SU UNA POESIA DI WANG WEI

Octavio Paz



Il commento di Eliot Weiberger sulle diverse traduzioni della breve poesia di Wang Wei, illustra, in modo chiaro e sintetico, non solo l'evoluzione dell'arte della traduzione nell'epoca moderna, ma, allo stesso tempo, i mutamenti della sensibilità poetica. Gli esempi da lui citati vengono dalla lingua inglese e, in minore misura, da quella francese; sono sicuro però che la verifica parallela della lingua tedesca e italiana produrrebbe risultati molto simili. Weiberger menziona soltanto una versione in lingua spagnola, la mia. È possibile che ce ne sia anche un'altra e forse una o due in lingua portoghese. È tuttavia necessario ammettere che lo spagnolo e il portoghese non possiedono un corpus di traduzioni dal cinese paragonabili, per importanza e qualità, a quello di altre lingue. Questo è biasimabile: l'era moderna ha scoperto altri patrimoni classici oltre a quello della cultura greco-romana, e tra essi sono annoverabili soprattutto quelli della Cina e del Giappone.
Il commento di Weiberger mi ha ricondotto alla mia stessa traduzione. Probabilmente la difficoltà più grande per qualsiasi traduttore di poesia cinese è il rapporto osmotico esistente tra la scrittura e il linguaggio.
La maggior parte della poesia nel Shi Jing, la più antica collezione di poesia cinese, è stata scritta in righe di quattro sillabe aventi ciascuna quattro caratteri / parole.
Per esempio, la trascrizione fonetica della prima riga di una piccola poesia erotica presente nel Shi Jing è composta da questi quattro monosilabi: Xing, nu, qui, shu. La tradizione letterale è che bella, la dolce ragazza. Non è impossibile trasformare questa frase in un verso della ballata: Qué linda la dulce niña! o How lovelythe pretty maiden! Cinque parole e otto sillabe, due volte la lunghezza dell'originale. Arthur Waley pensò di risolvere questo problema prosodico facendo corrispondere ogni monosillabo cinese ad un accento tonico del verso in inglese. Il risultato è che quel verso in inglese è divenuto molto lungo, ma con lo stesso numero di accenti dell'originale cinese.
Questo metodo, oltre a non essere terribilmente perfetto, non è applicabile allo spagnolo: nella nostra lingua le parole hanno spesso più sillabe del pentametro jambico inglese. Il nostro verso ha o tre accenti tonici (nella quarta sillaba, nella settima o ottava e nella decima) o solo due (nella sesta e nella decima). Al contrario, il verso inglese, ha cinque accenti tonici o battute ritmiche. Aggiungiamo ancora che in inglese il numero di sillabe può variare. Non solo noi abbiamo più consonanti, ma possiamo anche contare su assonanze più ricche. Il grande vantaggio dell'assonanza è che le rime diventano un'eco distante che non sempre ripete esattamente il finale del verso precedente. Voglio segnalare infine una piccola similitudine tra la versificazione cinese e quella spagnola: nella poesia cinese solo i versi pari sono rimati esattamente come i nostri romances e poesie tradizionali assonanti.

Il primo a cercare di costruire poesie in inglese a partire dall'originale cinese è stato Ezra Pound. Tutti quelli che come me hanno tradotto poesie cinesi e giapponesi sono non soltanto suoi seguaci ma suoi debitori. Non ho mai trovato le sue teorie sulla traduzione del cinese veramente persuasive e, in altre sede, ho cercato di spiegare le mie ragioni.
Ma non importa: anche se le sue teorie non mi sembrano del tutto attendibili, la sua pratica non solo mi ha convinto ma mi ha letteralmente incantato. Pound non cercò di trovare equivalenti metrici o di rima: partendo dalle immagini - ideogrammi dell'originale, ha scritto poesia in inglese in versi liberi. Queste poesie avevano (ed hanno ancora), un'enorme freschezza poetica; allo stesso tempo ci permettono di scorgere un'altra civiltà, una molto distante dalla tradizione occidentale greco-romana.
Le poesie di Cathay (1915) sono state scritte in un linguaggio energico e in versi irregolari che io ho semplicemente definito come "liberi". Infatti, nonostante non abbiano misure fisse, ognuno di essi costituisce una unità verbale. Niente potrebbe essere più distante della prosa tagliuzzata in frasi corte che oggigiorno viene spacciata per verso libero. Le poesie di Pound corrispondono agli originali? Si tratta di una domanda inutile. Come ha detto Eliot, Pound ha inventato la poesia cinese in lingua inglese. I punti di partenza erano antiche poesie cinesi riprese da un grande poeta; il risultato sono altre poesie. Altre: le stesse.
Il piccolo volume di traduzioni di Pound, in gran misura, ha dato inizio alla grande poesia in inglese. Inoltre, grazie a lui, ha avuto inizio un fenomeno unico ed originale: la moderna tradizione delle poesie classiche cinese nella coscienza poetica del mondo occidentale.
Gli sforzi di Pound sono stati un successo e dopo Cathai molti altri autori lo hanno seguito per quanto in diverse direzioni. Penso soprattutto ad Arthur Waley. Le traduzioni di poesie cinesi e giapponesi in lingua inglese sono state così straordinarie e così diverse tra loro da formare, esse stesse, un capitolo della poesia moderna in questa lingua. Io non ho trovato niente di simile in francese, nonostante ci siano notevoli traduzioni, come quelle realizzate da Claude Roy o François Cheng. Di sicuro dobbiamo a Claudel, Segalen, e Saint-John Perse, le visioni poetiche della Cina. Ma non traduzioni degne di memoria. È un peccato. In Spagna questa lacuna ci ha impoverito.
Nei miei tentativi isolati ho seguito al principio gli esempi di Pound e, più di chiunque altro, di Waley - un talento duttile ma meno intenso e meno potente.
A poco a poco ho trovato il mio percorso. All'inizio usavo il verso libero, più tardi ho cercato di adattarmi a regole rigide, pur senza cercare di riprodurre la metrica cinese. In generale ho cercato di mantenere il numero di versi di ogni poesia, di non sfuggire le assonanze e di rispettare, per quanto possibile, i parallelismi. Quest'ultimo elemento è centrale nella poesia cinese ma né Pound né Waley hanno dato a ciò l'attenzione che avrebbe meritato. E nemmeno lo hanno fatto gli altri traduttori in inglese. È un'omissione grave, e non solo perché il parallelismo costituisce il nucleo del lavoro dei più importanti filosofi cinesi: lo yin e lo yang. L'unità che si spacca in un dualismo, per poi riunirsi e dividersi nuovamente. Io vorrei anche aggiungere che il parallelismo collega, seppure superficialmente, la nostra poesia indigena messicana alla poesia cinese.

Nell'era Han i cinesi si sono mossi dal verso di quattro sillabe a quello di cinque o sette. Queste poesie sono composte con un misurato contrappunto tonale (il linguaggio classico ha quattro toni). Il numero di versi è indefinito e solo i versi pari sono rimati.
Durante il periodo Tang la versificazione è divenuta più rigida e i cinesi hanno scritto delle poesie di otto e di quattro versi, (rispettivamente lu shi e jue ju). I versi di questa poesia sono, come nello stile precedente, composti di cinque e sette sillabe; la stessa rima è usata per tutta la poesia. Le altre regole riguardano il parallelismo (i quattro versi al centro della poesia devono formare due coppie antitetiche) e la struttura tonale.
Quest'ultima ci ricorda per certi aspetti le misure classiche di versificazione. Nonostante che il ritmo non derivi dalla combinazione di sillabe lunghe e corte, bensì dall'alternanza dei toni. Tutte le poesie cinesi offrono un vero "contrappunto" che non può essere riprodotto in nessuna lingua di origine indoeuropea. Risparmierò il lettore della mappa delle varie combinazioni (due pari versi di cinque sillabe e due di sette). Ci sono altre forme: il "ci" (tz'u), poesia scritta per accompagnare frasi musicali preesistenti e con versi di lunghezza disuguale, versi drammatici (qu) e lirico -drammatici (san qu).
La poesia di Wang Wei è scritta in quattro versi di quattro sillabe ciascuna (jue ju). Il secondo verso rima con il quarto. Il modo di trasmettere l'informazione dell'originale, mentre tentavo di ricreare la poesia in Spagnolo, è stato quello di usare il verso di nove sillabe.
Ho scelto questa metrica non solo perché è di maggiore ampiezza, ma anche perché sembra essere un endecasillabo troncato. È questa la meno tradizionale delle nostre metriche e solo di rado è apparsa nella poesia spagnola, tranne che tra i "modernisti", soprattutto in Rubén Dario che la usava con molta frequenza. Ho deciso di usare anche la rima assonante, ma, al contrario dell'originale in cinese, io rinnovo tutti e quattro i versi. La poesia è divisa in due parti. La prima allude alla solitudine della foresta e dominano sensazioni uditive più che visive (nessuno è visto, solo le voci sono sentite). La seconda riguarda l'apparizione della luce in una zona chiara della foresta ed è composta di sensazioni visive e silenziose: la luce che attraversa i rami, illumina il muschio e si alza un'altra volta. Attento a questa divisione dei sensi e spirituale, ho diviso la poesia in due: il primo verso rima con il secondo e il terzo con il quarto. Ho lasciato le due prime righe della mia precedente versione intatte ma ho radicalmente cambiato il terzo e il quarto verso:

No se ve gente en este monte,
sólo se oyen, lejos, voces.
Bosque profundo. Luz poniente:
alumbra el musgo y, verde, asciende.

[No people are seen on this mountain, / only voices, far-off, are heard./ Deep forest. Western light:/ it illuminates the moss and, green, rises.]

Le prime due righe non hanno bisogno di spiegazioni. A me sembra di aver trasmesso l'informazione pur conservando l'impersonalità dell'originale: l'io è implicito. Il terzo verso, secondo François Cheng significa letteralmente: l'ombra che ritorna - penetrare - profondo - foresta. Cheng sottolinea che l'ombra che ritorna allude al sole ponente. James J.Y Liu traduce in termini simili, però con maggiore proprietà, dicendo reflected light al posto di returning shadow. Nella sua versione letteraria Liu scrive: The reflected sunlight pierces the deep forest. Cheng ha messo Ombres retournent dans la forêt profonde. Il lettore, attraverso una nota a piè di pagina, impara che "ombres retournent" - una forma piuttosto forzata- significava i raggi del sole ponente. E perché ombra e non luce o scintillio o qualcosa di simile? Io ho riflettuto molto sulla traduzione di questo verso. Dapprima ho scritto Cruza el follaje el sol poniente (Il sole ponente attraversa il fogliame). Un po' meglio, ma forse troppo energico, troppo attivo. In seguito ho deciso di omettere il verbo poiché lo Spagnolo permette l'elissi. I due blocchi sintattici (bosque profundo / luz poniente; bosco profondo / luce ponente), preservano la forma impersonale dell'originale alludendo contemporaneamente al silenzioso raggio di luce che attraversa le chioma degli alberi.
Secondo Cheng l'ultimo verso significa: Forma - brillare - sopra - verde - muschio. Lui dice: nuovamente - scintillio - verde - muschio - al di sopra.
Ciò significa: il riflesso è verde. Nella sua versione letterale Weiberger include tutte le possibilità: ritornare/nuovamente - brillare/riflettere - verde/azurro/nero - muschio/lichene - al di sopra/in cima/sommità. In due punti la mia versione si allontana dalle altre. In primo luogo: la luce ponente illumina il muschio - al posto di rifletterlo o di brillare su di esso - perché il verbo illuminare contiene tanto l'aspetto fisico del fenomeno (scintillio, luce, chiarezza, fulgore) quanto quello spirituale (la conoscenza illuminata).
In secondo luogo io dico che il riflesso verde accende o sale perché voglio sottolineare il carattere spirituale della scena. La luce del sole ponente si riferisce al punto dell'orizzonte legato al dio Budda Amida. Senza cercare di identificare in modo preciso il gioco cangiante delle analogie si potrebbe dire che il sole ponente costituisce la luce spirituale del paradiso dell'Occidente, il punto cardinale del Budda Amida; la solitudine della montagna e della foresta è il mondo nel quale non c'è veramente nessuno, anche se sentiamo gli echi di voci; e nel chiaro della foresta illuminato dal silenzioso raggio di luce, la rappresentazione di colui che medita e contempla.

(Traduzione dall'Inglese di Julio Monteiro Martins)





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