LE PRIME ORE

 

Gianni Failla

 

 

Buio. Coperte calde. Limbo liquido.
"Gianni!?"
Nuoto, placido, fra fondali della mia incoscienza
"Gianni!"
Qualcuno chiama da lontano. Chissenefrega, preferisco la tranquillità del mio mare scuro
"Gianni, svegliati!"
La richiesta si fa perentoria. Mi manca il fiato per continuare la mia immersione.
Cerco di risalire, annaspando, tutti gli strati del mio letargo.
"Gianni!!!"
Voce femminile. L'aria sta per finire. Manca poco e sono fuori.
Riemergo dal sonno aspirando avidamente l'aria della stanza, alzandomi a sedere sul letto.
"Scusa, non volevo spaventarti." Mia sorella interpreta male la mia reazione.
"No, no!…dimmi! che c'è?!"mi sforzo di non far trapelare la mia incazzatura.
"Niente. Io sto uscendo e a casa non c'è nessun'altro. Alzati che è tardi". Trattengo a stento un fatticazzituoi e la lascio continuare: "Guarda che Sergio mi ha detto che gli è arrivata la chiamata per fare lo scrutatore alle prossime elezioni, ma non ci può andare, quindi se ti va puoi andare tu al posto suo".
Chi cazzo è Sergio?! Che ore sono?! Dove sono?! Cerco di snebbiare velocemente il cervello, ma non ci riesco.
Fisso inutilmente la sagoma scura di Maria contro la luce accecante della mia porta. Lentamente comincio ad orientarmi.
"Ma chi è Sergio?" Le funzioni neuro linguistiche si sono riattivate.
"Sergio, il figlio dei vicini...". L'espressione di mia sorella è di comprensione materna. Ha solo venticinque anni, ma è già, in potenza, una madre.
"Aah! Ok. ciao". Cerco di liberarmi velocemente di lei per tornare ad immergermi.
"Guarda che devo dargli una risposta entro l'ora di pranzo" insiste lei.
"Va bè, va bè, ne parliamo più tardi, ciao" mi rimetto sotto le coperte, voltandole le spalle, spero che afferri il messaggio.
La luce della stanza torna a smorzarsi nel buio ed io cerco di rituffarmi.
Niente da fare. C'è bassa marea. Mare mosso. Divieto di balneazione. Non riesco a riaddormentarmi. Maledizione al mio condizionamento infantile sulla responsabilità.
"Alzati che é tardi". Le parole di mia sorella devono aver toccato qualche senso di colpa scoperto.
Devo alzarmi, essere produttivo. E' vero é tardi ed ho un troppe cose da fare.
Mi concedo dieci minuti di puro ozio, che inevitabilmente saranno riconfermati diventando venti. Prendermi da solo per il culo è l'unico modo che conosca per mandare in corto il mio fastidioso senso di responsabilità.
Accendo la radiosveglia: raistereodue. Il modo in cui radiorai ha clonato alcuni programmi delle radio commerciali ha dell'incredibile.
Mi viene in mente "La giornata di uno scrutatore" di Calvino. Non riesco a capire cosa centri con radiorai. Niente infatti, dev'essere collegato a quanto mi ha detto mia sorella, sul lavoro di scrutatore. In effetti non sarebbe male guadagnare qualche lira in più, e poi ripenso al libro di Calvino. Sarebbe una buona esperienza. Calvino ci ha tirato fuori un bel libro, io potrei benissimo tirarci fuori una giornata interessante.

Passo il resto della mattinata a sbrigare le faccende del lavoro quotidiano pensando all'indomani. Fare lo scrutatore…
Potrebbe essere molto di più di una semplice giornata di lavoro. ..
A pensarci bene, andrò ad infilarmi direttamente in uno degli ingranaggi più importanti della macchina della democrazia. Potrò vedere dall'interno dove si è inceppato il meccanismo.

Mi sento già meccanico.

Mi vedo fare il mio ingresso al seggio elettorale con la tuta blu e la cassetta degli attrezzi.

L'inetto presidente del seggio mi si butta ai piedi implorandomi di aggiustare la macchina e salvare la democrazia.

Inquadratura della mia persona, dal basso a sottolinearne la statura fisica e morale.

Determinato e taciturno, segno evidente della forza e della saggezza che non ha bisogno di esprimersi con inutili parole, scavalco l'inetto presidente ancora inginocchiato, entro nella stanza dell'infernale macchina e chiudo la porta in faccia ai miei spettatori: ci sono momenti in cui un uomo deve affrontare il pericolo armato solo di se stesso.

Dopo qualche ora di incessante e rumoroso lavoro, esco pulendomi le mani su uno straccio già sporco delle innumerevoli ed eroiche fatiche passate, richiudendomi lentamente la porta alle spalle, quasi con rispetto per il nemico sconfitto ma meritevole.

Getto il mio straccio unto in faccia all'inetto presidente, peraltro ancora ginocchioni, a voler rimarcare la fine della mia opera ed il totale disprezzo per chi non ha saputo usare un congegno tanto delicato quanto nobile.

Esco quindi dal seggio, mentre tutti si precipitano nella stanza della macchina e mi allontano silenzioso, cavalcando verso il tramonto, lasciandomi alle spalle le esclamazioni di stupore e meraviglia della brava gente che potrà finalmente tornare al sano esercizio della democrazia.

 

Cinque e mezza di mattina. Un'ora della giornata che può appartenere solo ai sogni. Le strade sono ancora illuminate unicamente dalla luce dei lampioni. Il cielo in alto è nero quanto lo é in basso l'asfalto.
I rumori di pochi svegli sono amplificati dal silenzio dei tanti dormienti.
Per le strade echeggia un russare ovattato che copre l'intera città come una coperta calda e soffice.
Uscire di casa alle nove di mattina, ha il sapore del caffè inghiottito di fretta, il suono del ciaocivediamodopo urlato saltando sulle scale mentre cerchi di raggiungere disperatamente il mondo che corre già almeno un'ora avanti a te.
Uscire di casa alle cinque e mezzo del mattino ha in se un'approccio più soffice alla giornata.
Ha il ritmo lento e cauto dei gesti fatti con cura, da questi pochi padri della città che vegliano sulla tranquillità dell'infinto mondo ancora addormentato. Ha la lucidità di un rapporto più pieno ed antico con la giornata.
Caffè al bar. Le luci al neon, i termosifoni accesi, le chiacchiere sommesse e i rumori di tazzine, gli sguardi di saluto e intesa fra i guardiani del sonno altrui. I bar a quest'ora sembrano piccole oasi di luce nel deserto buio delle anime addormentate. Ogni tanto le voci assonnate e roche, si alzano di qualche tono: qualcuno comincia a svegliarsi o forse l'effetto del caffè corretto.

Finalmente raggiungo il seggio.
La scuola che ospita il seggio è una signora di almeno settant'anni, nata fascista, che ora lotta contro le ingiurie del tempo e dei vandali, con seriosità e decoro.
L'ingresso della scuola è intasato da un gruppo di persone che parlottano fra di loro.
Davanti alla porta chiusa, un poliziotto. "Si, è così, più tardi avrete la conferma dai giornali" sta dicendo."Per il momento posso solo leggervi il mio ordine di servizio"
Fra la gente intravedo un viso conosciuto. E' Giacomo, un' amico d'infanzia, di quelli che ogni tanto si incontrano al bar, un caffé e via. "Ciao Già, che succede?"gli chiedo. "Boh!? Ero venuto a fare lo scrutatore, ma non ci fanno entrare, lo sbirro qui, dice che è stato annullato tutto"
"Tutto che?!"chiedo io. "Tutto. Le elezioni. Il governo ha deciso che non servono".
Sorrido. Giacomo non è mai stato un genio, né si è mai interessato di politica, come la maggior parte dei miei coetanei del resto.
"Ma che minchia dici, Giacomi'? Sei ancora morto di sonno." gli dico ridendo.
"Morto di sonno ci sarai tu!". Lui di ridere non ne vuole sapere. "è da mezz'ora che sto qua e di entrare non se ne parla. Comunque ora mi sono rotto le palle. Me ne vado a dormire. Ciao Giovà".
E' sempre stato un tipo allegro, mi dico. Un po lo invidio perché so che nonostante il sonno mi stia mangiando il cervello, non me ne andro' a dormire finché non avro' chiara la situazione. Mi avvicino al poliziotto per capire meglio. Sta leggendo il suo ordine di servizio "…il ministro degli interni….sentito il parere…" non ci capisco niente.
Aspetto che finisca, dico:" 'ngiorno. Senta io dovrei fare lo scrutatore, mi può spiegare che succede?". "Ancora??!!" Fa il poliziotto spazientito, poi riprende forzatamente la calma. Si aggiusta i pantaloni cadenti e comincia un discorso che sembra registrato "abbiamo ricevuto ordine di non fare accedere nessuno al seggio, quello che so è che le elezioni sono state annullate, il capo del governo in accordo con il parlamento ecc. ecc. ha decretato l'invalidità di queste consultazioni, ulteriori dettagli li apprenderete più tardi dagli organi di informazione. Fine"
A questo punto mi viene in mente una domanda …stupida... non c'entra niente col discorso, mi prende per scemo se gliela faccio… Gliela faccio: "Ma il parlamento c'é ancora?" Lo sbirro mi fissa. Ha un'espressione stupita, ma non mi ha preso per scemo. Tutt'altro, sembra volermi dire qualcosa. E' un attimo. Poi riprende il controllo. Sorride e parla ad alta voce: "Ma che domande fa?! Ma dove pensa di essere a Cuba? Su vada a dormire, vada, torni a casa tranquillo".
Mi sento gelare.
Si dev'essere abbassata la temperatura dell'aria.
Dopo tutto è inverno, che ti aspettavi.
E' meglio andare via.
I pensieri mi si accumulano in testa, ma non riesco a formulare un'idea.
Mi allontano lentamente dal gruppo, ho bisogno di un bar, di un'oasi di caldo e di sicurezza.

Ho freddo.

Ho paura.

 

 

FINE
(speriamo)

 




Gianni Failla. Nato a Vittoria, Sicilia (1970). Vittima inconsapevole di un diploma in ragioneria, passa il resto della vita a cercare inutilmente di cancellare quest'onta.
Due anni or sono incontra la fata turchina francese che se lo porta a Strasburgo, dove attualmente vive e disoccupa, incatenato al tavolo della cuisine, costretto a cucinare per lei spaghetti al tonno.
Utilizza la scrittura nel vano tentativo di capire meglio se stesso e la terra da cui proviene.
Collabora con il sito di Operaincerta ( www.operaincerta.it ) dove un'equipe di psicologi monitora costantemente i suoi lavori.



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