ebraico-caldeo: guddah (separazione) o ghet (luogo di gente che vive ripudiata e segregata dal consorzio degli altri, nonché posto sorvegliato).
Le due radici dell'ebraico-caldeo sono perfettamente coerenti con l'immagine storica che conosciamo del ghetto. Al tramonto i portoni del quartiere Ebreo venivano chiusi e sorvegliati da guardie cristiane fino l'alba quando erano riaperti. Agli Ebrei era vietato abitare o tenere uffici al di fuori del perimetro del ghetto ma ai Cristiani era permesso entrare per fare affari o portare pegni in cambio di prestiti. Altri popoli europei hanno adottato la stessa idea come i portoghesi con la judiaria o ghetto degli Ebrei a Lisbona. La parola judiaria in portoghese ha acquisito il significato di “cattiveria” o “pratica crudele” proprio per questi motivi.
I processi di segregazione ed esclusione dei quali il ghetto è stato solo una piccola realtà hanno aiutato a creare una cultura ebraica intrisa di resistenza, di sviluppo delle proprie capacità, di voglia di superamento e di ostinazione che l'hanno resa preparata ad affrontare qualunque ostacolo. Non credo di esagerare se affermo che la loro sfiducia verso i non ebrei - detti in ebraico goin , stranieri – rasenta quasi la paranoia dopo gli accanimenti criminali dell'Europa nei loro confronti. Avranno sentimenti diversi gli armeni, i curdi o gli zingari?
La stampa vi ha abituato ai termini favela , barriada , slums , banlieu o periferie degradate come indicativi di realtà abitative precarie oppure come sinonimi di luoghi nei quali la gente cerca di arrangiarsi per sopravvivere. Ma quello che spesso la stampa nasconde o non dice su questi Nuovi Ghetti sono i seguenti punti: a) la situazione d'abbandono delle comunità; b) la non integrazione degli individui alla vita nazionale e alle istituzioni dello Stato; c) lo sviluppo di gerghi o linguaggi particolari che distinguono l'interno dall' esterno; d) le violenze quotidiane subite dall' esterno e dall'interno; e) la crescente organizzazione amministrativa e militare alternativa in assenza dello Stato; f) i rischi di conseguenze nefaste per le zone privilegiate vicine e poi lo spostamento delle stesse conseguenze verso le zone privilegiate lontane dalla zona del Nuovo Ghetto. Le notizie che escono sui Nuovi Ghetti riguardano generalmente casi di delitti, atrocità oppure catastrofi naturali. Se non ci sono morti o fatti scabrosi qualunque evento importante che riguarda la vita di una di queste comunità sarà puntualmente ignorato dalla stampa. L'esclusione crea all'interno dei Nuovi Ghetti un ambiente particolare adatto allo sviluppo di sistemi efficaci di sopravvivenza e di educazione precoce per affrontare i problemi fondamentali della dura esistenza. Un realismo spietato e la sfiducia in qualunque istituzione o persona provenga dell'esterno convivono con usi linguistici adatti a nascondere agli altri i disegni e le emozioni degli esclusi. Siccome manca la presenza delle autorità costituite e l'attenzione generale ai bisogni primari della comunità, è più che comprensibile la creazione di strutture governative gestite dai membri più attivi, riconosciuti come leader. È molto comune la scelta di criminali come capi naturali più adatti al compito di lottare in nome della comunità per guadagnare visibilità e appropriarsi dei diritti negati a tutti.
La creazione di forze armate è una conseguenza naturale dello sviluppo delle proprie strutture governative appena menzionate. Poche regole, molta flessibilità e un'organizzazione gerarchica basata sulle capacità dimostrate sul campo convivono con punizioni estreme per gli errori commessi dai soldati. Il capo diventa dentro la comunità un uomo di successo, invidiato e paradossalmente amato anche se molte volte esercita la crudeltà contro la povera gente del suo stesso gruppo sociale. La dimensione dei Nuovi Ghetti può generare uomini come Marcola in Brasile, in Sicilia, a Napoli, in Colombia o nell'Oriente Medio. I Nuovi Ghetti possono essere paesi e intere regioni del pianeta abbandonate, umiliate, violentate e saccheggiate senza nessun ritegno, ma il conto, presto o tardi, arriva agli autori o complici dei soprusi.
Non so se conoscete questa piccola perla: se fosse possibile ridurre il Mondo ad un piccolo villaggio di cento individui, settanta persone sarebbero analfabete e cinquanta sarebbero malnutrite. Settantacinque abitanti dello stesso villaggio Mondo non avrebbero un tetto o un posto per dormire. Soltanto una persona fra i cento abitanti avrebbe un computer e una laurea. Nonostante tutta questa povertà nel piccolo villaggio Mondo il cinquantanove percento di tutte le ricchezze locali sarebbe di proprietà di appena sei individui. Tutti statunitensi. Sarà una coincidenza.
Sono nato in un paese che detiene due primati: il numero di mondiali di calcio e la maggiore disparità fra ricchi e poveri del pianeta. Inoltre in Brasile circa il sei percento dei proprietari di terre ha in mano più dell' ottantatre percento delle aree coltivabili. Un altro numero interessante riguardo al latifondo in Brasile: secondo l'Istituto Nazionale della Riforma Agraria, il tre percento delle proprietà sono latifondi e questi occupano circa il cinquantasette percento delle terre utili all'agricoltura. Una buona parte dei nostri problemi è provocata da questa situazione abnorme che ci fa sprecare una gran quantità di risorse perché da noi, in maniera abbondantemente comprovata, la piccola proprietà produce molto di più rispetto alla grande tenuta. Il latifondo storicamente ha provocato e provoca l'esodo dalle campagne alle città costituendo le favelas e le periferie miserabili. I latifondisti brasiliani sono coltivatori della miseria e della violenza.
Voglio raccontarvi un' esperienza personale rispetto ad uno di questi Nuovi Ghetti. Una volta - era il 1982 o 1983 - un mio caro collega musicista ha invitato il sottoscritto al suo pranzo di compleanno in una favela di Rio de Janeiro. Il giorno dell'invito mi ha dato appuntamento in un bar nella strada vicina alla favela per guidarmi nel labirinto. Premetto che tutte le favelas sono un labirinto. Chi non appartiene al luogo non riesce a orientarsi in quei formicai di casette ammucchiate nei quali l'unica logica urbanistica appartiene al campo della lotta per l'esistenza. Appena cominciati a salire i gradini di una scala improvvisata scavata nella terra abbiamo trovato una sorta di ridotto piazzale nel quale dei ragazzi giocavano a carte e un ragazzino teneva in aria un aquilone. Accanto ad ognuno dei ragazzi si scorgeva una pistola. Il mio amico ha salutato il gruppo e mi ha presentato come il maestro di musica che lavorava con lui in città. I ragazzi hanno dimostrato simpatia nei miei confronti nonostante fossi vestito in maniera molto diversa da loro. Nel breve scambio di parole si sono sforzati di parlare un portoghese quasi chiaro. A mio avviso la gentilezza era dovuta a due cose: a) ero accompagnato da una persona del rione; b) lavoravo con quella persona in città e non avevo mostrato preconcetti nel venirla a trovare nella favela . Sono stato giudicato come un diverso da non odiare.
Lungo la salita abbiamo trovato altri due piazzali e sempre ragazzi armati ascoltando musica o parlando fra di loro. La scena della presentazione si è ripetuta altre due volte. Alla sommità avevano allestito una tavolata con la polenta alla “moda di Bahia”. Nei dintorni alcuni ragazzi facevano la sorveglianza armata con fucili militari moderni e mitragliatrici israeliane del tipo Uzi. Ho domandato al mio collega il perché dell'artiglieria e ho appreso che alla sommità custodivano la cocaina da smerciare.
I gruppi di ragazzi trovati procedendo verso la sommità rappresentavano gli anelli di sicurezza attorno alla favela e il ragazzino del primo piazzale era l'incaricato di segnalare al commando, tramite movimenti codificati dell'aquilone, informazioni sulle persone che arrivavano alla favela . Sapevano in anteprima se un estraneo in compagnia di un abitante del luogo fosse diretto alla sommità. Di sera utilizzavano fuochi d'artificio di colori e tipi diversi per trasmettere precise informazioni. L'organizzazione militare rendeva un eventuale arrivo a sorpresa della polizia o di gruppi rivali pressoché impossibile.
Una ricerca ha dimostrato che circa il novantacinque percento degli abitanti delle favelas è costituito da lavoratori e lavoratrici. Soltanto il cinque per cento è coinvolto con il crimine. La polizia, però, è temuta da tutti come il peggiore dei nemici e quasi tutti gli abitanti delle favelas possono raccontare di soprusi praticati da poliziotti contro persone indifese. Una signora residente in una favela vicina a Rio mi ha raccontato che suo figlio,handicappato, è stato derubato dello stipendio da un gruppo di poliziotti. Non contenti lo hanno spinto dentro una fogna aperta con la raccomandazione la prossima volta di portargli più denaro per non subire qualcosa di peggiore.
Durante le incursioni nelle favelas le così dette forze dell'ordine non si fanno problemi a buttare giù le porte delle case o a pestare gratuitamente gli abitanti anche se sono vecchi o sono donne incinte. Innocenti morti in incidenti durante i blitz della polizia sono comuni e le eventuali inchieste si concludono quasi sempre con la non colpevolezza dei poliziotti. Le guerre fra bande per il possesso dei punti di smercio della cocaina sono un comune fattore di mortalità della popolazione nelle favelas . Durante le sparatorie l'utilizzo d'armi da fuoco è normale ed i proiettili ad alta velocità sono in grado di trafiggere le normali pareti di mattoni e colpire gli abitanti inermi. I soldati della polvere bianca sono aggiornati sulle ultime produzioni dell'industria internazionale della morte. Il governo del traffico di droga paga in contanti e a prezzi superiori a quelli del mercato internazionale per la consegna di materiale militare alla favela . A volte la polizia non riesce neanche ad identificare il micidiale, modernissimo equipaggiamento utilizzato dalla delinquenza, come è accaduto durante un normale controllo stradale qualche anno fa a Rio: dentro il portabagagli di una macchina c'erano quindici fucili nord americani Colt-AR15 fuori serie con visori infrarossi. Diverse volte durante perquisizioni sono state ritrovate granate, esplosivo plastico, mortai e addirittura missili Stinger appartenenti all'esercito della cocaina.
Il potere dei samurai della droga in Brasile è immenso. Nel già lontano 1992, durante il summit mondiale dell'ecologia a Rio de Janeiro, l'allora governatore Leonel Brizola ha invitato i capi del traffico di droga a sedersi al tavolo delle trattative per evitare un possibile smacco al paese durante l'evento. L'accordo è stato trovato e alla famosa conferenza Eco 92 tutto è filato liscio. Il governatore ha formalmente negato l'incontro con i rappresentanti del traffico ma tutti nel giro della stampa di Rio de Janeiro sanno che il negoziato c'è stato veramente. La domanda è: a quale prezzo?
Negli ultimi mesi sono accaduti episodi di guerriglia urbana a Rio e poi a Sao Paolo ordinati dai trafficanti Fernando Beira-Mar e Marcola. I disturbi hanno provocato decine di morti e l'incendio di centinai di autobus di linea per opera dei soldati della droga. Rinchiusi dentro penitenziari i due signori della guerra hanno scatenato l'inferno nelle due importanti città brasiliane soltanto perché non desideravano essere spostati in altri penitenziari di massima sicurezza. Hanno deciso, come si dice, di “dare una dimostrazione di forza”. Negli Anni '80 è stata scoperta in Brasile un'organizzazione molto innovativa, degna dello spirito neo liberale: la Borsa della Cocaina. Si trattava di un'opportunità sicura e molto lucrativa nella quale, in maniera totalmente anonima, un uomo d'affari poteva investire del denaro nell'acquisto di cocaina in grande quantità per agevolare il traffico. All'epoca lo scandalo ha guadagnato la prima pagina dei giornali nazionali ma dopo pochi giorni è stato dimenticato perché è accaduto un miracolo: nessuno (di rilevanza) è stato punito!
I veri padroni del traffico di cocaina non sono Fernando Beira-Mar o Marcola. I proprietari delle aziende della droga sono uomini al di sopra di ogni sospetto, personaggi della cronaca sociale che non hanno mai messo i piedi in una favela . I boss della cocaina sono parte dell'élite che ha sempre lasciato perdere tutte le occasioni per affrontare i problemi nazionali, sono alleati della stessa tradizione che se ne frega della sovranità nazionale e regala cinquantaquattro mila ettari di Amazzonia per la costruzione di una - soltanto una - base militare nord americana come ha fatto l'ex presidente Fernando Henrique Cardoso. I boss della cocaina si siedono a fianco dei rappresentanti delle multinazionali democraticamente eletti dal popolo brasiliano, sono compari dei parlamentari latifondisti. Si possono trovare anche fra i ministri evasori, fra i giudici proprietari di bische, fra i generali strozzini. Il traffico è diventato un vero “treno dell'allegria”, dove la corruzione regna sovrana.
Una parte molto significativa degli uomini che potrebbero, tramite azioni di governo, cambiare la situazione d'esclusione di cinquanta milioni di cittadini brasiliani che vivono al di sotto della soglia di povertà è direttamente interessata all'esistenza delle favelas come centro d'affari del traffico di droga ed è anche proprietaria del latifondo che genera le favelas . Gli stessi uomini che rappresentano gli interessi della nazione svendono le risorse del paese e perfino il territorio nazionale. Le dette soluzioni democratiche non sono credibili perché le elezioni sono ormai una farsa ripetuta ogni quattro anni. Le migliori intenzioni vengono annientate quando si tratta di decidere in Parlamento perché la priorità è difendere l'interesse privato dei parlamentari, delle loro famiglie e degli amici, nonché il capitale internazionale. Chi esula da queste categorie non può aspettarsi niente oltre il dimenticatoio.
Il problema è che il numero degli esclusi cresce in modo esponenziale e finisce per diventare una schiacciante maggioranza inferocita allenata nella scuola del sopravvivere ad ogni costo. A quel punto il gruppo di privilegiati diventa prigioniero e subisce il fatto di non poter lasciare la propria casa senza guardie del corpo. Gli individui della minuta e arroccata casta superiore vivono terrorizzati dallo spauracchio delle rapine, dei sequestri, delle sparatorie, delle aggressioni commesse dai membri della onnipresente casta inferiore: sono caduti in una sorta di ghetto dorato mortale. Oggi a Rio e a Sao Paolo è in corso una sorta di guerra civile non dichiarata e la stessa atmosfera inizia a contaminare altre città brasiliane. Si tratta di quello che chiamo l' “effetto Marcola”. Il fenomeno, a mio avviso, non è esclusivo del continente sudamericano, riguarda anche una parte del mondo industrializzato, quello delle periferie, nascosto alle telecamere e viene stimolato dalla costruzione di mura, dall'azione violenta della polizia, dalla stampa disonesta che investe sul pregiudizio razzista, dalle legislazioni aberranti o dai politici psicopatici vestiti in verde o nero. E' abbondantemente presente in Africa e nel Medio Oriente: le politiche internazionali settecentesche praticate dagli Stati Uniti d'America hanno stimolato l'effetto Marcola un po' ovunque. Adesso la differenza fra narcotrafficanti e terroristi riguarda soltanto il metodo per finanziare l'acquisto dell'artiglieria.

Un abbraccio,
Alberto Chicayban



.
         Precedente    Successivo          Copertina