ISOLA

Agostinho Baptista

Ritorno sempre a te, isola,
alla casa del silenzio,
alle scogliere della tua follia,
alla culla che oscilla eternamente nella
stanza dell’angoscia,
ritorno,
isola,
dopo le strade che hanno conosciuto il mio
corpo e la mia nostalgia,
dopo le stagioni di tenebra e gelo,
dopo gli incendi,
ritorno come chi ha già visto tutte le lune e
tutte le navi attraccate,
tutti gli uccelli, tutti i pesci ciechi,
tutte le rose di basalto,
dopo la passione e i crimini e l’estremo
splendore,
dopo la cenere in cui si spensero gli
astri e le tue trecce,
ritorno, isola, per supplicarti
di ridarmi indietro le sedie e le terrazze
della giovinezza,
la nonna, lo zio, mio padre, gli uccelli che ho sentito fra
i rami dell’albero di un tempo,
il mare, lo iodio, il far della sera,
i frutti più strani e il vino degli
amici perduti,
ritorno, isola,
per dirti che non ho più dimora,
che non ho più età,
che ti aspetto come se fossi la madre della
madre che porto nel cuore,
ritorno senza il primo sogno e senza la
bontà,
perché non so più dove cantare,
dove aprire le braccia alla fiamma della giovinezza
spenta dal vento,
perché non so più, isola,
come stendermi nei tuoi canali e nel
tuo grembo,
e, come un bambino che cercava nella
notte dei cieli il volto di Dio e delle
stelle,
non so più addormentarmi semplicemente.


L’originale in Portoghese:

ILHA

Regresso sempre a ti, ilha,
à casa do silêncio,
às falésias da tua loucura,
ao berço que se move eternamente no
quarto da angústia,
regresso,
ilha,
depois das estradas que conheceram o meu
corpo e a minha saudade,
depois das eras de gelo e trevas,
depois dos incêndios,
regresso como quem já viu todas as luas e
todos os barcos ancorados,
todas as aves, todos os peixes cegos,
todas as rosas de basalto,
depois da paixão e dos crimes e da extrema
claridade,
depois das cinzas onde se apagaram os
astros e as tuas tranças,
regresso para suplicar-te, ilha,
que me devolvas as cadeiras e os terraços
da mocidade,
o avó, o tio, o pai, os pássaros que ouvi nos
ramos da antiga árvore,
o mar, o iodo, o fim das tardes,
os frutos mais estranhos e o vinho dos
amigos perdidos,
regresso, ilha,
para dizer-te que já não tenho endereço,
que já não tenho idade,
que espero por ti como se fosses a mãe da
mãe que no coração trago,
regresso sem o primeiro sonho e sem a
bondade, porque já não sei onde cantar,
onde abrir os braços à juvenil chama que
o vento apagou,
porque já não sei, ilha,
como deitar-me nas tuas levadas e no
teu regaço,
e, como um menino que procurava na
noite dos céus o rosto de Deus e das
estrelas,
já não sei adormecer simplesmente.


(Poesia tratta da Anjos Caídos, Lisboa, Assírio e Alvim, 2003)


«IL LUNGO ESILIO DELLA PENISOLA»: PER UNA POETICA DEL RICORDO E DELL’IMPOSSIBILITÀ

Selena Simonatti

S’endormir c’est oublier
Paul Valéry

E loro, con un rimasuglio d’amore,
ci guarderanno annebbiati dal sonno
e non troveranno la diabolica audacia
di confessare che gli angeli cadono
non per colpa, non per colpa,
ma per sfinimento.
Ana Blandiana



Se dormire è come dimenticare, sembra che le parole di José Agostinho Baptista si cullino sull’onda di un’insonnia perenne. L’intraducibile saudade, mitizzata come genuina ispirazione di un lirismo tutto portoghese e atlantico, nel paradosso di un ricordo che si sdoppia, come un Giano bifronte della memoria, in uno sguardo contemplativo al passato e un occhio ancora vigile sul futuro, acquista le forme e le sfumature di una preghiera primordiale che diventa il canto dell’impossibilità del ritorno. Il filo che annoda la fitta intertestualità della poesia di Agostinho Baptista in Anjos Caídos (Angeli Caduti) è il cuore di un uomo ancorato alla sua dolce isola della memoria in cui il paese dell’infanzia, Madeira, si trasfigura nella terra edenica e misteriosa della prima purezza ma anche del primo desiderio, dove sempre torneranno a confrontarsi l’irriducibile anelito verso una bellezza primitiva e perduta, nella voglia di fondersi e perdersi nella sensualità dell’isola (Madeira), e l’abbandono alla rassegnazione eterna che è la morte e che, nella simbologia primordiale del dolore, è l'unica liberazione, il «sonno eterno» di cui il poeta ha sentito parlare (Canto), salvezza dall’ostinata fascinazione del ricordo.
Il mosaico delle immagini d’infanzia risorge sempre sul varco di una soglia, mentre il mondo si scompone nella penombra e la luce è a un passo dalla notte, in una zona dove il tempo permette l’incrociarsi e il confondersi del cielo e della terra, naturali paradigmi dell’allora e dell’adesso, sulla linea unica dell’orizzonte. E la voce del poeta è la voce di un esule o di un eremita che osserva il mondo sulla linea del confine, «mi sono sempre seduto vicino alle frontiere del mondo» (Fronteira - Frontiera). Sono frontiere rivolte a sud gli ingressi privilegiati del ricordo, quando viene il tempo della notte e «si impara ad essere tristi come il vento e i violini» (Anoitecer - Imbrunire), e sul litorale del presente «un tonfo sordo di un remo» può trasportare indietro «verso altre acque» dove la felicità è rimasta un’occasione non colta. È questa la soglia che facilita l’affacciarsi del tempo e la sospensione tra i punti cardinali dell’anima, il sud del desiderio e il nord dell’arrendevolezza, si fa metafora della condizione metafisica dell’esilio, lo spazio della frontiera per eccellenza. Ma l’esilio fisico, quello dalla sua terra, Madeira, che risorge profumata e bellissima nella palpabilità di un immaginario botanico-simbolico di un candore impressionante perché rimasto intatto e inossidato dal tempo, riflette anche l’altro l’esilio, quello dell’anima, dell’infanzia, l’estate della vita, il sud perduto che non si fa dimenticare facilmente, perpetuamente evocato nella metafora nautica e marinaresca. Ai fiori dispersi del tempo, ai frutti acerbi che abbandonarono l’albero prematuramente (Migração - Migrazione), non resta altro che sbocciare e maturare nei giardini della memoria, sullo scroscio di ore che battono a un ritmo luttuoso: «quello che imputridisce più di ogni altra cosa è il crocifisso delle ore perdute» (Luto - Lutto). Il lutto per il tempo, rinnovato e sublimato nella memoria, è il filtro privilegiato della contemplazione del passato, della sua evocazione attraverso la parola e l’amarezza delle cose andate è anche lutto per l’impossibilità di riannodare i fili dell’esistenza, di riportare a riva il veliero dell’infanzia. Al mare, da cui tutti veniamo (Trinta anos - Trent’anni) si ritorna solo con la morte.
È evidente, questo terribile iato del desiderio, nelle forme sintatticamente spezzate del verso, dove la separazione tra il possessivo e il sostantivo o, molto più spesso, tra il nome e la sua determinazione diventa l’espressione di un’altra lacerazione, quella dell’appartenenza.
Quando la realtà scivola nel cassetto del tempo e inizia a sedimentarsi in immagini accessibili soltanto ai ricordi, il senso di quello che non esiste più, che ha smesso d’appartenerci, cresce a dismisura nella forza della distanza, ingigantendosi nella fantasmagoria di una più profonda appartenenza, come in quel petit poème en prose di Borges, Posesión del ayer (in Los conjurados), dove la perdita del giallo e del nero, divenuti gli «impossibili colori» che delineano l’esperienza biografica della cecità, universalizza la forza dell’immortalità della memoria: «Sé que he perdido tantas cosas que no podría contarlas y que esas perdiciones, ahora, son lo que es mío. Sé que he perdido el amarillo y el negro y pienso en esos imposibles colores como no piensan los que ven […]. Sólo el que ha muerto es nuestro, sólo es nuestro lo que perdimos […]. Todo poema, con el tiempo, es una elegía. Nuestras son las mujeres que nos dejaron, ya no sujetos a la víspera, que es zozobra, y a las alarmas y terrores de la esperanza. No hay otros paraísos que los paraísos perdidos».
Non ci sono altri paradisi tranne i paradisi perduti. Il possesso sublime di ciò che si è perso è anche il canto della distanza di José Agostinho Baptista che sa che l’ultimo filo della vita, sulla soglia dell’inverno e della neve degli anni, resta appeso alla grazia della memoria che cede il cuore all’incanto. L’angelo caduto, migrato, esiliato, costretto all’abbandono e al congedo, può allora trasformarsi, da albatros dalle ali chiuse, inghiottito dalle nuvole (Anoitecer - Imbrunire, Mansão Dimora), da poeta-naufrago e orfano «nel paese dell’angoscia» (Migração - Migrazione), nell’angelus ritratto nel momento di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo, in cui il ricordo può indugiare liberamente nella morte e trovarvi l’abbandono eterno che è la pace. Perché il ricordo indelebile rimane pur sempre un ricordo e i «vasi infranti» non possono essere ricostruiti, «le macerie» resteranno macerie e «i figli perduti», «gettati nel mare», continueranno a galleggiare e ad affiorare sulla spuma delle onde (Impossibilidade - Impossibilità). E sembra che neppure la maceria, intesa eliotianamente (palese l'intertestualità con l'incipit della Waste Lande nei versi di Marta), si faccia tenue garanzia di una possibile ricostruzione: quei frammenti di tempo non puntelleranno nessun’altra rovina tranne il ricordo. E anche l’amore, che è invece il più alto possesso del presente, è sempre evocato nella tensione sentimentale di un ricordo: la terra, l’isola, l’infanzia, trasfigurate nelle sembianze della donna amata (Estio - Estate, Madeira, Apelo - Invito). Nella rosa dei venti della memoria che si frantuma nelle finestre del tempo (Mansão - Dimora), l’amore rimane la finestra chiusa, impronunciata. La poesia di Agostinho Baptista mostra, allora, che quando la vita si orienta con la bussola della memoria e sta eternamente seduta all’ombra del ricordo (Vita) sopraggiunge l’impossibilità a vivere per cedere eternamente alla nostalgia. Ma gli angeli caduti, sbalzati nel mondo del desiderio infranto, restano pur sempre angeli dalle ali immacolate, come immacolato è il cigno assopito e immobile, «freddo come la neve e le statue» (Dimora), che forse incarna la perfezione di ogni ricordo intatto: bellissimo ma inerme.



José Agostinho Baptista è nato a Funchal (Madeira) nel 1948. Ha collaborato a diverse testate giornalistiche come il Comércio do Funchal e, più tardi la República e il Diário de Lisboa, nel cui inserto "O Juvenil" si è fatto conoscere come poeta. Da allora, e per i suoi quattordici libri pubblicati, la sua voce poetica è attualmente riconosciuta come una delle più importanti in Portogallo. Della sua attività di traduttore si ricordano le traduzioni di Walt Whitman, W.B. Yeats, Tennessee Williams, Paul Bowles, Enrique Vila-Matas, Rabindranath Tagore, Robert Louis Stevenson, Oliverio Macías Álvarez, Malcom Lowry. Baptista riceve quest’anno il Premio Pen Club Português per la poesia.



         Precedente   Successivo        Copertina