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  CHI SARÒ QUESTA 
                VOLTA?   
 Kurt Vonnegut Jr.
 
 
 
 La Compagnia della Maschera e della Parrucca di North Crawford, 
                la filodrammatica di cui faccio parte, decise di fare Un tram 
                che si chiama desiderio di Tennessee Williams come spettacolo 
                di primavera. Doris Sawyer, che ha sempre curato le regie, disse 
                che questa volta non poteva farlo perché sua madre era 
                troppo malata. E disse che la compagnia avrebbe dovuto in ogni 
                caso cercare altri registi, perché non poteva vivere per 
                sempre, anche se ce l'aveva fatta tranquillamente fino a settantaquattro 
                anni.
 Così io rimasi invischiato in questa faccenda della regia, 
                anche se l'unica cosa che avevo diretto prima di allora era l'installazione 
                delle finestre doppie con zanzariera di alluminio che vendo. Ecco 
                chi sono, un venditore di finestre e porte doppie, con l'aggiunta, 
                qualche volta, di una vasca da bagno. Per quanto riguarda la recitazione, 
                il livello massimo che avevo raggiunto sul palcoscenico era quello 
                del maggiordomo e del poliziotto, o poco più.
 Posi una quantità di condizioni prima di accettare la regia, 
                e la prima era che Harry Nash, l'unico vero attore di cui disponeva 
                la filodrammatica, recitasse nella parte di Marlon Brando. Per 
                darvi un'idea di quanto sia versatile Harry, in un solo anno fu 
                Captain Queeg in L'ammutinamento del Caine, poi Abe Lincoln 
                in Abe Lincoln nell'Illinois e poi il giovane architetto 
                in La vergine sotto il tetto. L'anno successivo Harry Nash 
                fu Enrico VIII in Anna dei mille giorni e Doc in Torna 
                piccola Sheba, e io gli davo la caccia affinché facesse 
                la parte di Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio. 
                Harry non si presentò alla riunione per dire se avesse 
                qualcos'altro da fare. Non era sposato, non usciva con le ragazze 
                - non aveva nemmeno amici maschi. Stava alla larga da ogni tipo 
                di raduno perché non era in grado di pensare a nulla da 
                dire o da fare senza un copione.
 Così il giorno dopo dovetti andare alla ferramenta Miller, 
                dove Harry lavorava come impiegato, a chiedergli se avrebbe accettato 
                la parte. Feci una sosta alla compagnia dei telefoni per una bolletta 
                che avevo ricevuto con una chiamata a Honolulu. Non avevo mai 
                telefonato a Honolulu in tutta la mia vita.
 E lì, alla compagnia dei telefoni, dietro il balcone, c'era 
                questa magnifica ragazza che non avevo mai visto prima. Mi spiegò 
                che la compagnia aveva installato una macchina automatica per 
                le bollette e che non avevano ancora eliminato tutte le imperfezioni 
                di questa macchina. Commetteva degli errori. "Non solo non 
                ho telefonato a Honolulu," le dissi "ma penso che nessuno 
                a North Crawford lo abbia mai fatto o lo farà".
 Detrasse l'importo dalla bolletta, e io le chiesi se veniva dai 
                dintorni di North Crawford. Disse di no. Disse di essere venuta 
                solo per la macchina automatica per le bollette e per insegnare 
                alle ragazze del posto come usarla. Dopo di ciò, disse, 
                se ne sarebbe andata con qualche altra macchina da qualche altra 
                parte. "Bene" dissi "fino a che la gente deve venire 
                a piazzare le macchine, suppongo che possiamo stare tranquilli".
 "Come?"
 "Quando le macchine cominceranno a consegnarsi da sole," 
                dissi "suppongo che sarà meglio che la gente cominci 
                a preoccuparsi sul serio".
 "Oh" disse. Non sembrava molto interessata all'argomento, 
                e mi chiesi se fosse interessata a qualche cosa. Sembrava un tipo 
                insensibile, quasi una macchina lei stessa, una cortese macchina 
                automatica della compagnia dei telefoni.
 "Per quanto tempo si fermerà in città?" 
                le chiesi.
 "Mi fermo otto settimane in ogni città, signore" 
                disse. Aveva dei begli occhi azzurri, ma certo non sembravano 
                pieni di curiosità né di speranza. Mi disse che 
                se ne era andata di città in città a quel modo per 
                due anni, sempre come un'estranea.
 E mi venne in mente che avrebbe potuto essere una buona Stella 
                per lo spettacolo. Stella era la moglie del personaggio di Marlon 
                Brando, la moglie del personaggio che volevo che interpretasse 
                Harry Nash. Così le dissi dove e quando facevamo i provini, 
                e dissi che la compagnia sarebbe stata molto felice se fosse venuta.
 Sembrò sorpresa, e si scaldò un poco. "Sa," 
                disse "questa è la prima volta che qualcuno mi chiede 
                di partecipare a qualcosa della comunità".
 "Bene," dissi "non c'è un modo più 
                veloce per conoscere un mucchio di persone piacevoli che quello 
                di lavorare con loro a uno spettacolo."
 Mi disse di chiamarsi Helene Shaw. Disse che avrebbe proprio fatto 
                una sorpresa, a me - e a lei stessa. Disse che probabilmente sarebbe 
                venuta.
 Voi 
                penserete che North Crawford doveva averne abbastanza di Harry 
                Nash attore dopo tutte le parti che aveva interpretato. Ma il 
                fatto era che probabilmente North Crawford poteva continuare a 
                godersi Harry per sempre, perché lui non era mai Harry 
                sul palcoscenico.
 Quando si alzava il sipario sul palcoscenico della palestra della 
                Consolidated Junior-Senior High School, Harry, anima e corpo, 
                era esattamente quello che il copione e il regista avevano detto 
                di essere.
 Una volta qualcuno disse che Harry avrebbe dovuto andare da uno 
                psichiatra per poter fare qualcosa di importante ed eccitante 
                anche nella vita reale - così avrebbe potuto sposarsi, 
                e forse ottenere un lavoro migliore che fare l'impiegato alla 
                ferramenta Miller per cinquanta dollari la settimana. Ma non so 
                cosa uno psichiatra avrebbe potuto tirare fuori da lui che la 
                città già non sapesse. Il problema di Harry era 
                l'essere stato abbandonato sui gradini della Chiesa Unitaria da 
                piccolo, e non aveva mai scoperto chi fossero i suoi genitori.
 Quando gli dissi là, alla ferramenta Miller, che ero stato 
                nominato regista e che lo volevo nel mio spettacolo, disse quello 
                che aveva sempre detto a chiunque gli avesse chiesto di lavorare 
                in uno spettacolo - ed era quasi triste, se ci pensate un po' 
                su.
 "Chi sarò questa volta?" disse.
 Così feci i provini dove si erano sempre fatti - nella 
                sala riunione al secondo piano della biblioteca pubblica di North 
                Crawford. Doris Sawyer, la donna che solitamente fa la regista, 
                venne per offrirmi i benefici di tutta la sua esperienza. Noi 
                due ci eravamo piazzati di sopra, mentre la gente che voleva la 
                parte aspettava di sotto. Li chiamavamo di sopra a uno a uno.
 Harry Nash venne al provino, anche se era uno spreco di tempo. 
                Suppongo che lo facesse solo per poter recitare un po' di più.
 Per il piacere di Harry e anche per il nostro, gli facemmo leggere 
                la scena dove picchia la moglie. Era uno spettacolo di per se 
                stesso, il modo in cui Harry lo fece, e Tennessee Williams neanche 
                lo aveva scritto tutto. Tennessee Williams non aveva scritto il 
                pezzo, per esempio, in cui Harry, che pesa circa 145 libbre, che 
                è alto circa cinque piedi e otto pollici, aumenta il proprio 
                peso di quasi cinquanta libbre e la propria statura di quattro 
                pollici solo prendendo in mano un copione. Aveva un soprabitino 
                doppiopetto corto, con le pieghe sul dietro, tipo scuola elementare, 
                e una graziosa piccola cravatta rossa con sopra una testa di cavallo. 
                Si tolse il soprabito e la cravatta, si aprì il colletto, 
                poi voltò le spalle a Doris e a me, raccogliendo le energie 
                per la parte. Aveva un grande squarcio sul dietro della camicia, 
                eppure sembrava una camicia abbastanza nuova. L'aveva strappata 
                di proposito, in modo da poter essere molto di più Marlon 
                Brando sin dall'inizio.
 Quando si voltò di nuovo verso di noi, era immenso e bello 
                e pieno di sé e crudele. Doris leggeva la parte di Stella, 
                la moglie, e Harry tiranneggiò quella vecchia signora credendo 
                che fosse una dolce ragazza incinta sposata a uno scimmione sensuale 
                che stava per strizzarle fuori il cervello. Convinse anche me. 
                E io leggevo le battute di Blanche, sua sorella nel testo, e accidenti 
                se Harry non mi terrorizzò nel farmi sentire una bellezza 
                meridionale ubriaca e sfiorita.
 E poi, mentre Doris e io stavamo riprendendoci dalle nostre esperienze 
                emozionali, come gente che sta uscendo dall'anestesia, Harry depose 
                il copione, si rimise soprabito e cravatta, e ridiventò 
                il pallido impiegato del negozio di ferramenta.
 "Andava... andava bene?" disse, e sembrava proprio sicuro 
                che non avrebbe avuto la parte.
 "Be'," dissi "per una prima lettura, non era troppo 
                male".
 "C'è una probabilità che io ottenga la parte?" 
                disse. Non so perché dovesse sempre fingere che ci fosse 
                qualche dubbio sulla sua parte, ma lo faceva.
 "Penso che possiamo tranquillamente dire che ci stiamo orientando 
                decisamente verso di te" gli dissi.
 Era molto soddisfatto. "Grazie! Grazie mille!" disse, 
                e mi diede la mano.
 "C'è una ragazza nuova carina di sotto?" dissi, 
                intendendo Helene Shaw.
 "Non ci ho fatto caso" disse Harry.
 Venne fuori che Helene Shaw era venuta per i provini, e a Doris 
                e me si fermò il cuore. Pensammo che la Compagnia della 
                Maschera e della Parrucca di North Crawford era finalmente sul 
                punto di far salire sul palcoscenico una ragazza veramente giovane 
                e veramente bella, invece di una di quelle quarantenni ridotte 
                a mal partito che generalmente eravamo costretti a spacciare per 
                ragazze.
 Ma Helene Shaw non poteva interpretare neppure la parte di una 
                mela acerba. Qualsiasi cosa le dessimo da leggere, era sempre 
                la stessa ragazza con lo stesso sorriso per chiunque avesse da 
                lamentarsi per la bolletta del telefono.
 Doris tentò di istruirla un poco, di farle capire che Stella 
                nel testo era una ragazza veramente appassionata che amava uno 
                scimmione perché aveva bisogno di uno scimmione. Ma Helene 
                leggeva di nuovo le battute esattamente allo stesso modo. Non 
                credo che un vulcano avrebbe potuto eccitarla abbastanza da farle 
                dire "Oo".
 "Cara", disse Doris "vorrei farti una domanda personale".
 "Avanti" disse Helene.
 "Sei mai stata innamorata?" disse Doris. "Il motivo 
                per cui ti chiedo" disse " di ricordare qualche vecchio 
                amore è perché potrebbe aiutarti a mettere più 
                calore nella tua recitazione".
 Helene corrugò la fronte e ci pensò a lungo. "Bene," 
                disse "io viaggio parecchio, sapete. E praticamente tutti 
                gli uomini nelle diverse compagnie che ho visitato sono sposati 
                e non sto mai in alcun posto abbastanza a lungo per conoscere 
                molte persone che non lo siano".
 "E a scuola?" disse Doris. "Con il primo amore 
                e tutti quegli altri tipi di amore scolastico?"
 Così Helene ci pensò a lungo, poi disse: "Anche 
                a scuola mi spostavo sempre parecchio. Mio padre era un costruttore 
                edile, continuamente in giro per lavoro, così io dovevo 
                sempre dire salve o addio a qualche posto, senza poter mettere 
                niente in mezzo".
 "Um" disse Doris.
 "Andrebbe bene un divo del cinema?" disse Helene. "Non 
                voglio dire nella vita reale. Non ne ho conosciuto nessuno. Intendo 
                solo sullo schermo".
 Doris mi guardò strabuzzando gli occhi. "Immagino 
                che sia anche quella una specie di amore" disse.
 E allora Helene si entusiasmò un poco. "Me ne stavo 
                seduta al cinema per ore e ore," disse "e fingevo di 
                essere sposata a qualunque uomo fosse il protagonista del film. 
                Erano le uniche persone che venivano con noi. Non importa dove 
                traslocassimo, le stelle del cinema erano già là".
 "Uh huh" disse Doris.
 "Bene, grazie, miss Shaw" dissi. "Vada sotto e 
                aspetti con gli altri. Le faremo sapere".
 Così tentammo di trovare un'altra Stella. Ma non ce n'era 
                neanche una, non una donna della compagnia con una goccia di rugiada 
                ancora su di sé. "Tutto quello che abbiamo sono delle 
                Blanche" dissi, intendendo che tutto quello che avevamo erano 
                donne sfiorite che potevano recitare la parte di Blanche, la sorella 
                sfiorita di Stella. "Così è la vita, credo 
                - venti Blanche per una Stella".
 "E quando trovi una Stella," disse Doris "viene 
                fuori che non sa cosa sia l'amore".
 Doris e io decidemmo che c'era ancora una cosa che potevamo tentare. 
                Potevamo chiedere a Harry Nash di recitare una scena con Helene. 
                "Potrebbe farla ribollire almeno un pochino" dissi.
 "Quella ragazza non ha bolle dentro" disse Doris.
 Così attraverso le scale chiedemmo a Helene di tornare 
                di sopra e dicemmo a qualcuno di andare a prendere Harry. Harry 
                non stava mai con gli altri ai provini --e nemmeno alle prove. 
                Nell'attimo in cui non aveva una battuta da dire, spariva in qualche 
                nascondiglio dove poteva sentire se lo chiamavano, ma dove non 
                poteva essere visto. Ai provini in biblioteca di solito si nascondeva 
                nella stanza per la consultazione, passando il tempo a studiare 
                le bandiere dei diversi Paesi sulla prima pagina del dizionario.
 Helene venne di sopra, e fummo molto dispiaciuti e sorpresi nel 
                vedere che aveva pianto.
 "Oh, cara" disse Doris. "Oh, mia... qual è 
                mai dunque il tuo problema, cara?"
 "Sono stata tremenda, vero?" disse Helene, ciondolando 
                la testa.
 Doris disse l'unica cosa che si può dire in una filodrammatica 
                quando c'è qualcuno che piange. Disse: "Perché, 
                no cara - sei stata meravigliosa".
 "No, non è vero" disse Helene. "Sono un 
                cubetto di ghiaccio che cammina, e lo so".
 "Nessuno potrebbe guardarti e pensare una cosa del genere" 
                disse Doris.
 "Ma possono dirlo dopo che mi hanno conosciuta" disse 
                Helene. "Ed è esattamente quello che dicono, 
                dopo che mi hanno conosciuta". Le lacrime aumentarono. "Non 
                voglio essere come sono" disse. "È solo che non 
                posso farci nulla, visto il modo in cui ho trascorso la mia vita. 
                Le uniche esperienze che ho avuto sono state quei sogni strampalati 
                con le stelle del cinema. Quando incontro qualcuno carino nella 
                vita reale, mi sento come se fossi in una specie di grande bottiglia, 
                come se non potessi toccare quella persona, per quanto seriamente 
                ci provi". E Helene spinse nell'aria come se ci fosse una 
                grande bottiglia tutto intorno a lei.
 "Lei mi ha chiesto se sono mai stata innamorata" disse 
                a Doris. "No... ma lo vorrei tanto. So di che cosa parla 
                questo dramma. So quello che si crede che Stella dovrebbe sentire 
                e perché. Io... io... io..." disse, e le lacrime non 
                le permisero di continuare.
 "Tu cosa, mia cara?" disse Doris con gentilezza.
 "Io..." disse Helene, e spinse di nuovo la bottiglia 
                immaginaria. "È solo che non so come cominciare" 
                disse.
 Si udirono dei passi pesanti sulle scale della biblioteca. Sembravano 
                quelli di un palombaro degli abissi marini che risale con le sue 
                scarpe di piombo. Era Harry Nash, che si stava trasformando in 
                Marlon Brando. Entrò, quasi strisciando le nocche sul pavimento. 
                Ed era entrato così tanto nella parte che la vista di una 
                donna in lacrime lo fece sghignazzare.
 "Harry," dissi "vorrei presentarti Helene Shaw. 
                Helene... questo è Harry Nash. Se ottieni la parte di Stella, 
                sarà tuo marito nello spettacolo". Harry non si offrì 
                di stringerle la mano. Si mise le mani in tasca e, curvo su di 
                lei, la squadrò dall'alto in basso, con delle occhiate 
                che la lasciarono nuda. Smise di piangere in quel preciso istante.
 "Mi chiedevo se voi due volevate recitare la scena della 
                lite," dissi "e poi la scena della riappacificazione 
                subito dopo".
 "Certo" disse Harry, con gli occhi sempre fissi su di 
                lei. Quegli occhi le bruciavano i vestiti più in fretta 
                di quanto lei ci impiegasse a rimetterseli. "Certo," 
                disse "se Stella è pronta".
 "Come?" disse Helene. Era diventata del colore del succo 
                di mirtillo.
 "Stell... Stella" disse Harry. "Sei tu. Stella 
                è mia moglie".
 Porsi a entrambi il copione. Harry me lo strappò di mano 
                senza una parola di ringraziamento. Le mani di Helene erano incerte, 
                e io dovetti richiuderli con gentilezza intorno alle pagine.
 "Voglio qualcosa da poter lanciare" disse Harry.
 "Come?" dissi.
 "C'è un punto in cui getto la radio fuori dalla finestra" 
                disse Harry. "Che cosa posso lanciare?".
 Così gli dissi che un fermacarte di ferro era la radio, 
                e spalancai la finestra. Helene Shaw sembrava spaventata a morte.
 "Da dove vuoi che partiamo?" disse Harry, e ruotò 
                le spalle come un pugile professionista che si sta scaldando.
 "Inizia alcune battute prima di quando getti la radio fuori 
                della finestra" dissi.
 "O.K., O.K." disse Harry, continuando a scaldarsi e 
                misurando lo spazio a grandi passi. "Vediamo," disse 
                "dopo che ho gettato la radio, lei corre fuori del palcoscenico 
                e io le corro dietro, e gliene mollo uno".
 "Esatto" dissi io.
 "O.K., piccola" disse Harry a Helene, le palpebre abbassate. 
                Quello che stava per accadere era più selvaggio della corsa 
                delle bighe in Ben Hur. "In posizione di partenza" 
                disse Harry. "Sta' pronta, piccola. Via!".
 Quando la scena fu finita, Helene Shaw era accaldata come un facchino 
                e molle come un'anguilla. Sedette con la bocca aperta e la testa 
                piegata da un lato. Non era più rinchiusa in nessuna bottiglia. 
                Non c'era più nessuna bottiglia che la tratteneva e la 
                conservava sicura e pulita. La bottiglia se n'era andata.
 "Ho la parte o no?" mi ringhiò Harry.
 "Sicuro" dissi.
 "Hai proprio detto la parola giusta!" disse. "Adesso 
                me ne vado... Ci vediamo Stella" disse a Helene, e se ne 
                andò sbattendo la porta dietro di sé.
 "Helene?" dissi. "Miss Shaw?".
 "Mf?" disse lei.
 "La parte di Stella è sua" dissi. "È 
                stata grande!".
 "Davvero?" disse.
 "Non avevo idea che avessi tutto quel fuoco dentro, cara" 
                le disse Doris.
 "Fuoco?" disse Helene. Non sapeva se stava andando a 
                piedi o a cavallo.
 "Fuochi artificiali! Girandole! Candele romane!" disse 
                Doris.
 "Mf" disse Helene. E fu tutto ciò che disse. 
                Sembrava che avesse intenzione di stare seduta su quella sedia 
                con la bocca aperta per sempre.
 "Stella" dissi.
 "Huh?" disse.
 "Può andarsene".
 Così cominciammo a provare quattro sere la settimana sul 
                palcoscenico della Consolidated School. E Harry e Helene imposero 
                un tale ritmo che tutti nella produzione erano mezzi matti per 
                l'eccitazione e la stanchezza prima che avessimo provato quattro 
                volte. Di solito un regista deve supplicare gli attori affinché 
                imparino la parte, ma non ebbi questo problema. Harry e Helene 
                lavoravano così bene insieme che chiunque facesse parte 
                del cast considerava un dovere e un onore e un piacere sostenerli.
 Ero proprio fortunato - o almeno pensavo di esserlo. Le cose stavano 
                andando così bene, così lisce, così veloci 
                che, dopo una scena d'amore, dovetti dire a Harry e Helene: "Tenetevi 
                un pochino più sottotono per la rappresentazione autentica, 
                vi dispiace? Vi brucerete".
 Lo disse alla quarta o quinta prova, e Lydia Miller, che interpretava 
                Blanche, la sorella sfiorita, stava seduta vicino a me, in platea. 
                Nella vita reale è la moglie di Verne Miller. Verne è 
                il proprietario del negozio di ferramenta. Verne era il padrone 
                di Harry.
 "Lydia" le dissi "abbiamo o non abbiamo uno spettacolo?"
 "Sì" disse "abbiamo uno spettacolo, d'accordo". 
                Lo disse come se io avessi commesso un qualche misfatto, fatto 
                qualcosa di veramente terribile. "Dovresti essere molto orgoglioso 
                di te stesso".
 "Cosa vuoi dire?" chiesi.
 Prima che Lydia potesse rispondere, Harry mi lanciò un 
                urlo dal palcoscenico, chiedendomi se avevo finito con lui e se 
                poteva andare a casa. Gli dissi di sì e, ancora Marlon 
                Brando, se ne andò, prendendo a pugni i mobili che si trovavano 
                sul suo cammino e sbattendo tutte le porte. Abbandonò Helene 
                tutta sola sul palcoscenico, seduta su un divano, con la stessa 
                aria rintronata che aveva dopo il provino. Quella ragazza era 
                prosciugata.
 Mi rivolsi nuovamente a Lydia e dissi: "Bene... finora credevo 
                di avere tutte le ragioni per essere felice e orgoglioso. Sta 
                succedendo qualcosa di cui non sono a conoscenza?"
 "Lo sai che quella ragazza è innamorata di Harry?" 
                disse Lydia.
 "Nel testo?" dissi.
 "Quale testo?" disse Lydia. "Non si sta recitando 
                alcun testo adesso, e guardala un po' là." Scoppiò 
                in una risata triste. "Tu non stai dirigendo questo spettacolo".
 "E chi lo sta facendo?" dissi.
 "Madre natura al suo peggio" disse Lydia. "E pensa 
                a cosa accadrà a quella ragazza quando scoprirà 
                com'è Harry realmente". Si corresse. "Come Harry 
                realmente non è" disse.
 Non feci nulla al riguardo, perché non pensavo che fosse 
                affar mio. Udii Lydia cercare di fare qualcosa al riguardo, ma 
                non andò molto lontano.
 "Sai," disse una sera Lydia e Helene "una volta 
                ho interpretato Ann Rutledge, e Harry era Abraham Lincoln".
 Helene batté le mani. "Deve essere stato divino!" 
                disse.
 "In un certo senso lo fu" disse Lydia. "A volte 
                ero così coinvolta che amavo Harry come avrei amato Abraham 
                Lincoln. Dovevo ritornare con i piedi per terra e ricordarmi che 
                non aveva mai liberato gli schiavi, che era un semplice impiegato 
                nel negozio di ferramenta di mio marito.
 "È l'uomo più meraviglioso che io abbia mai 
                incontrato" disse Helene.
 "Naturalmente, una cosa a cui devi esser preparata, quando 
                lavori con Harry in uno spettacolo," disse Lydia "è 
                quanto accade dopo l'ultima replica".
 "Di che cosa stai parlando?" disse Helene.
 "Una volta che lo spettacolo è finito" disse 
                Lydia "qualunque cosa tu pensavi che Harry fosse, sparisce 
                nel nulla".
 "Non ci credo" disse Helene.
 "Riconosco che è difficile crederlo" disse Lydia.
 Allora Helene si irritò un po'. "In ogni caso, perché 
                me lo dici?" disse. "Se anche fosse vero, perché 
                dovrei preoccuparmene?".
 "Io... io non lo so, disse Lydia, ritraendosi. "Io... 
                io ho solo pensato che l'avresti trovato interessante".
 "Ebbene, non è così" disse Helene.
 E Lydia sgattaiolò via, sentendosi sciatta e non amata 
                come si immaginava che dovesse sentirsi nel testo. Dopodiché 
                nessuno disse più niente a Helene per metterla in guardia 
                sul conto di Harry, nemmeno quando si sparse la voce che aveva 
                detto alla compagnia dei telefoni che non voleva più essere 
                trasferita, che voleva fermarsi a North Crawford.
 E venne finalmente il momento del debutto. Andammo avanti tre 
                sere - giovedì, venerdì e sabato - e facemmo fuori 
                il pubblico. Credevano a ogni parola che veniva detta sul palcoscenico, 
                e quando il sipario marrone scendeva, erano pronti ad andare in 
                manicomio con Blanche, la sorella sfiorita.
 Giovedì sera le altre ragazze della compagnia dei telefoni 
                mandarono a Helene una dozzina di rose rosse. Quando Helene e 
                Harry vennero insieme alla ribalta, le passai le rose sopra le 
                luci del proscenio. Si fece avanti, prese una rosa dal mazzo per 
                darla a Harry. Ma quando si girò per dare a Harry la rosa 
                davanti a tutti, Harry se ne era andato. Il sipario scese su quella 
                scena extra - quella ragazza che offriva una rosa a nulla e nessuno.
 Andai dietro le quinte, e la trovai che reggeva ancora quella 
                rosa. Aveva lasciato da parte il mazzo. Aveva gli occhi pieni 
                di lacrime. "Cos'ho fatto di male?" mi disse. "L'ho 
                offeso in qualche modo?".
 "No" dissi. "Fa sempre così dopo uno spettacolo. 
                Un attimo dopo che è finito, sparisce più in fretta 
                che può".
 "E domani sparirà di nuovo?"
 "Senza neanche togliersi il trucco".
 "E sabato?" disse. "Si fermerà per la festa 
                della compagnia, vero?"
 "Harry non va mai alle feste" dissi. "Quando sabato 
                calerà il sipario, nessuno lo vedrà più fino 
                a lunedì, quando tornerà al lavoro".
 "Che tristezza" disse.
 Helene venerdì non recitò bene come giovedì. 
                Sembrava che stesse pensando ad altro. Guardò Harry squagliarsela 
                dopo gli applausi. Non disse una parola.
 Sabato recitò nuovamente al meglio. Di solito era Harry 
                che dava il ritmo. Ma sabato Harry dovette darsi da fare per mantenere 
                quello di Helene.
 Quando scese il sipario sull'ultima chiamata, Harry voleva andarsene 
                via, ma non gli riuscì. Helene non voleva lasciarli andare 
                la mano. Il resto del cast e dei tecnici di scena e un mucchio 
                di sostenitori del pubblico erano intorno a Harry ed Helene, e 
                Harry cercava di recuperare la mano.
 "Bene" disse. "Devo andare".
 "Dove?" disse lei.
 "Oh," disse lui "a casa".
 "Non hai voglia di venire con me alla festa della compagnia? 
                disse.
 Diventò tutto rosso. "Temo di non essere molto portato 
                per le feste" disse. Tutto il Marlon Brando che era in lui 
                se ne era andato. Aveva la lingua impastata, era spaventato e 
                intimidito - era tutto ciò per cui Harry era diventato 
                famoso tra uno spettacolo e l'altro.
 "D'accordo" disse lei. "Ti lascio andare... se 
                mi prometti una cosa".
 "Che storia è questa?" disse Harry, e credo che 
                sarebbe saltato dalla finestra se lo avesse lasciato andare.
 "Voglio che tu mi prometta di stare qui fino a che ti ho 
                dato il tuo regalo".
 "Regalo?" disse, ancora più spaventato.
 "Promesso?" disse lei.
 Promise. Era l'unico modo per riavere la mano. E rimase lì, 
                tristemente, mentre Helene andava di sotto nello spogliatoio delle 
                donne a prendere il regalo. Mentre aspettava, un mucchio di gente 
                si congratulò con lui per la sua bravura. Ma i complimenti 
                non lo avevano mai reso felice. L'unica cosa che voleva era andarsene.
 Helene ritornò con il regalo. Venne fuori che si trattava 
                di un piccolo libro blu con un grosso nastro rosso come segnalibro. 
                Era una copia di Romeo e Giulietta. Harry era molto imbarazzato. 
                Tutto quello che riuscì a dire fu "Grazie".
 "Ho messo il segnalibro alla mia scena preferita" disse 
                Helene.
 "Um" disse Harry.
 "Non vuoi sapere qual è la mia scena preferita?" 
                - disse.
 Così Harry dovette aprire il libro al nastro rosso.
 Helene gli si fece vicino, e lesse una battuta di Giulietta: " 
                'Come, dimmi, e perché sei entrato qui dentro?" lesse. 
                "Sono erti e ardui da scalare i muri dell'orto: e qui per 
                te, considerando chi sei, è luogo di morte se ti scopre 
                qualcuno di casa mia' ". Indicò il verso successivo. 
                "Ora, guarda cosa dice Romeo" disse.
 "Um" disse Harry.
 "Leggi cosa dice Romeo" disse Helene.
 Harry si schiarì la voce. Non voleva leggere il verso, 
                ma dovette farlo. " 'Ho scavalcato questi muri sulle ali 
                leggere dell'Amore' " lesse con la sua voce normale. Ma poi 
                subentrò in lui un cambiamento. " 'Amore non teme 
                ostacolo di pietra' " lesse, e si raddrizzò, e otto 
                anni scivolarono via da lui, ed era coraggioso e lieto. " 
                'Amore, quando a una cosa intende, è ardimentoso e pronto,' 
                " lesse " 'e io non temo i tuoi parenti' ".
 " 'Ti uccideranno, se ti scoprono qui' " disse Helene, 
                e lo fece iniziare a muoversi con le ali.
 " 'Ahimè!' " disse Harry " 'c'è nei 
                tuoi occhi più pericolo che in venti loro spade' ". 
                Helene lo condusse verso l'uscita dietro le quinte. " 'Se 
                mi guardi tu con dolcezza io sarò a tutta prova contro 
                l'odio dei tuoi' ".
 " 'Ma io non voglio per nulla al mondo che ti trovino qui' 
                " disse Helene, e fu l'ultima cosa che udimmo. Erano usciti 
                entrambi e se n'erano andati.
 Non si fecero vedere alla festa della compagnia. Una settimana 
                dopo erano sposati.
 Sembravano molto felici, anche se erano un po' strani di tanto 
                in tanto, a seconda del testo che stavano leggendosi l'un l'altro 
                in quel momento.
 L'altro giorno sono capitato alla compagnia dei telefoni, perché 
                la macchina delle bollette fa di nuovo strani errori. Le chiesi 
                quale testo stesse leggendo ultimamente con Harry.
 "La settimana scorsa" disse "sono stata sposata 
                a Otello, amata da Faust e rapita da Paride. Mi sai dire chi è 
                la ragazza più fortunata della città?"
 Le disse che credevo di saperlo, e che anche la maggior parte 
                delle donne della città la pensavano allo stesso modo.
 "Hanno avuto la loro occasione" disse.
 "La maggior parte di loro non potrebbe reggere alla tensione" 
                dissi. E le dissi che mi era stato chiesto di dirigere un altro 
                testo. Le chiesi se lei e Harry sarebbero stati disponibili. Mi 
                fece un radioso sorriso e disse: "Chi saremmo questa volta?"
 
 
 (Tratto 
                dal libro Benvenuta nella gabbia delle scimmie, SE Editrice, 
                Milano, 1991, a cura di Franco Garnero)
 
 
 
 
 
  L'autore, Kurt Vonnegut Jr 
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