POLVERE ROSSA


Ma Jian



Vicolo Nanxiao 53

L'anno scorso, nella primavera del 1981, la mia unità di lavoro mi trasferì dal dormitorio del personale a una casetta di vicolo Nanxiao, numero 53. La casa è schiacciata tra le vie Donasi Undicesima e Dodicesima del quartiere est di Pechino, a un centinaio di metri dall' ex residenza di Liang Quichao, uno dei membri del movimento di riforma del 1898, i cui appelli alla modernizzazione irritarono a tal punto l'imperatrice Cixi da costringerlo a lasciare il paese e trascorrere quattordici anni in esilio. Fuori dal cancello un carrubo s'inerpica su per lo stretto varco creatosi tra un muro e un palo del telegrafo. Il vicolo di Nanxiao si trova a venti metri dal mio portone, al termine di uno stretto passaggio, ed è giusto largo quel tanto da far passare di striscio due autobus. Il mattino alle otto e il pomeriggio alle quattro il vicolo si riempie di gente e di biciclette, e tutto si ferma.
Dal mio divano sento gli autobus fermarsi e le bigliettaie che picchiando sul vetro sbraitano: "Aspettate il prossimo, se non riuscite ad infilarvi in questo. Ehi! Tu, con l'orologio d'oro! Sì, tu! Dov'è il biglietto? Ma bene, bastardo d'un pallone gonfiato. Prenditi un taxi visto che ti dai tante arie. Lurido pezzente…"
La casa è circondata su tre lati da un condominio di mattoni rossi. Quando si aprono le finestre delle cucine, sul mio tetto piovono gusci d'uovo, foglie di cavolo e sacchetti di plastica che poi rotolano in cortile. Ci fu una volta in cui mi arrivò un piatto di rognoni fritti: probabilmente qualcuno là sopra doveva aver sentito che puzzavano e voleva che fossi io a occuparmene. Quando stendo i panni ad asciugare, i piccioni che nidificano al terzo piano ci scacazzano sopra.
Il cortile è giusto un paio di metri quadri. In autunno il carrubo oltre il muro retrostante lo dissemina di rami e rametti. Nei mesi estivi, dagli appartamenti piovono bucce d'anguria e coppette di gelato vuote che attirano sciami di mosche e zanzare, motivo per cui io preferisco stare all'interno. L'inverno è la stagione migliore, dato che i miei vicini sigillano le finestre. E quando cade la neve, nella mia misera casetta si ricrea addirittura il fascino della Pechino d'una volta.
La casa mi serve per dipingere, scrivere e dormire. Mia moglie e mia figlia abitano ancora nel mio vecchio appartamento all'interno dell'impianto petrolchimico di Yanshan, a un paio d'ore di autobus da qui. Sono stato per quattro anni il fotografo pubblicitario dell'impianto, mentre mia moglie ballava nella compagnia propagandistica. Fino a che, tre anni fa, con le mie foto vinsi un premio in un concorso nazionale e fui trasferito nella capitale a lavorare per il reparto propaganda estera della Federazione Sindacale Cinese. Il lavoro mi dà tanto da fare che mi capita di rado di poter tornare a Yanshan.
La casa sarà anche una vecchia baracca fatiscente, ma il rubinetto in cortile e l'ingresso privato mi danno un'indipendenza e una libertà di cui non ho mai goduto nel dormitorio per i dipendenti. Funge da punto d'incontro per tutta una banda di scrittori, pittori, poeti, dissidenti e perdigiorno. Parliamo d'arte e di politica fino a notte fonda. Discutiamo del Sistema di responsabilità famigliare (1) e del Socialismo dalle caratteristiche cinesi. Ascoltiamo cassette della cantante taiwanese Deng Lijun (2) e diffondiamo poesia clandestina in ciclostile. Ci capita a volte di camuffare un giornalista con un passamontagna e una tuta per intrufolarlo nella casa, dove gli mostriamo i nostri quadri e ascoltiamo i suoi ricordi. Sono molti i progetti inattuabili discussi tra queste quattro mura.
La stanza è piena dei miei dipinti: uno sta addirittura al posto del tappeto. Quando allestisco qualche mostra qui da me, tanti quadri spariscono, ma una volta un tizio dell'ambasciata americana me ha comprato uno. Mi ha dato 40 dollari.
Gli sguardi inquisitori dei vicini si concentrano inevitabilmente sulla mia casa. Ma la musica a tutto volume e il via vai degli ospiti ha destato l'interesse anche della polizia locale. Tutti i miei amici hanno le chiavi: cercano di arrivare prima che faccia buio in modo da non attirare l'attenzione, ma andarsene poi nel cuore della notte è pericoloso. Allora si fermano a dormire o se ne vanno alla spicciolata, a intervalli di cinque minuti l'uno dall'altro.
Una sera invitai a casa una collega, una ragazza di nome Xi Ping che lavora nella contabilità. Dopo cena chiacchierammo per un po', poi mi offrii di riaccompagnarla a casa. Ci eravamo allontanati sì e no di duecento metri dal cancello di casa che ci piombò addosso la polizia. Fortunatamente avevo con me la carta d'identità. Dichiarai di abitare lì vicino, spiegai che si era fatto tardi, dissi un sacco di cose educate e alla fine mi lasciarono andare. Lasciarono andare anche Xi Ping, che però dovette tornarsene al dormitorio a piedi percorrendo da sola tutti quei lunghi vicoli bui.
Ci fu poi una serata in cui io e i miei amici avevamo bevuto troppo e in cortile crollammo l'uno addosso all'altro. Dopo cinque minuti un furgone della polizia inchiodava fuori dal cancello e quattro poliziotti ci spingevano tutti dentro la stanza chiedendoci i documenti. In quel momento Li Tao era a letto, sotto la zanzariera, Li Tao la tirò giù, quindi il poliziotto la tirò su un'altra volta. La cosa andò avanti per un po', finché Li Tao aprì gli occhi e vide le cinque stelle d'oro sul cappello del poliziotto. Ovviamente furono interrogati entrambi. Nessuno dei due fu in grado di mostrare il certificato di matrimonio e furono portati via con il cellulare. Sono trascorsi sei anni dalla morte di Mao Zedong e dalla fine della Rivoluzione Culturale. Deng Xiaoping è tornato al potere, vuole le quattro modernizzazioni, le imprese private e gli investimenti stranieri. Ha liberalizzato l'economia, ma continua a stroncare qualsiasi forma di dissenso. Quando l'attivista Wei Jingsheng disse che le quattro modernizzazioni non avevano alcun senso senza la quinta, la democrazia, venne arrestato, processato e condannato a quindici anni di galera.
Ma la porta sul mondo esterno ormai si è aperta e la gente ha cominciato a pensare con la propria testa . Nel 1979 il Gruppo senza Nome, la prima associazione cinese artistica indipendente, allestì una mostra inaugurale nel parco di Beihai. Seguì a ruota il Gruppo della Stella, che manifestò per le vie di Pechino per il diritto di organizzare mostre private. Un gruppo di fotografi pechinesi fondò a quel punto il Gruppo Aprile, con la missione rivoluzionaria di fotografare il paese nella sua realtà.
Tutto comincia a cambiare. La Cina si sente come un vecchio barattolo di fagioli rimasto al buio per quarant'anni, in procinto di scoppiare.


Zhang Wen è il presidente del nostro gruppo di discussione sull'arte. Abita in vicolo Meiguang. Si può scendere dall'autobus alla Torre del Tamburo o al Parco di Beihai, la distanza è più o meno la stessa. Ma io scendo sempre alla Torre del Tamburo per evitare di passare davanti all'ex residenza di Guo Muoruo. Quando quel gigante della letteratura maoista morì, il Partito istituì una postazione di guarda al sacro suolo. Dalle spesse mura rosse che circondano la sua casa si sprigiona nell'aria un tale senso di terrore che nessuno dei passanti osa parlare o sorridere, persino i bambini si zittiscono. In realtà non sono le mura a spaventare, ma i soldati e i fucili appostati al di là. Sono tanti gli edifici del genere, a Pechino. Queste belle case recintate un tempo appartenevano ai ricchi mercanti e agli aristocratici. Quando i comunisti presero il potere massacrarono i proprietari e ci trasferirono i propri sostenitori.
La casa di Zhang Wen è ancora più piccola della mia. Il letto singolo occupa metà della stanza e il resto dello spazio è dedicato ai suoi quadri. Sedie non ce ne sono e chi viene a trovarlo deve appollaiarsi sul letto mentre lui sta in piedi accanto alla porta. Gli capita di riuscire a infilarsi, alto e magro com'è, in mezzo alla stanza per versare il tè, gli occhi fissi sul benché minimo movimento degli ospiti, terrorizzato all'idea che possano toccare un quadro. "Attento! Quella cornice non è fissata!"
Yang Yu è nell'angolo, all'estremità del letto. E' robusto e di costituzione massiccia, indossa una maglietta rossa: non sembra proprio avere niente in comune con le cose fragili e delicate che dipinge. Di giorno lavora allo stabilimento meccanico Stella Rossa.
Ke Lu sta appollaiato davanti. Il bagliore riflesso sui suoi occhiali gli fa apparire le labbra ancora più grosse di quel che sono. La sera vende spiedini d'agnello e trippa lessa al ristorante musulmano di Donasi. Quando ci vado a comprare i dolcetti ai semi di sesamo, me ne dà sempre uno appena sfornato.
Lo scheletrico Chen Wen, un saldatore alla fabbrica di fiammiferi Tiananmen, è seduto alla sua sinistra. Guarda le cose, non le persone, e soprattutto mai gli occhi della gente. Accanto a lui c'è lo scenografo Yu Lei, che sta abbozzandomi un ritratto. Di tanto in tanto solleva lo sguardo con un'espressione di furiosa concentrazione.
Entra nella stanza Zhao Lan, che buttandosi i capelli all'indietro si infila accanto a Yu Lei. Nei suoi enormi acquarelli lei ritrae foreste pluviali lussureggianti e misteriose. Durante la Rivoluzione Culturale trascorse cinque anni a deforestare le giungle dello Yunnan.
Mi siedo su uno sgabello accanto alla porta. Lo stomaco di Zhan Wen mi preme sulla schiena ogni volta che respira. Mi mette una mano sulla spalla e dice: "Oggi Ma Jian ci parlerà dei suoi quadri e ci illustrerà il suo lavoro, dopodiché ognuno potrà fare i propri commenti". Si protende in avanti e passa a Zhao Lan una tazza di tè. Gli trema il braccio. "Sta' attento, Zhao Lan, scotta!"
"Come sarebbe che si fanno commenti?" brontola Yang Yu. "Per l'amor del cielo, non siamo mica a una riunione di Partito. Se vuoi dire una cosa, la dici. Se preferisci scoreggiare, scoreggia!"
"Senti, avevamo deciso che serviva un presidente. Ho detto commentare, non criticare. Ti ricordi quando Yu Lei discusse di Toulouse-Lautrec? Fu una cosa molto informale, ognuno diceva quel che gli andava". I quadri di Zhang Wen sono sottili e complessi. Durante la Rivoluzione Culturale, quando la pittura di paesaggio era considerata un crimine controrivoluzionario, lui infilava la scatola dei colori in un sacchetto di carta marrone e sgusciava fuori dalle mura di cinta della città per andare a dipingere campi, e fiumi e laghi. Il quadretto appeso accanto alla lampadina l' ha dipinto durante un'esibizione diretta da Seiji Ozawa alla Sala Concerti di Pechino. L'orchestra sembra una roccia sferzata dalle onde di un mare in tempesta. Accanto a questo quadro c'è un ritratto della mamma malata, coronata da una spruzzata di capelli bianchi, che sanno di morte.
"Ho portato sette quadri", comincio. "Questo è l'inverno: una casa di cemento dietro un muro di cemento. Persino le finestre sembrano fatte di cemento. L'unica traccia di esistenza umana è la scritta rossa e gialla sul muro".
"Attento! Mettilo…lì. No… là!"
"Non preoccuparti, è appoggiato al mio ginocchio".
"Non vedo niente, alzalo un po'".
"Lo stai tenendo capovolto".
Il quadro passa di mano in mano, poi viene deposto all'estremità del letto a faccia in giù.
"Questo è un ramo nella neve, un tratto nero che attraversa il foglio bianco. Volevo dare l'idea del rumore insito nel silenzio… L' ho dipinto a Wuhan, per strada. Era una giornata caldissima, c'erano delle persone che mangiavano degli spaghetti, in piedi sulla soglia di una casa. Sembravano su un palcoscenico, per questo ho dipinto la tenda da sole come fosse un sipario… Quest'altro l' ho fatto di getto su un cartone dopo aver sognato che mi mangiavano vivo. In mezzo c'è la fotografia della mia famiglia. Tra di loro qualcuno lo riconosco, non tutti. L'uomo che mi morde il piede in primo piano è il mio vicino di casa. Gestisce un negozio di arredi funebri fuori dall'Ospedale di Medicina Cinese, e non fa che dirmi che i morti sono meglio dei vivi. Il volto sulla sinistra è il mio".
"Molto interessanti le tonalità… Attenta! Guarda dietro di te!" Salta su Zhang Wen come vede che la mano di Zhao Lan sta per raggiungere la propria frangetta umida, rischiando di abbattere la tazza di tè piazzata dietro di lei, sulla testiera di legno del letto. Quella abbassa la mano appena in tempo, sporge la mascella e scosta i capelli bagnati con uno sbuffo.
Con tutta quella gente lì seduta, la stanza si surriscalda subito. La lampadina che mi penzola davanti agli occhi rende tutti scuri in volto. La mamma di Zhang Wen giace a letto da anni nella baracca dall'altra parte del cortile. La porta è sempre chiusa. Zhang Wen l'anno scorso ha rinunciato al lavoro presso le poste per prendersi cura di lei. Va di là in continuazione, si tratta di brevi visite per cambiarle la padella o i cuscini imbrattati. Quando Nannan abitava da me, me la portavo dietro, a questi incontri. Capitava che si addormentasse in braccio e allora Zhang Wen la portava nella baracca e la stendeva accanto a sua madre.
"Mi piace questa macchia blu. In inverno, la sera il cielo sembra congelato come questo".
"E' uno stile molto semplice. Comunica l'ordinarietà della vita a Pechino. In genere gli artisti ignorano la vita che si svolge attorno a loro".
"Che bisogno c'è di realismo? Se vuoi il realismo allora fai una fotografia. L'arte dovrebbe esprimere le proprie impressioni soggettive".
"Cosa c'è da esprimere in questo schifo di società? Il nazionalismo? L'amore per il proletariato? Che stronzate!"
Zhang Wen si sporge di nuovo sopra di me e dice: "La tua è una pittura molto espressionista, Yang Yu. Quel quadro in cui hai dipinto il vaso cinese esprime la paura dell'annientamento, della brutalizzazione del bene da parte del male".
"Gli uomini non hanno interiorità, non sono che pezzi di carne semoventi. In quest'incubo… mi piace il modo in cui Ma Jian ha usato dei colori tenui per dipingere una scena terribile. Mi sogno spesso di venire strangolato, o di essere inseguito dai lupi, e nonostante la paura provo sempre una strana sensazione di calore, come se mi trovassi stretto fra le braccia di una donna".
"Ma Jian, questi quadri sono molto diversi dagli ultimi che hai dipinto. Com'è che il tuo stile è diventato tanto freddo e negativo?"
"Non ho ancora trovato uno stile mio. Nessuna delle pennellate che traccio sembra appartenermi per davvero…"
"Cosa sta facendo ultimamente una mostra il Gruppo della Stella?" domanda qualcuno a Zhao Lan.
"Cercano degli stranieri che comprino i loro quadri. Stanno organizzando una mostra presso l'ambasciata americana. Nessuno dei miei quadri è stato scelto".
"Ho sentito che l'altro giorno hai venduto un quadro all'ambasciatore olandese per 2002 dollari".
"Figurati. Giuro sul Presidente Mao che non ho mai venduto neppure un quadro! Scommetto che quel sfottuto d'un Da Xian sta di nuovo mettendo in giro strane voci".
"Quel bastardo commercia in francobolli al mercato nero, adesso. Se la fa con degli stranieri. Deve avere già sei paia di jeans":
"Continuiamo a parlare dei quadri. Il nostro prossimo incontro…"
Nella stanza c'è lo stesso caldo soffocante che in un autobus all'ora di punta. "Qualcuno apra la finestra!" grido.
"No, Non aprite. Se ci sente la vecchia della pattuglia serale chiamerà la polizia". Adesso Zhang Wen è seduto su uno sgabello di legno, con le gambe divaricate attraverso la soglia. Ha la testa appoggiata allo stipite e un'aria di calma rassegnazione. "Ma Jian", dice, "non hai ancora trovato te stesso. Una metà di te è rimasta incastrata fuori. Se entrassi completamente in te stesso non ti preoccuperesti delle pennellate. Non avresti neanche bisogno di un pennello, butteresti giù la pittura sulla tela con le mani".

A settembre, di sera, per le strade di Pechino soffia una brezza autunnale. Alla fermata dell' autobus tutti guardano dritti davanti a sé, tranne la vecchia seduta su una valigia che sta fissando il fascio di quadri che ho sotto il braccio. La luce bianca e rossa che proviene dalla lampada girevole del parrucchiere qui dietro getta bagliori alle spalle della gente in attesa. In Cina, dove la politica è la sola religione, la gente può trovare la propria strada solo percorrendo gli stretti sentieri prestabiliti. Per me, l'arte è un modo di sfuggire a tutto questo, mi libera dalla noia e mi fa apparire la vita un po' più tollerabile. Sembra uno scherzo. Trascino con me i miei quadri per tutta la città nella speranza di ottenere qualche riconoscimento. Questa settimana l'ispirazione mi ha abbandonato, traccio pennellate che paiono di legno. I miei amici pittori dicono che sono un ostinato conservatore, gli amici scrittori mi ritengono un uomo di dubbia moralità. Al tempio di Jushilin sono un discepolo tranquillo, nel reparto propaganda sono un giovane decadente. Le donne mi definiscono un artista cinico, la polizia mi dà del teppista. Bene, che pensino quel che vogliono. Mi restano solo ventimila giorni da vivere. Perché preoccuparmi di loro? Appena riparlano, mi sento catturato e trascinato in un mondo dove i miei pensieri perdono significato e si fanno confusi, e per rispondere alle noiose domande che mi pongono devo entrare nelle loro teste, sedermi nei loro cervelli e sorbire educatamente il loro tè. Tutto tempo perso.
Domani a quest'ora mi sarò lasciato alle spalle questa città.


NOTE
(1) Iniziativa lanciata nel 1980 che riconosce alle singole famiglie un'autonomia di gestione nell'ambito dell'azienda agricola assegnatale (N.d.T).
(2) Cantante rock taiwanese, nota anche con il nome occidentalizzato di Teresa Teng, molto popolare in Cina negli anni Ottanta (N.d.T.).



 

Ma Jian scrive, dipinge e fotografa. Subito dopo il viaggio narrato in Polvere rossa ha lasciato la Cina e si è trasferito a Hong Kong. Oggi vive a Londra. Polvere Rossa - dal quale è stato tratto questo primo capitolo per Sagarana - è stato editato da Neri Pozza Editore, 2002, con traduzione di Monica Morzenti a partire dalla traduzione inglese dell'originale di Flora Drew

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