GINO BRAZZODURO


Concetta Lorenza Lo Iacono



L'incontro con Gino Brazzoduro è stato amore a prima vista: amore per una parola lucida, incisiva, sapientemente dosata, per la profonda ricerca di bellezza e verità.
Passione e stupore la sua conoscenza: egli, illustre ignoto, tecnologo, senza legittima cittadinanza entro i sacri perimetri della repubblica delle belle lettere, ci ha lasciato in dono frammenti di poesia oggi più che mai, attuale, guida discreta e conforto per i sopravvissuti alle sconfitte e ai fallimenti di ogni tempo, per tutti gli uomini, modernamente considerati come punti per cui passano fasci di linee confinarie, frontiere reali o immaginarie che spesso dividono, ma possono anche determinare incontri e interfecondazioni.

Cenni biografici
Luigi Brazzoduro nasce a Fiume il 23 marzo del 1925, da madre di origine slovena, Teresa Vitez e padre di origine veneziana, - Ernesto Brazzoduro - ufficiale dell'esercito italiano di stanza a Spalato, durante la II Guerra Mondiale.
Proprio a Spalato, Gino ebbe modo di conoscere quell'Illiricum che determinerà "l'indelebile imprinting" del confinario, posto fra due mondi - quello italiano e quello slavo - completamente alienati, estranei l'uno all'altro.
Durante il periodo bellico l'autore s'iscrive al corso di fisica presso la Normale di Pisa e tale allontanamento, interrotto dai viaggi sempre più difficili a Fiume, gli consentirà, dopo la guerra, di adottare un punto di vista più obiettivo rispetto a quello della media degli esuli istro-fiumani.
Nel 1947, conseguita la laurea in fisica pura, s'impiega presso l'acciaieria Italsider di Piombino: sono i tempi magri della ricostruzione, dove non c'è spazio per la poesia.
La Toscana, dunque, diviene la sua seconda patria e qui, incontra Anna, discreta e intelligente compagna di tutta la sua vita, alla quale egli dedicherà una sezione della prima raccolta, Confine, del 1980, una nella seconda, Oltre le linee, del 1985, l'intera A Itaca non c'è approdo del 1987 e due componimenti nell'ultima, Tra Scilla e Cariddi, del 1989.
A lungo il "tecnologo" Brazzoduro viaggerà per il suo lavoro lasciando traccia delle proprie mete in molte sue poesie: fra le città toccate, Piombino, Genova, Venezia, Napoli e anche Trieste; quest'ultima, in particolare, determina l'avvicinamento alle proprie radici, inducendolo al ritorno a Fiume dove finalmente "metabolizzerà", assumendola criticamente, l'esperienza biografica del "confine" ritenuta sì un' "anomalia" ma anche
…un caso emblematico, quasi la metafora di una condizione più generale dell'uomo, sempre in bilico precario fra innumerevoli frontiere che lo attraversano.
Proprio nella trasformazione del limite in valore catartico e simbolo di ogni realtà esistenziale si compie il salto qualitativo del Nostro, che diviene un esponente esemplare del disagio e della contraddizione, a volte come in questo caso creativa, di cui l'intero '900 è espressione.
Il mezzo prediletto dalla sua sensibilità, affinata da sempre attraverso la musica e l'esercizio del pianoforte, non può che essere la poesia


corda tesa che ancora
vivo trattiene il sogno
d'un suono,
figura specchiata una volta
nell'onda rapita dalla corrente
fatta chiara immagine per sempre.


Ma il poeta non è l'unico ruolo che Brazzoduro ama incarnare: a questo si accompagnano quello del saggista letterato - molteplici gli interventi su varie riviste di estrazione italo-slovena o italo-croata in ambito triestino, di cui la collaborazione con Most segna l'esperienza più significativa - e del traduttore - emblematica la sua traduzione in antologia dell'opera di Srecko Kosovel, poeta sloveno degli '20, intitolata Fra il nulla e l'infinito -, quasi che attraverso l'uso della parola, da sempre amata e coltivata, il fisico, innamorato della materia di cui l'uomo è parte, abbia voluto restituire ordine e sintesi alla vita, forma conquistata controcorrente a partire dalle profondità insondabili del caos entropico del cosmo.
Tuttavia, è nelle sue quattro collezioni che Brazzoduro consegna a noi posteri, troppo indaffarati e distratti eppure bisognosi e assetati di insegnamenti sicuri, il proprio testamento, vademecum di un "galileiano", addestrato alla ricerca e alla lettura oltre i segni/in cielo, in terra/e nell'uomo/ poiché

il visibile nasconde l'invisibile
e nulla è già scritto
di ciò che cercate


La prima raccolta: CONFINE

È del 1980 la prima raccolta - Confine -, 58 componimenti raggruppati in 6 sezioni, i cui titoli - Dall'età del ferro, Sentimento del Carso, Per Venezia, Confine, Fiori per Anna e Miscellanea -, già enucleano i temi cari di questa prima esperienza poetica.

Sullo sfondo della guerra, infatti, connotata attraverso l'urlo dei tamburi, gli ululati di mitraglia, il giro del reticolato \sulla neve\ la rosa del sangue \ rappreso sulle pietre, s'innestano gradualmente i ricordi, in cui campeggiano:

- il Carso che ben si assimila alla patria natia nella pietra che lo sostanzia, - calcare\ mia patria\ mia memoria \ e silenzio -;
- la propria terra, evocata ormai solo dal grumo della…luce\ da una scheggia dura\ dell'…azzurro\ la voce antica del vento;
- Venezia, fino agli anni '50, residenza dell'autore impegnato presso gli stabilimenti di Marghera;
- il sentimento del confine, che andrà precisandosi sempre più dettagliatamente nelle raccolte successive;
- l'amore per Anna;
- le riflessioni poetiche su viaggi compiuti (Chartres, Lubecca, la Liguria), persone conosciute (l'amico e scopritore Biagio Marin) e l'intima essenza della vita, continua giustapposizione di contraddizioni solo apparenti.

Proprio da quest'ultima sezione, emblematica del rigore e della sensibilità del poeta, ci piace iniziare il viaggio alla scoperta di Gino Brazzoduro


Prima virtù teologale

Alla fatica
soltanto credo
ferma certezza:
non cresce spontaneo
il raccolto.
Da sempre
la forza dissodante dell'ingegno
da sempre
il maturante dolore dell'uomo
cresce il raccolto
dell'uomo.


Da questo testo, penultimo componimento di Confine, ma qui significativamente richiamato all'inizio della nostra esplorazione, emerge un atteggiamento d'impegno e di onestà che connota tutto l'itinerario poetico dell'autore, probabile retaggio, a nostro avviso, delle origini istro-fiumane


Essenza e apparenza

In mezzo al campo di spighe
s'accendono al vento
effimeri papaveri.
Nell'ora del raccolto
ricordate come è maturato
giorno dopo giorno fedele
con fatica il pane.


In accordo con il precedente, prosegue la sottolineatura della fatica come tema esistenziale fondante; la vita dei campi e della natura in genere si offrono agli occhi del poeta come strumento di paragone utile alla comprensione della vita dell'uomo e dell'universo


Essere e divenire

In una dura luce d'alba
pura contemplo
la trama dell'albero
orlato di gelo.
Alto sovrasta il silenzio
nel cerchio boreale
delle costellazioni.
Bellezza essenziale
in sé conclusa
perfetta .
Ma l'altra pure conosco
ragione della vita
brulicante magma
brusio inquieto d'arnie nascoste
incessante fermento
d'oscure radici.
Presto
un vento di primavera
scioglierà il gelo.
Fiorirà i rami del sogno
il tenue velo del mattino.


Di nuovo il fluire della natura, con i suoi ritmi e il suo "incessante fermento" - che nelle raccolte successive andrà polarizzandosi sempre più nel sentimento degli opposti, inducono alla similitudine finale: il fiorire del sogno come un mattino di primavera.

Dalla sezione che reca il titolo omonimo della raccolta riportiamo proprio Confine; questo componimento esprime il tema più caro dell'esperienza poetica di Brazzoduro, significativamente inteso, sin dall'inizio, in senso interiore e personale: il confine, infatti, non è soltanto la demarcazione politica o geografica entro la quale un territorio si definisce, ma soprattutto una linea impercettibile che discrimina, significandola, ogni esperienza della vita umana (buio e luce, morte e vita, bene e male).
Tale posizione condurrà il poeta a concludere nella seconda raccolta pubblicata che ogni essere umano è un confinario, cioè un punto in cui passa un fascio di linee confinarie, più che mai chi come lui proviene da una realtà etnica fatta di commistioni secolari


Confine

In ognuno è il confine
nitido contorno
che nell'aria incide
l'orizzonte
linea impercettibile
come l'ora sfuggente che divide
il giorno dall'ombra

silenzio e suono
memoria e annunciazione

morte e vita
unico fiore

La seconda raccolta: OLTRE LE LINEE


La seconda raccolta di 65 poesie - contenute in sei sezioni, La città inesistente, La talpa di Hegel, Per Anna, Dialogo sulla speranza, Paesi e stagioni, Diario '43-'45 - viene pubblicata da Gino Brazzoduro nel 1985 presso l'editore Lischi di Pisa.

Elemento innovativo di estremo interesse, poi ricorrente nelle raccolte successive, è l'introduzione autobiografica compiuta dall'autore, utile per comprendere i legami profondi tra poesia e biografia e per questo di seguito in parte citata:

L'autore di questi versi essendo un "illustre ignoto", sente il dovere di una pur minima presentazione. Informa innanzitutto di non essere del mestiere, avendo speso tutta la vita attiva a fare il tecnologo[…] è, insomma, una specie di apolide, un "abusivo". O, se si preferisce, un contrabbandiere[…]
I contrabbandieri, si sa, sono gente che traffica poco chiaramente a cavallo dei confini. E si dà il caso, per l'appunto, che il nostro sia un confinario per nascita (Fiume, classe 1925) […].
I confini, è risaputo, separano e dividono, con l'inesorabilità di ogni spartiacque; propongono - e alle volte impongono - scelte ineludibili, secondo la dura logica del dilemma secco: aut - aut. Ma possono anche diventare linee di sutura e di giunzione di lembi eterogenei ed insinuare un'altra logica, più aperta: quella del et - et. Attraverso i confini avvengono contatti, scambi, interazioni... Per questo anche le frontiere sono un "topos" straordinario di contraddizioni, in cui si manifestano interesse e curiosità per ciò che accade sull'altro versante. Sui limiti confinari nascono anche nuovi bisogni di complementarietà, stimoli inediti per l'intuizione e si annunciano possibilità singolari di interfecondazione e di pluridimensionalità per l'immaginazione creativa. Può maturare, insomma, una nuova moralità confinaria capace di superare la rigidità schematica delle alternative precostituite e bloccate[…]. Queste pagine sono perciò dedicate a chi vive su un qualche confine (e magari non lo sa...)


Ritorna, dunque, il tema del confine inteso come esperienza geo-biografica in grado di generare stimoli e arricchimento, ma si fa strada anche il motivo de "la città inesistente", - titolo della sezione omonima -, nel quale gli autori fiumani, negli anni '80, esprimono il dolore dell'esilio e dello sradicamento. Fiume, infatti, la propria città-patria, è irrimediabilmente perduta e di essa non rimane che il ricordo quale ombra e sogno di un passato destinato ad essere rimosso


La città inesistente

Oltre il fiume
il nostro silenzio.
(parlano un'altra lingua
di là dal fiume)

Uccelli passano
dall'una all'altra riva

Sugli spalti deserti di calcare
parole straniere.
Solo silenzio
di vinti ostaggi
insensato orgoglio
cieca memoria

Oltre il fiume
ogni giorno ripete
l'acre lezione della storia
alle spalle ancora
l'eco martellante
dai selciati della città
inesistente
- ombre soltanto
scrivono nell'aria
Sui rami del viale
i sogni
sognano ancora
di noi
di qua dal fiume


I versi seguenti, invece, appartengono in ordine ai primi quattro componimenti della seconda sezione dal titolo simbolico La talpa di Hegel, simbolicamente riconducibile all'intimo scavo, al lavorio permanente e nascosto di una mente sistematica, attenta al relativismo e alla polarità dell'esistenza.
Essi in particolare paiono rappresentare quattro momenti della biografia esemplare dell'uomo-esule:

- la scoperta dell'eterno fluire delle cose in un alternarsi di sviluppo e decadenza, nascita e morte che rende impossibile la fissità e certezza di ogni forma;
- la prova dell'esilio espressa attraverso la similitudine dell'esodo biblico, ma più amara per la mancanza di una terra promessa;
- l'autointerrogatorio del profugo - emigrante - fuoriuscito, orgogliosamente e caparbiamente contraddistinto dalla non accettazione di un ordine imposto al quale è preferibile la condizione del confinario permanente;
- "la sete" delle proprie origini, impossibile da estinguere in altre patrie, eterna ricerca di chi è sopravvissuto.

La talpa di Hegel

Contemplo sereno
uccelli ebbri d'azzurro
in libero volo,
e il nuovo verde terrestre
Pochi sono scampati.
Il ramo appena destato
tutto in fiore
un tiepido vento accarezza

Ma sotto
già avverto la talpa che rode
inflessibile il suolo
su cui poso
e fondo ogni presunta certezza.


Resoconto dalle Sacre Scritture

Abbiamo attraversato il Mar Rosso
al colmo della tempesta e poi l'arido
deserto.
La manna, in verità, era grandine
e piombo.
Ci siamo nutriti d'indignazione:
da voi, sazi,
nemmeno l'acqua abbiamo accettato
per calmare la sete.
Solo in pochi - ricordo -
non hanno danzato ignudi
davanti al vitello d'oro.
Dov'era il vostro orgoglio?
Nessuno degli antichi profeti
fu creduto.
Stremati, dopo lunga marcia
non abbiamo trovato la terra promessa:
ci attendeva solo il salmastro
Mar Morto


Interrogatorio sulla frontiera

Profugo?
Invisibile per voi
la mia casa.
Forse emigrante?
- Vado dovunque
sia impossibile incontrarvi.
Apolide?
- con voi
non posso dividere
cittadinanza.
Allora espatriato...
- Da tutte le vostre patrie
coronate di filo spinato,
macchiate di sangue.
Fuoriuscito, dunque!
- I vostri confini
non li riconosco.
E dove credi di andare?
- Altrove.
Ma non hai lasciapassare!
- Allora resterò
fra le barre confinarie
per sempre.


I sopravvissuti

Scampati appena al rogo,
una chiara sorgente apparve.
Tendemmo mani ferite
e labbra riarse.
Invano.
Subito quell'acqua
si fece lama di gelo
più del fuoco bruciante
sulle nostre piaghe.
Sola fedeltà ci resta
ancora quella sete.
Da sempre.


La terza raccolta: A ITACA NON C'È APPRODO


Proseguiamo la conoscenza di Gino Brazzoduro con l'introduzione alla sua terza raccolta, - costituita da 51 componimenti, divisi in 5 sezioni, - A Itaca non c'è approdo, Una città, Momenti poetici, Gli Altri pubblicata dalla Giardini Editori di Pisa nel 1987- citando quale miglior presentazione ciò che l'autore scrisse in testa ai propri versi:

L'acquisizione del valore liberante e catartico del simbolo - confine era stata assecondata nell'autore dalle riflessioni sull'esperienza direttamente vissuta in un punto nevralgico dell'Illyricum, dove aveva fatto giusto in tempo a nascere (Fiume 1925) [...]: la propria "educazione sentimentale" era stata coltivata, infatti, proprio in quegli spietati anni di ferro 1940 - 45, che in quella regione forse più che altrove furono segnati dalla violenza e da divisioni traumatiche e profonde in ogni campo [...] Questa[...] raccolta prosegue un viaggio che ha origini remote[...] contiene cioè le registrazioni in tempo reale di una ricerca sul "da - sein", sola nostra verità sperimenta(bi)le in mezzo ai labirinti e alle contrastanti apparenze in cui rischiamo di smarrirci ad ogni passo[...] Si scopre allora che nell'avventura di vivere non esistono ritorni, perché in realtà qualsiasi ritorno è impossibile [...] Altra cosa può essere l'onesta ricerca di radici, una ricerca accorata della propria identità - legittimazione o anche solo di ricovero ideale che assicuri certezze. Qualcosa, insomma, cui appigliarsi per (illudersi di) sottrarsi alla corrente impetuosa del divenire [...] Ma se viviamo immersi nella corrente irreversibile del tempo - quello nostro individuale e biologico, non meno di quello universale, geologico e cosmico - allora c'è da chiedersi quale senso possa avere il "ritorno ad Itaca"[...] non sta forse la legittimazione della pianta nell'avventura del suo crescere, nel mettere sempre nuovi germogli e gemme piuttosto che nel buio cieco di immutabili radici? [...] Certo il passato si accompagna sempre con la forza evocatrice della memoria - l'angelo silenzioso della poesia che insieme a noi condivide il viaggio nel tempo. Sulla brulla Itaca sono rimasti solo sterili simulacri. Ma quell'angelo, il suo sorriso amico e un poco enigmatico ci è compagno verso Atlantide, la sola degna degli umani. [...] Ma per intanto sarà buona cosa mai desistere dal coltivare il sano esercizio di uscire dal proprio microcosmo per imparare ad essere liberi e disponibili ai giochi della differenza e alle combinazioni della diversità, per acquisire dimestichezza con tutto quanto ci fronteggia e ci sfida "oltre"...


Dopo aver letto queste righe non rimane molto da dire che Brazzoduro non abbia già lucidamente e intelligentemente espresso, se non sottolineare la titanica e impietosa ricerca sul senso del viaggio e sulla libertà, sulla sfida che "la differenza" pone, sul valore della memoria; tratte dalla prima sezione- dal titolo omonimo della raccolta - si riportano due poesie esemplari per la comprensione della ricerca compiuta dal Nostro alla metà degli anni '80


Itinerari

Non illudetevi:
a Itaca
non c'è approdo.
Nutre il futuro
antiche radici.
Atlantide:
sola nostra destinazione.


La collana

Nella lunga giornata
chiare perle ho raccolto
stupende.
Cingere vorrei
di collana splendente
la nuda gola bianca
della sera.

E invano,
invano cerco il filo
capace di legare
in un sol cerchio
il senso congruente
di ogni grano.


Quest'ultimo componimento mostra la difficoltà di cogliere "il senso congruente" del vivere attraverso una metafora sensuale inconsueta. Con i versi successivi, infatti, si torna allo stile epico della similitudine biblica già incontrata precedentemente, ma con una novità: l'impegno individuale


L'esodo

Scampati ai Faraoni
davanti a noi il Mar Rosso
non divise le sue onde.
Nulla ci fu promesso
oltre.
Era in noi la Promessa,
sola giustificazione dell'Esodo.
Certo soltanto
ogni passo attraverso il deserto
e l'inciampo del dubbio ad ogni
sasso.
Vero per noi quel miraggio
liberato dalla sete,
più del tormento
di aride pietre.


Inclusa nella seconda sezione la poesia Lontananze prefigura un nuovo atteggiamento di dialogo e comprensione reciproca fra i due lembi dell'Adriatico, sviluppatosi in modo pieno solo a partire dalla fine degli anni '90


Lontananze


ancora una luce di sguardi
prigioniera fra le cose.
Dentro occhi vuoti
ancora il volo dei sogni.
Mani lontane si cercano
oltremare, sfiorano
invisibili costellazioni.
Qua
una neve d'albe
s'è fatta cenere,
più che ombra
silenziosa memoria.


Attraverso l'immagine del fiume una volta familiare, si manifesta l'esperienza amara e dolorosa del confine, rappresentata nel componimento seguente come una "ferita esangue"


La ferita

Ricordo
la gola strapiombante
fra i contrafforti di calcare:
in fondo
l'esile vena del fiume
aperta ferita esangue.
Fu questo il confine
nostra esperienza certa
del male che divide.

Qui un mattino
disperata stramazzò la rondine
sulla siepe del reticolato:
segno della storia nemica
che ci ha generato.

Pugno di cenere siamo
sparsa nel vento.
solo patria
per noi
il silenzio.


Fondamentale per il percorso poetico di Brazzoduro è l'approdo alla parola alla quale egli associa la leggerezza e l'immortalità, il conforto nella memoria


La parola ancora

Insensata follia del mondo
- diciamo.

Eppure
la parola ancora
sfiora l'incanto dei ghiacciai
e le verdi pianure del sogno -
sfida leggera
il ciglio stellato
sopra antiche architetture
di città straniere.

Ancora
un seme d'oscura memoria
resiste nella terra gelata
del cuore.


Come in Lontananze anche nella penultima sezione torna il tema della divisione prodottasi fra gli abitanti di lingua e cultura italiana dell'Istria con l'esodo del secondo dopoguerra, "Uno stesso popolo/solo per poco ancora/diviso"; tuttavia, tale riflessione assurge a paradigma di un nuovo spirito di fratellanza universale dove il termine generico "altri", può trovare un'unica coniugazione in "noi"

Gli altri

Se ne va.
Di là lo attendono.
S'avvia calmo
verso l'altra riva
dove vivono
gli Altri.
- Gli Altri?
E non siamo
noi ancora di qua
già Altri?
Uno stesso popolo
solo per poco ancora
diviso.


La quarta raccolta: TRA SCILLA E CARIDDI


Giungiamo, quindi alla quarta raccolta - Tra Scilla e Cariddi, 52 componimenti suddivisi in quattro sezioni - Verso la terra promessa, Il frammento e l'intarsio (Dialogo sulle forme), Nel segno della luce (Fra annunciazione e memoria) Confine orientale - pubblicata sempre dalla Giardini Editori di Pisa nel 1989, l'anno della morte del poeta.
Anche per questa collezione ci pare illuminante la prefazione dell'autore, che cito in parte:

L'autore aveva scelto la poesia per dar conto - a se stesso prima che ad altri - della propria esperienza di confine. Un confine non astratto, ma storicamente ben determinato, quello orientale.[…]
[…] Da ultimo testimoniò la sua presa di coscienza del viaggio senza fine che ci conduce sempre "più in là": vana appare la speranza di un ritorno alle radici, di un approdo finale alla mitica spiaggia di Itaca. Le radici, in verità, stanno dentro di noi in nessun luogo e ci seguono dovunque, di naufragio in naufragio. […]
[…] Siamo consapevoli di essere parte della diaspora universale […] Eppure fra incertezze e precarietà, l'esperienza ci mostra che qualche cosa resiste e dura: la parola, il principio stesso di ordine e struttura che modella la vita[…]
Il cristallo della parola ha la facoltà di far convergere la molteplicità confusa e incomponibile dell'esistenza in immagine sensata


In quest'ultima raccolta si precisa, dunque, il concetto di "diaspora universale", in cui "vana speranza [è] il ritorno alle radici…[che] in verità stanno dentro di noi […] e ci seguono dovunque, di naufragio in naufragio".
Il tema dell'esodo si arricchisce di una nuova lettura in chiave personale: - "Solo nel passo ostinato/ si compie il riscatto" -, a fronte de - "l'inciampo del dubbio/ad ogni sasso" della raccolta precedente; - "Né arresi/ né rassegnati/ ad uno ad uno cadremo […] /volti nella giusta direzione"

Verso la terra promessa

Già troppe volte
esuli
abbiamo dovuto abbandonare
l'Egitto.
ora sappiamo:
oltre il deserto
nessuna terra
ci è promessa.

Solo nel passo ostinato
si compie il riscatto,
nella polvere dell'esodo
la sola redenzione.
Né arresi
né rassegnati
ad uno ad uno cadremo
inutile sasso fra i sassi,
volti nella giusta direzione.


Alle soglie "del viaggio senza fine che ci conduce sempre più in là", Brazzoduro riafferma il valore cardinale della parola, già scoperta nella raccolta precedente, ma qui connotata dagli attributi di saldezza e bellezza razionalmente espressa, la sola capace di ricomporre la molteplicità confusa


Sopravvissuti

Quante case
ci sono crollate addosso -
atterriti superstiti
osserviamo in silenzio
templi e palazzi
rovinati in polvere.

ma il sottile
arco della parola
più della pietra saldo
non ha ceduto.

Solo per questo
ancora
esistiamo.


Finalmente, alla vigilia della propria morte, il poeta ha raggiunto il senso e l'ordine della vita nella sua "dicibilità": egli che da tecnologo conoscitore delle leggi fisiche, non aveva compreso, ora, riguardando indietro al suo viaggio, scopre nella parola e nella poesia, "angelo silenzioso […] che insieme a noi condivide il viaggio nel tempo", l'approdo (a Itaca?). Certo, l'esperienza esistenziale è ormai trasfigurata alla luce di una fede intesa come onesta ricerca di verità


Preghiera del mattino

Signore,
fa' che oggi possa incontrare
il mio antagonista
estremo
perché
sulla dura pietra della contraddizione
possa affilare l'impari lama
della mia verità.


Preghiera della sera

Signore,
a te sia lode
per la nostra sconfitta
quotidiana.

Fa' che in nulla mai dobbiamo
somigliare
al nostro vincitore.
Nella sconfitta
il segno certo
della nostra verità,
la benevolenza manifesta
della tua grazia.


Ma l'altro riferimento sempre presente è quello del sogno, in cui, ad esempio, la città abbandonata si smaterializza per divenire fragile e minuta come carta, oppure il confine, considerato come varco all'aldilà sorvegliato da arcangeli doganieri, non si sa neppure dove sia:


Sogni

Sempre più radi
i sogni.
Logori arazzi strappati,
affreschi scrostati
ormai
indecifrabili.
Voci
senza più suono
traversano i sogni
come
uccelli morti
l'aria grigia
d'inverno.
Sfilano
paesaggi incolti
disabitati
che solo il cuore
per una segreta passione
a stento ancora
ritrova.


Città di carta

Città di carta
senza più amore,
città morta
e pure non so dove
da qualche parte
ancora viva
e come nessun'altra
vera.
Città perduta
città lontana
come sconosciuta
parola straniera.

Ognuno è solo
nella sua minima storia
e l'aria questa sera
è ancora quel vetro di gelo,
chiaro di luna rappreso:
ultima
e la tua prima
notte di primavera.


Ultimo sconfinamento
(per Enrico Morovich)

Davanti a noi
il confine,
limite incerto
inconoscibile.
Forse là
in cima alla collina
inebriata di sole,
o sull'alto
crinale della montagna
azzurra di neve;
forse nell'ombra oscura
che scava il fondo della valle,
o fra le brume della pianura
sull'onda inquieta del fiume -
non sappiamo
dove sia il confine.
Ignari lo attraverseremo
con noncuranza
e solo dalle vaghe voci
degli arcangeli doganieri
capiremo di essere già passati
dall'altra parte.


Notevole Il Guado, nel quale, con un linguaggio epico, si narra l'esodo immaginario di un popolo minacciato dalla carestia, che si trasforma nella cieca violenza della sopraffazione e nell'illusorietà del sogno


Il Guado

Le messi s'erano fatte
sempre più scarse,
sempre più magri i raccolti.
Correva voce
che di là dal fiume
ci fossero campi fecondi
e vivessero genti
governate da saggi ordinamenti
in armonia con le potenze celesti
e tra di loro in pace.
Così, dopo l'ultima carestia
fu deciso di passare il fiume
con i carri, le tende
e quanto restava delle sementi.
Ma, giunti a metà del guado
- le ruote fino ai mozzi nel fango -
i cavalli ormai stremati
non ressero all'impeto dell'onda
e tutti i migranti furono dispersi.
A sera da nessuna parte si videro accesi i fuochi.
Alcuni più ostinati
non desistettero dall'impresa:
raggiunta a nuoto l'altra sponda
trovarono solo infide paludi,
e tribù incolte
li fecero schiavi.
Altri cercarono l'impossibile salvezza
osarono sfidare la corrente,
ma al passaggio delle rapide
furono travolti.
Pochi superstiti
ormai isolati
s'interrogavano a lungo
in silenzio.
L'alba sembrava
sempre più
lontana.


Rimane l'esperienza dell'estraneità che coinvolge tutti nella "diaspora universale", ancor più chi è "espatriato da mondi lontani/ mai visti,/ forse appena immaginati, /da sempre perduti"


Straniero

Da lontano
viene lo straniero.
Ha solo occhi pieni di silenzio
per parlare:
la sua lingua non ha parole
che tu intendi.
Nessuno
lo ascolta -
inaffidabile testimone
espatriato da mondi lontani
mai visti,
forse appena immaginati,
da sempre perduti.
Chi mai ascolterà
le sue storie incredibili
in una lingua che per voi
non ha parole - .





Concetta Lorenza Lo Iacono è nata a Roma il 12.02.1969. Ha conseguito la laurea in Letterature Comparate presso l'Università La Sapienza di Roma, discutendo una tesi sulla "Letteratura italiana dell'esodo in Istria". Si interessa di letteratura in genere e degli esiti letterari nelle zone di confine.



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