A GUANGZHOU

Nic Kelman

Sei su un aereo diretto a Guangzhou. Hai mandato il tuo jet privato a prendere qualcuno, e tu invece viaggi qui in prima classe. Stanno costruendo una fabbrica per te. Costerà più di uno stadio, più di una metropolitana. Quando sarà finita, sarà nove volte più grande dell'isolato in cui sei cresciuto. Lo sai perché il martedì pomeriggio precedente hai chiesto al tuo assistente personale di scoprire quant'era grande quell'isolato, quanto è ancora grande.
Da quando sei salito sull'aereo a Los Angeles, hai esaminato le cifre. C'è gente che l'ha già fatto per te, c'è gente il cui compito è fare questo e nient'altro che questo: contabili, banchieri d'investimento. Ma, al contrario dei cavalli da corsa che non cavalchi e delle auto che non inceri e dei quadri che non sei sicuro di non capire, di quelle fabbriche ne hai solo due. Questa sarà la tua terza. E così, per questa, controlli le cifre personalmente.
Quando hai finito, fai una telefonata. Come sospettavi, tutta quella gente ti ha mentito. Non sei sorpreso, è così che vanno le cose. Non dai nemmeno la colpa a loro, dovrai licenziare qualcuno per questo, qualcuno che ha appena preso in leasing una nuova auto perché la figlia se la porti con sé al college, qualcuno la cui moglie si è appena licenziata per cominciare a fare la scultrice "sul serio", qualcuno che ha un mutuo da pagare. Avevano paura. Stavano solo cercando di proteggersi. Tu avresti fatto, e continuerai a fare, lo stesso.
Quando riagganci, la donna seduta di fianco a te ti chiede: "Va a Guangzhou?".
Ridi. Ha l'aria vagamente familiare. Dev'essere alta almeno uno e ottanta. Ha i capelli biondi e corti, un po' diradati dalle troppe tinture. Porta un dolcevita bianco senza maniche - cashmere - e una gonna corta di seta. Quei due capi costano più di mille dollari. Lo sai perché li hai già comprati. Le braccia esposte e le gambe nude sono in forma, atletiche, tornite ma piene di muscoli. Deve avere un personal trainer, deve seguire un rigoroso programma di allenamento. Quando nota il tuo sguardo che le svolazza sulle gambe, distese sul poggiapiedi, piega il ginocchio destro sopra il sinistro, punta l'alluce. Polpaccio e coscia si flettono sotto i tuoi occhi.
Da quando vi siete seduti, ti ha ignorato. Era seduta di fianco a un posto vuoto. Era stata la calcolatrice. Se fosse stato solo il computer portatile non ci sarebbero stati problemi, si sarebbe sporta appena appena per vedere cosa stavi facendo, chi eri. Ma, quando avevi estratto la calcolatrice e avevi cominciato a fare addizioni per conto tuo, eri sparito. Poi lei aveva orecchiato la tua conversazione e aveva detto: "Va a Guangzhou?".
E tu ridi, perché è un volo diretto.
Lei ti dice come si chiama, riconosci il nome, ora riesci a collocarla. Fa la modella, ha fatto la modella per tutto il tempo in cui le modelle riescono a fare le modelle. Non è più giovane come una volta. Hai un amico che la definirebbe "sciupata", specialmente se la vedesse ora, sotto le luci a fluorescenza della cabina. Ti chiede dove alloggi a Guangzhou. "Oh", dice, "che coincidenza! È lo stesso posto dove alloggio io!". È possibile che lo sia, che lei non debba andare in bagno fra un minuto e tirare giù dal letto il suo agente per farsi cambiare la prenotazione. A Guangzhou ci sono solo tre alberghi di livello internazionale, quindi è possibile.
Vuole che tu le chieda cosa fa lei, una modella famosa in tutto il mondo, a Guangzhou, un porto industriale nella Cina continentale, e quindi glielo chiedi.
"Sto girando uno spot per il WWF alla Riserva Ornitologica di Zhang", dice. Tutto quadra, pensi tu, fanno spesso cose del genere dopo i trent'anni, quando la loro carriera vacilla, quando i crepacci sono troppo profondi perché le luci e il trucco riescano a spianarli. Gli permette di restare in vista e a volte gli procura persino qualche lavoretto da attrici.
Ma poi, mentre continua a parlare, capisci che ti sbagli. Ama sul serio gli uccelli e ne parlerebbe per ore. Ti racconta delle aquile di mare che vivono nella riserva. "Sembrano dei piccoli legionari romani, o cose del genere", dice, "piccoli legionari tracagnotti con placche consumate di corazza marrone dappertutto". Ti racconta che una volta ne ha visto una coppia che costruiva il nido, che la femmina - più grande del maschio - sovrintendeva alla costruzione, e che l'aveva commossa fino alle lacrime. Quando arriva il secondo giro di cibo, una zuppa di spaghettini, ti dice che i bastoncini le ricordano sempre la spatola, quello splendido uccello - splendido come una gru - con un ciuffo di piume spettacolare, ma con un becco che sembra come se qualcuno gli avesse conficcato dei bastoncini sul muso. "Così", dice, portandosi i bastoncini che vi hanno dato davanti alla bocca. Con quelli che le sporgono dal viso, si gira, allunga il collo, erge il capo, mostra un profilo elegante e fa un verso simile a quello dell'anatra. Nel farlo le si accende lo sguardo. Malgrado tutto, lo trovi divertente. Anche se non è una cosa che sta facendo apposta per te, l'ha già fatta, e davanti ad altri uomini.
Questo suo lato in effetti è piuttosto affascinante. Questo suo lato che si è tenuta stretto fin da bambina. Questa passione per gli uccelli che chissà come è sfuggita alla distruzione. Come ha fatto? Come ha fatto a difendere anche solo quella minuscola parte di sé? O è stato solo un caso, solo un edificio che resta in piedi tra le macerie dopo un'esplosione atomica?
Improvvisamente, nonostante il tuo scarso interesse, ti sorprendi a chiederti se è bisessuale come molte delle modelle che ti sei scopato, ti sorprendi a chiederti che aria avrebbe col tuo uccello in bocca. Perdi il filo del suo discorso, un qualcosa sulla bonifica agraria vicino alla riserva, sull'espansione degli stabilimenti chimici di Guangzhou che intacca l'oasi, sulle rotte migratorie che si stanno modificando, sull'avvelenamento. Qualcosa sull'estinzione. Ma finisce il discorso con un "Non credi?", e quindi tu riesci a dire: "Certo, sono d'accordissimo", in tono sicuro.
Quando atterrate, lei finge di non vedere la sua auto, pensa che tu non te ne accorga, si lamenta con nonchalance del fatto che la sua auto non c'è. Così tu stai al gioco e la inviti a dividere la tua. Poi, nel tuo albergo, se il suo agente non è ancora riuscito a cambiarle la prenotazione, si dà un gran da fare, è molto brava a fingere che ci sia un errore. Quando è in piedi al bancone della reception, mentre il ragazzo porta su i tuoi bagagli, ti accorgi che ha ancora un culo fantastico. E così, chiedendoti quante ore al giorno dedica a fare esercizi specifici solo per il suo culo, dici a quelli dell'albergo che è una tua amica, gli chiedi se si può fare qualcosa. Nel giro di qualche minuto le trovano una stanza. Qualcun altro si troverà senza camera stasera.
Lei ti ringrazia, naturalmente, dice: "Non so perché non avevano la mia prenotazione", ti dice il numero della sua stanza, anche se deve sapere che l'hai sentito al bancone.
Passi tutto il giorno seguente a ispezionare lo stabilimento in costruzione, dal mattino prestissimo alla sera tardi. Giungi a una conclusione su quello che è successo, i costi aggiuntivi sono colpa di Nathan. Di Nathan, che lavora per te da tre anni. Di Nathan che, hai notato un paio di settimane fa, ha appena messo sulla scrivania la foto del suo bambino appena nato. Decidi che è Nathan quello che dovrà cominciare a faxare curriculum in giro.
Quando torni in camera, c'è un messaggio per te. Sai di chi è ancora prima di ritirarlo. E non ti sei sbagliato. È lei, vuole sapere se ti va di andare con lei alla riserva il giorno dopo, se ti va di vedere le aquile di cui ti ha parlato.
Dovresti partire la mattina, ma telefoni al tuo assistente e vedi se c'è qualche motivo per cui non ti puoi trattenere un giorno in più. Non sai nemmeno perché stai cambiando programma. Certo, lei è ancora bella, vale ancora la pena, se tu non avessi altro da fare. Ma non vale la pena di cambiare programma per lei, no?
Poi capisci perché. E il suo interesse per gli uccelli, la sua preoccupazione per loro, il modo in cui la divertono ancora come se fosse una bimba di cinque anni. E per quello che hai deciso di lasciarla provare a farsi strada nel tuo cuore a suon di scopate.
E così il giorno dopo ti porta all'oasi, te le mostra, le aquile, le spatole, ti fa notare che persino dal punto centrale della riserva si vedono le ciminiere delle raffinerie, che l'acqua cambia colore vicino ai confini dell'area protetta. Ti fa notare tutte quelle cose e poi, dopo una cena in un ristorante notevole, riservato ai gerarchi di partito e ai ricchi stranieri, dopo averti annoiato con i particolari della sua carriera in declino, del suo agente che le dedica sempre meno tempo, dopo tutto questo, ti scopa comunque. Ti scopa anche se stai costruendo una delle raffinerie chimiche che stanno uccidendo l'unica cosa che ama. Ti scopa comunque.
Al college, non avresti mai avuto il coraggio di chiedere il numero di telefono a una ragazza così. Ora, la mattina dopo, sapendo che parti quel giorno, si offre lei di dartelo - il suo numero di "cellulare", ti fa notare, il più personale dei suoi recapiti. Ma le tocca chiederti il tuo. Le dai il tuo biglietto da visita, le dici che è il modo più semplice per mettersi in contatto con te.
Ma quando ti chiama due settimane più tardi, e ancora dopo altre due settimane, non la richiami. Dopo essertela scopata, hai perso ogni interesse per lei. Quella sua parte intatta era talmente piccola che bastava solo per una notte. Non di più.



(Brano tratto dal romanzo Girls, Fazi editori, Roma, 2004)


Nic Kelman


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