INDIVIDUI E COLLETTIVITA'


Anastasija Gjurcinova


Dal momento in cui scoppiò la "crisi" in Macedonia, da alcuni mesi ormai, mi sto ponendo le stesse domande. La prima: è possibile che non ero in grado di vedere che cosa stava accadendo attorno a me, quante persone si preparavano a fare la guerra? E come mai io non l'avevo capito, non me ne sono accorta? Mi sono lasciata prendere dall'ottimismo irrazionale di tanta gente che chiudeva gli occhi e faceva finta di niente? No, in realtà, ero fra le poche persone che avevano intuito gli eventi di questa primavera, avevo preso sul serio le analisi dei famosi servizi "segreti" occidentali. Però, dentro di me conservavo sempre la speranza: ma no, non accade anche qui, con tutta questa "convivenza" che stiamo praticando da anni ormai e della quale siamo stati così orgogliosi...
Eppure, è accaduto e sembra che accadrà ancora. È inutile ora spiegare quanti esempi conosco a favore del concetto della convivenza e del funzionamento della nostra vita insieme. È inutile spiegare che considero assolutamente inaccettabile questa lotta armata, che, ovviamente, non ha niente da fare con i "diritti umani" della nazione albanese, una nazione che sta vivendo con noi e fra noi, da sempre. Dall'altra parte, cercando di mettere in atto il mio "pensiero critico": subito dopo i primi spari mi sono domandata: ma forse avevamo vissuto davvero vite parallele? Chissà se abbiamo saputo ascoltare e capire le richieste degli "altri". I conflitti non accadono d'un tratto. Di solito sono frutto di situazioni con radici più profonde, che qualcuno aveva nutrito a lungo facendole crescere, insistemente, proprio in questa direzione. Ed è questo che mi tormenta, la direzione sconosciuta nella quale i grandi globalizzatori spingono ora anche il mio paese, tutta la regione, le nostre vite.
La Macedonia era orgogliosa del suo "multiculturalismo", del concetto che ora vediamo come si scioglie davanti ai nostri occhi. Ma, anche il concetto stesso dovrebbe essere, mi pare, ripensato. Prima degli anni 90 abbiamo vissuto tutti insieme secondo il vecchio principio della "fratellanza ed unità", una impostazione ideologica del comunismo che doveva tenere insieme tutti i popoli jugoslavi. Forse ero solo bambina, ma in un modo ingenuo io ci credevo, vivendo normalmente quella realtà, fra tanti amici di varie origini etniche. Poi, ci hanno insegnato a praticare i nostri rapporti avendo sempre in mente la società "multietnica" e "multiculturale". E abbiamo creduto di praticarla abbastanza bene. Ma, chissà se basta questo tipo di multiculturalismo, questa semplice "coesistenza" delle diverse culture. Ovviamente no. Cerco di pensare la situazione nel campo letterario. Il diritto di pubblicare le nostre opere ognuno nella sua lingua ci ha impedito di conoscerci realmente, anche se le nostre culture si producono e si diffondono vicinissime, una accanto all'altra. Bisogna tradursi reciprocamente, invece, o fare edizioni bilingue. Sarà l'unico modo per praticare il dialogo e l'"intercultura". Inter-agire per cominciare a comunicare davvero. Però, attenzione: stiamo sempre parlando solo dei rapporti di due nazioni, riducendo il concetto del multiculturalismo in Macedonia ad un semplice bi-culturalismo! E i rapporti con le altre nazioni, le altre minoranze etniche? Nessuno se ne occupa. I problemi si moltiplicano, come anche i punti di vista. Ma, dall'altra parte, vorrei credere che ci sia anche qualcosa che ci unisca. Dovrebbe esserci. Perché ci siamo ed esistiamo tutti insieme sullo stesso spazio. Nonostante l'appartenenza alle diverse nazioni, etnie ecc. Essere macedoni presuppone anche avere qualcosa in comune. Tempo fa un gruppo di intellettuali ha proposto, in questo senso, di sviluppare il concetto di "intracultura": cercare di vedere e di trovare le "stesse" "cose" dentro le nostre diverse culture. Forse anche questa può essere una buona strada da seguire.
La cosa più difficile in questo momento per me, è trovare il posto del mio "io", tra i concetti dell'individualità e della collettività. Ho paura che ci siamo ridotti, tutti, a semplici rappresentanti delle grandi entità etniche, nazionali, confessionali, per non dire - tribali. Parti del collettivo! L'individuo, con tutte le sue energie creative e vitali, è stato svalutato insistemente negli ultimi tempi, in queste parti d'Europa. Tutte le iniziative andavano a favore delle bande criminali, nascoste cosí bene nel potere politico ed economico della regione. Vivendo questi anni di "transizione", fra il discorso rifiutato (il marxismo e il comunismo) e quello desiderato (il liberalismo e il "benessere" del capitalismo), l'unico modello di identificazione che hanno lasciato a noi cittadini è stato quello etnico o nazionale. E da qui le cose hanno cominciato a precipitare. Avremo mai il coraggio di dire "no" alla comunità, al collettivo?
Una cosa è certa ormai: da un po' di tempo non siamo più capaci di reagire normalmente neanche alla primavera, al sole, al tempo sereno. Contrario alla natura umana - temiamo, perché abbiamo imparato bene negli ultimi anni: in primavera, in estate e nelle giornate serene - si spara sempre di più. Cosí, paradossalmente, cominciamo a preferire al sole - il buio, alla serenità - la nebbia e il cielo coperto: tutte le condizioni tristi, che però impediscono, almeno per un attimo, le azioni militari. E questo silenzio, minaccioso, che fa paura, ma che regna ormai tutte le sere nella mia città, quella stessa che una volta si vantava proprio dell'intensità e della "qualità" della sua vita notturna. Rari passanti, visi tristi, sguardi pensosi. Il cammino in fretta, per raggiungere la casa, la famiglia, l'unico rifugio dove ci si unisce per seguire insieme il telegiornale. E poi soffrire dallo stesso sentimento d'impotenza di fronte a quello che accade. Impotenza, perché è ormai ovvio che alla fine qualcun altro deciderà sul nostro destino. Un sentimento a volte trasformato addirittura in - disperazione, dopo aver riconosciuto la stessa impotenza anche sui visi dei politici locali. E nessuno parla più del futuro; diventa impossibile fare qualsiasi progetto. La parola "domani" non ha più senso: le cose cambiano, aggravandosi, ogni momento.
Il gioco della morte è ormai iniziato. Un nazionalismo, si sa, ne fa nascere un altro; una violenza provoca un'altra. Un giorno piango con le madri e le mogli dei poliziotti massacrati, e un altro, mi vergogno del vandalismo dei miei connazionali. Come fare parte di questo collettivo che reagisce distruggendo le vetrine e i negozi degli uomini, solo perché siano rappresentanti dell' "altra nazionalità"? Come dare ragione (e come anche opporsi!) agli amici e ai parenti che si dimostrano pronti a prendere le armi per difendere le loro case, le loro famiglie, la loro "patria"? Cerco di fare quello che so, scrivendo e firmando tutti gli appelli per la pace che mi arrivano continuamente sull'internet. E rifiuto di essere identificata come una semplice percentuale, parte d'un collettivo, che non esprimerà mai i miei veri pensieri, o i miei desideri. Vorrei essere parte d'un altro collettivo, che unisca tutte le nazioni, tutte le culture, e non solo nel mio paese. Quello che saprebbe rispettare le nostre identità complesse, aperte, ibride e meticce, in continua evoluzione nel corso della vita, e nei percorsi della storia.


Skopje, Maggio 2001





Anastasija Gurcinova, saggista e traduttrice, ricercatrice di letteratura comparata all'Universita' di Skopje, Macedonia. Si occupa delle relazioni interletterarie italo-macedoni. Ha finora pubblicato un libro su Italo Calvino ("Kalvino i skaznata", Skopje, 2000), un'antologia del racconto italiano del Novecento ("Tajna igra", Skopje, 1996), una sua traduzione del "Principe" di Machiavelli ("Vladetelot", Skopje, 1993) e un'ampia scelta bilingue delle poesie di Edoardo Sanguineti ("Poezija", Skopje, 2000).
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